Sclerosi multipla: disturbi cognitivi, le prospettive terapeutiche; BrainFactor intervista Giancarlo Comi

Sclerosi multipla: disturbi cognitivi, le prospettive terapeutiche; BrainFactor intervista Giancarlo Comi.FIRENZE – Della sclerosi multipla sono sempre stati presi in considerazione i disturbi motori. Ma ora vi è maggiore attenzione anche sui problemi di tipo cognitivo che può comportare. Se ne è parlato a Firenze al convegno “Cognitive Disorders in MS”, promosso da Serono Symposia International Foundation, dove BrainFactor ha intervistato il Prof. Giancarlo Comi, direttore della Scuola di specializzazione in Neurologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.

Giancarlo Comi è primario del Servizio di Neurofisiologia Clinica presso l’Istituto San Raffaele di Milano dal 1996; dal 2000 è direttore della Divisione di Neurologia, dal 2001 direttore scientificodel Centro Sclerosi Multipla, dal 2002 direttore dell’Unità di Neuroriabilitazione. Copre la carica di direttore scientifico del Centro Studi Sclerosi Multipla presso l’azienda ospedaliera “San Antonio Abbate” di Gallarate (VA). Oggi è professore straordinario di Neurologia e direttore della Scuola di Specializzazione in Neurologia all’Università Vita-Salute San Raffaele e titolare della cattedra straordinaria di Neurologia all’Università Complutense di Madrid. E’ il Presidente del Comitato scientifico di SSIF.

Professore, ci può chiarire quali sono le differenze a livello di disturbi cognitivi fra persone affette da sclerosi multipla rispetto a pazienti con altre condizioni neurodegenerative, quali ad esempio l’Alzheimer?

Il tipo di alterazione cognitiva di cui una persona è affetta dipende dalle strutture del cervello che vengono coinvolte dal problema. Nella sclerosi multipla il profilo classico è quello delle demenze sottocorticali, cioè di patologie in cui il danno è legato soprattutto alla disconnessione tra i vari centri nervosi che sono alla base del pensiero e delle attività del pensiero, mentre in malattie come ad esempio l’Alzheimer, vengono meno le aree corticali, le cellule che producono le attività. Nella SM è il collegamento che salta, la malattia è in prevalenza l’espressione di un danno della sostanza bianca del cervello, anche se in realtà studi più recenti hanno fatto vedere che ci sono alcune alterazioni a carico della sostanza grigia, le cellule e gli strati della corteccia, e del talamo in caso di lesioni più profonde. Soprattutto è nella velocità di comunicazione che viene meno l’efficienza, e nella sua complessità; ciò che fa emergere le difficoltà cognitive nei pazienti con SM, i due elementi fondamentali nella comunicazione, è quando deve fare più cose e rapidamente. Questo è il momento in cui un paziente può andare in crisi più facilmente. Va anche detto, per assicurare i malati, che raramente il deficit cognitivo raggiunge livelli che incidano gravemente sulla qualità della vita, nella maggior parte dei casi sono alterazioni molto sottili. Un altro aspetto da sottolineare, che si riscontra anche nel paziente con Alzheimer, è che si difendono bene dai disturbi cognitivi soprattutto i pazienti che hanno usato di più il loro cervello; a parità di danno dovuto alla malattia, i pazienti che hanno una maggiore cultura, non necessariamente scolastica, mostrano meno compromissioni funzionali.

È per questo che la sclerosi multipla in età adolescenziale comporta declini cognitivi gravi e più rapidi?

Abbiamo visto da studi recenti che il bambino ha una plasticità cerebrale infinitamente superiore. D’altra parte, il danno avviene in una età in cui il sistema nervoso centrale non si è sviluppato del tutto, e dato che quanto più il sistema è dotato di connessioni tanto più si difenderà, farà una distruzione chiaramente molto più grave, come avviene per un albero a cui taglio i rami quando sta buttando i loro rametti e foglie. Il recupero di un bambino che ha subito gli attacchi di SM è decisamente migliore di quanto avviene in un adulto, che però si può avvalere di una sua capacità plastica. Sfortunatamente, e questa è la terza variabile, nel bambino la SM si esprime con attacchi infiammatori molto più virulenti, e quindi il danno tende ad essere maggiore. L’interazione complessa di tutti questi aspetti porta a osservare che il danno dovuto a un attacco tende ad essere maggiore in un bambino rispetto a un adulto.

Quali effetti hanno a livello cognitivo le terapie correntemente in uso?

Se attraverso l’uso di un farmaco riusciamo a evitare che si accumuli un ulteriore danno riducendo o togliendo fortemente l’infiammazione, agiamo proprio su uno dei fattori fondamentali nell’eliminare il danno da malattia. Uno studio multicentrico italiano molto ampio, coordinato dal S. Raffaele di Milano, ha osservato che i pazienti trattati, invece di andare incontro ad un progressivo declino, tendono a migliorare, indipendentemente dal tipo di farmaco specifico usato. Quindi, qualsiasi farmaco che riduca l’attività della malattia ha un impatto positivo sulla sfera cognitiva. Poi, ovviamente, ci sono le terapie specifiche, ossia quei farmaci che non vanno a curare la malattia in sé ma che vanno a cercare di rinforzare la funzione delle strutture nervose colpite, i così detti “cognitive enhancers” o potenziatori cognitvi. Ci sono studi in corso, che vedono l’impiego di farmaci utilizzati in pazienti con Alzheimer, che vengono adesso testati per verificare se questa protezione possa dare qualche vantaggio e ci sono alcune evidenze positive a riguardo. Possono, poi, esserci anche strategie alternative successive.

