Un futuro possibile per la filosofia

La filosofia ha da tempo esaurito il novero di tutti gli strumenti in suo possesso per discutere i problemi che la affliggono fin dalla sua nascita. A partire dagli anni cinquanta i filosofi sanno parlare non solo di ciò che è ma di ciò che è possibile. Negli anni cinquanta è stata data da Saul Kripke e seguenti una sistemazione rigorosa della logica modale che ci permette di parlare rigorosamente della possibilità e dell’impossibilità delle asserzioni. Tuttavia il metodo filosofico è per così dire ancora arenato a quello inaugurato da Ludwig Wittgenstein nel Tractatus Logico-Philosophicus.

Il filosofo pone al centro dell’attenzione il bisogno di poter argomentare le tesi filosofiche fino al si o no. Premessa di tale posizione è che se le tesi sono argomentabili fino al si o no tali tesi saranno gioco forza dimostrate e dunque da considerare veri e propri risultati della filosofia. Dalla combinazione degli strumenti logici e di quelli metodologici oggi a disposizione sembrerebbe che la filosofia abbia tutte le frecce nella faretra per considerarsi ed essere considerata una vera e propria scienza. Ma è questo vero? Possiamo oggi considerarla al centro di quel diamante di materie che sono le Scienze Umane insieme a uno dei suoi vertici costituiti dalla Psicologia che sta alla Filosofia come l’Ingegneria sta alla Fisica?

Nonostante la tavola sia imbandita la risposta dopo un’attenta analisi è ancora negativa. Il motivo di tale diniego può essere compreso facilmente a partire da una delle considerazioni chiave di John Locke nel suo saggio sull’Intelletto Umano. Se si vuole una conferma delle proprie intuizioni e delle proprie conoscenze immediate non ci si può fermare a quelle intuizioni e a quelle conoscenze ma cercarne l’evidenza ultima e approfondita secondo un metodo e degli strumenti che determino inequivocabilmente la bontà di quelle intuizioni e di quelle conoscenze. In altri termini il problema è che se un frutto mi pare secondo tutti i rispetti buono non è detto che sia così. L’evidenza ultima che noi cerchiamo è stata da tempo cercata e trovata secondo il metodo delle scienze empiriche. Locke chiosava che se avessimo bisogno della certezza ultima delle nostre asserzioni ogni volta la vita sarebbe impossibile ma di tale onere si è fatta carico ormai da tempo quella che chiamiamo impresa scientifica. Il punto qui è che, tornando all’attuale metodo e agli strumenti della ricerca filosofica, ciò di cui parlano i filosofi sono proprio quelle precarie evidenze e asserzioni alla base dei propri risultati.

Quella che la Filosofia vuole studiare è l’esperienza umana. Prima di Wittgentstein che ha tracciato un metodo almeno per intenzione rigoroso per la valutazione delle asserzioni della filosofia e dell’esperienza umana decretando che nell’esperienza umana tutto ciò che è rappresentabile dal linguaggio è ciò di cui il linguaggio stesso detiene la forma logica e asserendo che l’esperienza ultima deve essere semplice e rappresentabile logicamente, c’è stato un altro filosofo, Edmund Husserl, che ha fatto comprendere con la sua fenomenologia che l’esperienza ultima è quella più propriamente umana in un senso meno rigoroso ma corretta nel suo ambito di applicazione. Che esso sia quello delle percezioni, delle emozioni o del vissuto soggettivo più o meno condivisibile da e tra esseri umani. Se il problema metodologico e di ambito è sostanzialmente delineato e risolto, come si può fare per spostare l’attenzione dalle asserzioni, frutto di osservazioni su una realtà già costituita ma precaria come abbiamo visto con Locke, alla certezza delle scienze sperimentali ed empiriche? In passato il problema sarebbe stato inaffrontabile per mancanza di strumenti per valutare e indagare sperimentalmente, affidabilmente e rigorosamente l’esperienza umana soggettiva preclusa agli altri nella maggior parte delle occasioni.

Oggi abbiamo a disposizione, sebbene non ancora utilizzate in tutto il suo potenziale un grande armamentario di tecnologie, una su tutte la realtà virtuale, con le quali indagare l’esperienza umana in modo controllabile e ripetibile, nel nostro esempio la realtà percettiva. Il futuro della ricerca filosofica e delle Scienze Umane è dunque tutto qui. È nella possibilità di indagare i fenomeni non solo fino al si o no ma per come essi sono in se stessi e secondo teorie loro proprie. L’esperienza umana diverrebbe così oggetto di indagine di una Scienza Speciale che potrebbe per principio e nei fatti abbandonare il lessico della quotidianità e adottare un linguaggio suo proprio come per le altre scienze naturali. Tale linguaggio potrebbe essere appunto quello della logica e le teorie e leggi trovate della forma di un’implicazione. Questo è vero o lo sarebbe perché, mantenendo il nostro esempio, sarebbe vano cercare delle leggi nella fantasmagoria potenziale delle nostre percezioni o secondo un altro esempio della nostra volontà ma sarebbe comunque onorevole cercare la condizione di possibilità di uno o l’altro dei nostri fenomeni percettivi o delle decisioni che prendiamo in determinate circostanze. Se l’oggetto è semplice, come per l’atomismo logico, allora possiamo formulare leggi, per dirla banalmente, della forma di implicazioni che dicano che cosa è necessario affinché si dia un certo fenomeno. Poniamo come esempio che perché si dia una macchia di colore rosso servano cinque spot di colore appaiati. In questo caso potremmo formulare la legge come segue:

e perché no usare delle coordinate cartesiane per esprimere la loro natura geometrica o spaziale come segue:

Queste sarebbero a tutti gli effetti semplici leggi che potremmo attribuire all’esperienza umana. Esse sono troppo semplici per descriverla totalmente ma nulla toglie che ve ne siano di proprie e adeguate. Non vi è nulla che impedisca all’esperienza umana di essere così e similmente teorizzata e rappresentata. Anche la felicità potrebbe essere descritta da una legge che esprime in un frangente particolare la variazione nel tempo di un’esperienza gustativa come quella di mangiare un gelato. Potremmo un po’ fantasiosamente rappresentare l’esperienza di gustare un ottimo gelato aderente alla seguente formula che immaginiamo essere ricavata sperimentalmente.

L’esperienza di ottima degustazione sarebbe dunque vera solo se si è felici in tutti gli istanti t’, t’’, t’’’ e falsa se a una esperienza di degustazione ottima non corrisponde felicità in tutti gli istanti. Ciò avrebbe una semplice verifica sperimentale guidata da un’esperienza e da un questionario o da strumenti di misura particolari e come per ogni buon esperimento richiederebbe la necessità di essere ripetibile, falsificabile e mondato da interferenze ambientali così come la mia esperienza di degustazione può essere rovinata dalla presenza di una persona a me sgradevole, parlando di felicità.

Ora ci si potrebbe chiedere: Non è forse sufficiente la psicologia a studiare questi fenomeni? Non è forse l’impresa fallimentare in partenza? La risposta a me sembra ovviamente negativa. La psicologia è una disciplina con risvolti clinici e applicativi che non è sufficiente da sola ad esprimere leggi come quelle proposte e vagheggiate. Essa non veicola alcun tipo di teorie dal valore epistemologico o almeno nei limiti forniti dalle altre scienze. Essa ha e ricopre un grande valore clinico ma come sostenuto in precedenza potrebbe ricevere dalla Filosofia quel genere di “conoscenze”, propriamente dette teorie, e valutarne la loro applicabilità. Potrebbe la psicologia farcela da sola? Forse sì. Ma il vasto impegno epistemologico che promette la nascita di una scienza propriamente filosofica ha tutto l’aspetto di richiedere una sistemazione coerente sua propria. Come per la fisica, ripeto, che ha come oggetto la vastità degli oggetti materiali la filosofia avrebbe ed ha come oggetto la vastità dell’esperienza umana trascendente con un linguaggio suo proprio. Così come l’ingegneria prende a piene mani dalla fisica e usa le sue leggi così potrebbe la psicologia prendere a piene mani dalle leggi filosofiche sull’esperienza trascendente senza poter aver la pretesa per i metodi, il campo di indagine e gli strumenti di fare da sola.

Oggi proprio dove avviene l’intersezione tra le Scienze Umane si sente questo grande vuoto di una scienza filosofica propriamente detta, come quella delineata in precedenza. Le varie scienze particolari che parlano dell’umano sono costrette a fare da sole con i primi esperimenti sull’esperienza umana che possono essere difficilmente collocati proprio per la mancanza di leggi per tale esperienza che le colleghino in qualche modo alle discipline, psicologiche, neuro-scientifiche e così via che sono costrette a parlare il linguaggio della quotidianità o prendere dalla storia della filosofia qualcosa che a ben vedere non sembra essere molto di più uno slang, un modo di parlare filosofico sedimentato nella tradizione e nelle tradizioni culturali per secoli e secoli. Una vaga speranza che la filosofia come disciplina scientifica nasca è stata data in anni recenti da una corrente chiamata filosofia sperimentale.

Questa filosofia reclama l’importanza del metodo sperimentale per la ricerca filosofica ma da un lato si oppone al lavoro teoretico degli attuali filosofi analitici e post-analitici mancando di dare motivazioni convincenti e possibilità di mediazione dall’altro non riesce a dare espressione a quale potrebbe essere la forma di leggi propriamente filosofiche. D’altra parte se i filosofi da poltrona e filosofi sperimentali riuscissero a trovare un punto di incontro motivato da considerazioni simili a quelle viste all’inizio poco o nulla mancherebbe alla nascita non solo ufficiale ma reale e fondata delle Scienze Umane grazie alla nascita di quelle filosofiche. L’unica cosa che dovrebbero comprendere i filosofi da poltrona sarebbe che le osservazioni sulle quali basano il loro pensiero sono precarie mentre quelle sperimentali non lo sono, o lo sono meno ma già largamente collaudate.