Si riferisce a terapie non farmacologiche?

Ci sono due strade che in questo momento vengono percorse. Una di queste, nuovissima, prevede l’impiego in terapia di stimoli fisici. È in corso di sperimentazione al S. Raffaele uno studio di gruppo molto particolare con una macchina che produce onde magnetiche di grande intensità che vanno a trattare parti del cervello associata alla riabilitazione cognitiva. Diamo al cervello dei messaggi su come deve agire per rinforzare le sue capacità; contemporaneamente diamo dall’esterno questi stimoli magnetici, che hanno la funzione di consolidare l’informazione che gli è stata data e nutriamo buone aspettative che possa essere un miglioramento a livello di prestazione. Infine, la seconda strada è quella della riabilitazione cognitiva di per sé. Il nostro cervello, ripeto, ha una plasticità che è massima nel bambino ma che rimane anche nell’anziano, anche se declina progressivamente con l’età. Questa plasticità, che ci consente di cambiare il nostro cervello giorno dopo giorno, è fortemente in gioco in questa malattia: costantemente, insieme al danno che la malattia comporta, c’è una reazione del cervello che cerca da solo di “adattarsi” a questa malattia. Noi possiamo sfruttare al meglio questa capacità del cervello di adattarsi alla malattia facendo in modo che la rinascita del tessuto che è stato danneggiato, per compensare quello che è stato perso, avvenga in un modo “intelligente”, produttivo, che sia una così detta “plasticità adattativa”. Molte volte, purtroppo,  la plasticità assume una direzione negativa, producendo addirittura un peggioramento della situazione.

Ci sono linee guida internazionali per la riabilitazione dei pazienti con sclerosi multipla?

Non ci sono linee guida specifiche in questo ambito, purtroppo, per via della difficoltà di condurre una sperimentazione clinica riabilitativa che sia corretta, perché è molto oggettiva. Quest’area, però, è in grande movimento e sono convinto che questo sia un momento in cui, proprio per la grande crescita  delle conoscenza sui meccanismi che sono in gioco nel danneggiare il cervello in questa malattia, ci sia anche una maggiore opportunità di intervenire in modo favorevole per migliorare le capacità di recupero .

La difficoltà maggiore sta nella lunghezza del percorso di recupero di un paziente con sclerosi multipla, che non è breve…

Una delle grandi trasformazioni nella medicina nel secolo appena terminato è che siamo passati da patologie acute a patologie croniche. Se prima un malato moriva con estrema facilità o guariva, noi ora siamo riusciti progressivamente a cambiare questo esito fatale e abbiamo allungato enormemente la durata della vita. Siamo fatalmente intervenuti su patologie che seguivano le leggi di selezione evolutiva, che promuove la sopravvivenza del più forte, col risultato di avere una quantità di malati cronici enorme. Questo fatto pone grandi problemi dal punto di vista sanitario più che economico. Un esempio è proprio la sclerosi multipla, che è sempre stata una malattia cronica ma per la quale non si faceva proprio nulla. Da una parte noi oggi abbiamo la possibilità di intervenire su queste malattie croniche e, siccome non è una malattia che si esaurisce in un attacco episodico in ospedale ma accompagna il malato per tutta la sua vita, bisogna riuscire a mettere in atto una serie di strategie con un’interazione molto attenta a tutti gli attori perché il malato venga, poi, accompagnato in tutte le diverse fasi nel modo più adeguato.

Rispetto agli altri Paesi, come si posiziona il sistema sanitario italiano in termini di supporto alla cura di questi pazienti?

L’assistenza al paziente con sclerosi multipla è un problema sentito in ambito internazionale, come emerge dall’incontro con i colleghi di tutto il mondo riuniti in questi giorni al convegno. Devo dire che dal punto di vista della qualità di assistenza nell’ambito della SM l’Italia è veramente uno dei paesi, a livello di qualità diffusa di assistenza, nettamente migliore al mondo. Abbiamo una diffusa competenza e capacità legate da una parte alla tradizione che abbiamo sempre avuto come paese nell’ambito delle neuroscienze, e anche dovuto a una fantastica intuizione a metà degli anni 90, quando è arrivata la prima medicina per questa malattia, che fosse deciso per Legge che questo tipo di farmaci molto costosi e difficili da usare dovessero essere esclusivamente pertinenti a dei centri specializzati. Si è fatto nascere quindi sul territorio un network di circa 200 punti di riferimento, con centri clinici, centri provinciali e regionali: il risultato è un sistema di elevata competenza, che è invidiato da altri ambiti, e che ovviamente ha consentito di mantenere un livello di formazione molto elevata. Le case farmaceutiche hanno trovato un ottimo livello di collaborazione con gli operatori sanitari e anche questo ha contribuito a fornire risorse ulteriori per poter assistere meglio il malato. Ovviamente i problemi che ci sono li conosciamo: il sistema sanitario nazionale non ha risorse sufficienti e quindi lascia i centri senza adeguata assistenza e non paga gli operatori che vi operano assiduamente. Il mondo farmaceutico ha in parte hanno integrato questa assenza, ma il problema sta diventando sempre più difficile, perché il paziente con SM va monitorato e seguito nel tempo, la variabilità di decorso è  molto soggettiva e questo richiede al medico un’ulteriore competenza nel campo.

Intervista realizzata a Firenze il 30/09/2011 da Alessandra Gilardini, Biologo, Ph.D. in Neuroscienze per BrainFactor http://brainfactor.it (C) Tutti i diritti riservati.

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