In un certo senso ho già tracciato un futuro possibile per la filosofia. Nel senso di tracciare quale potrebbe essere in un futuro più o meno prossimo la sua forma. In un altro senso molto meno facile da ipotizzare e molto più vaticinante, dare un futuro possibile alla filosofia significa immaginare il futuro che la filosofia può dare al mondo e come lo può fattualmente cambiare. Avere una nuova rigorosa scienza sperimentale significherebbe avere un modo stabile per trattare fenomeni la cui indagine è stata modificata da correnti di pensiero nel corso dei secoli e che nel corso dei secoli ha modificato i fenomeni stessi, l’oggetto del loro studio, rispondendo alle necessità dibattimentali di coerenza e negazione delle comunità filosofiche e accademiche via via nate e trascorse. La filosofia come scienza si svincolerebbe dunque dall’accordo tra le esperienze soggettive degli studiosi e dei filosofi per acquisire più solide basi, quelle su cui si fondano le varie scienze sperimentali. La storia della filosofia da storia del pensiero si trasformerebbe in storia dei risultati e delle leggi sulla nostra esperienza trascendente. I problemi sarebbero quelli interni ad una scienza e risolvibili con un preciso e dettagliato ordine del giorno così come si può osservare nello sviluppo delle altre scienze naturali. Essa avrebbe una storia ripetibile anch’essa e non malferma e traballante. Il futuro porterebbe nel suo grembo oggetti e leggi che apparentemente già largamente indagati e alla portata degli studiosi sono preclusi all’indagine scientifica e al suo armamentario come semplicemente inessenziali.

Lo studio preciso e dettagliato dell’esperienza umana tramite una sua propria indagine scientifica potrebbe aprire realmente le porte dell’esperienza e metterla in relazione con le neuroscienze e le altre scienze che si occupano dell’umano in generale. Avremmo teorie stabili sull’esperienza e la possibilità di conoscere come essa venga realizzata. In ambito medico e psicologico le ricadute potrebbero essere di un’importanza capitale. Si potrebbe comprendere cosa accade all’esperienza delle persone con malattie neurodegenerative e mettere riparo a una infinità di disturbi dell’esperienza. Si potrebbe comprendere con precisione cosa varia cerebralmente al variare dell’esperienza e viceversa. Anche senza avventurarsi in questioni delicatissime lo studio rigoroso dell’esperienza umana potrebbe realmente cambiare il volto del mondo con le sue infinite applicazioni. Conoscere e avere teorie stabili attorno all’esperienza umana significa anche poterle sfruttare in ambiti legati all’estetica, al diritto e aprire nuove strade grazie a nuove scoperte anche nell’imprenditoria, nel commercio o in qualsiasi altra attività umana dove gli studi sull’esperienza umana sono oggi raccogliticci e malfermi. Se so cosa accade con precisione all’esperienza di una persona in un dato contesto e ho delle leggi per replicare quell’esperienza, potrebbero cadere le barriere interpersonali e una persona potrebbe vivere quella di un’altra almeno entro certi limiti. Tutte le attività umane potrebbero essere implementate e stravolte e qualsiasi attività futura ne potrebbe trovare giovamento.

Come si realizzerebbe tutto ciò a partire da una discussione così povera di esempi? Nel diritto, tante teorie sulla natura umana potrebbero essere sostituite dall’evidenza dei fatti circa ciò che l’uomo vuole e come si comporta in determinate occasioni. Nell’estetica le modifiche potrebbero essere sia nell’oggetto del suo studio, la bellezza, che come un oggetto viene presentato e non essere terreno di vaghezza e di giudizi legati al costume. Si potrebbe veramente e definitivamente determinare ciò che è nuovo da ciò che nuovo non è. La realtà verrebbe messa al riparo dalla menzogna e ciò che piace non sarebbe frutto di un lavoro artigianale ma di ben precise conoscenze e ciò che piace, ciò che l’uomo vuole e ciò che genuinamente è potrebbe essere totalmente liberato e letteralmente sprigionato. È difficile parlare del futuro a partire da un presente che sembra così limitato eppure già ricco di possibilità di scelta e come insegnato da Karl Popper parlare del futuro potrebbe solo essere la miseria di una concezione della storia ingannevole. Volendosi fermare all’evidenza definitoria sicuramente la nascita della Filosofia come Scienza cambierebbe il volto del mondo per una semplice ragione. Potremo conoscere l’esperienza umana al di là della soggettività e la soggettività stessa in un modo proprio e sicuro rispetto alla straordinaria ma precaria attività di pensiero dei filosofi che finora tale esperienza umana hanno amato e indagato con strumenti non totalmente adeguati al compito. Studiare rigorosamente l’esperienza umana sarebbe dunque qualcosa di nuovo di per sé.

Quanto lontano si colloca questo futuro? A giudicare dagli albori di questa nuova scienza e prima che il suo corpus di conoscenze prenda una struttura e diventi apprezzabile ci vorrà ancora molto tempo e tanti laboratori dovranno nascere o essere convertiti allo sforzo. La mia speranza è quella che tutti possano vederla muovere i suoi primi passi e per quanto mi riguarda poter assistere allo spettacolo e magari parteciparvi.

Andrea Bucci
MSc in Philosophy, Società Italiana di Neuroetica

andrea86bucci@gmail.com

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