Russell e la natura del dato sensoriale

Bertrand Russell nel suo testo “I problemi della filosofia” avanza un’argomentazione contro la tesi secondo la quale noi percepiamo direttamente e senza intermediari gli oggetti fisici che compongono il mondo:

Per chiarire le nostre difficoltà, prendiamo per esempio il tavolo. All’occhio appare oblungo, scuro e lucido, al tatto liscio fresco e duro; quando vi batto col dito, dà un suono di legno percosso. Chiunque lo veda tocchi e senta sarà d’accordo con questa descrizione, e sembrerebbe non debba sorgere alcuna difficoltà; ma i guai cominciano non appena cerchiamo di essere più precisi. Io credo che “in realtà” il tavolo abbia dovunque lo stesso colore; ma le parti che riflettono la luce sembrano molto più chiare delle altre, alcune addirittura bianche. E so che, se mi muovo, la luce si rifletterà su parti diverse da quelle, così che cambierà l’apparente distribuzione dei colori sul tavolo. Ecco dunque che se parecchie persone guardano il tavolo nello stesso momento, neppure due vedranno i colori distribuiti esattamente nello stesso modo, perché neppure due possono guardarlo esattamente dallo stesso punto, e, cambiando anche poco il punto da cui si guarda, cambia il modo in cui la luce viene riflessa.

[…] Da quanto abbiamo visto fin qui, appare evidente che nessun colore si può dire, a maggior titolo di un altro, il colore del tavolo, o anche di una parte di esso: vediamo colori diversi a seconda del punto da cui guardiamo, e non c’è alcuna ragione di considerarne alcuni come i veri colori del tavolo a preferenza di altri. Sappiamo che anche guardando sempre da quel dato punto il colore sembrerà diverso sotto la luce artificiale, o a un daltonico o a una persona che porta occhiali azzurri, e nel buio non ci sarà assolutamente nessun colore, benché a chi lo tocchi o vi batta il tavolo appaia sempre lo stesso. Il colore dunque non è qualcosa di inerente al tavolo, ma qualcosa che dipende dal tavolo stesso e dallo spettatore e dal modo in cui la luce cade sull’oggetto. Quando nella vita di tutti i giorni, diciamo “il colore del tavolo”, parliamo soltanto di quel colore che esso sembra avere agli occhi di uno spettatore normale che lo guardi da un punto di vista normale in normali condizioni di luce. Ma i colori che compaiono in condizioni di luce diverse hanno esattamente lo stesso diritto di essere considerati reali; cosicché, per non essere accusati di favoritismo, siamo costretti a negare che il tavolo in sé abbia un qualsiasi determinato colore.

In questo lungo passaggio Russell articola la tesi secondo la quale ciò che percepiamo, come ad esempio i colori non siano proprietà degli oggetti in sé per sé. Da questa “scoperta filosofica” nascerà la teoria del dato sensoriale secondo la quale ciò che percepiamo non siano gli oggetti in sé e per sé ma dati sensoriali.

Questa teoria ha dato il via ad un intenso dibattito che è arrivato fino ai giorni nostri. La teoria del dato sensoriale è stata tuttavia messa da parte perché ritenuta sollevare inestricabili problemi metafisici ed epistemologici. Alle domande: qual è la natura dei dati sensoriali?, come vi entriamo in contatto?, qual è la loro collocazione spazio-temporale? Come ineriscono agli oggetti in sé e per sé? Nessuno è riuscito a dare una risposta esauriente.

Dal punto di vista della scienza empirica, però, le cose sembrano stare proprio nel modo in cui Russell aveva annunciato. Le informazioni che giungono alle nostre aree visive corticali e sub corticali sono le informazioni efferenti dalla retina una volta che essa sia stata stimolata. Ciò su cui si basa il nostro cervello per dar vita al fenomeno percezione è il risultato delle stimolazioni che coinvolgono la retina pertanto ciò che attiva la stimolazione, la luce, e ciò da cui la luce proviene, gli oggetti, non entrano a far parte in senso stretto dei processi cerebrali, poiché si fermano alla barriera costituita dalla retina. Se ci fosse qualcos’altro capace di stimolare la retina adeguatamente il risultato sarebbe il medesimo. Così come se vi fosse qualcosa capace di stimolare le aree visive corticali adeguatamente senza passare per la stimolazione retinica.

Neuroscienziati e neurobiologi tendono oggi a dare per scontata l’identità tra stati mentali e stati cerebrali. I filosofi della tradizione analitica e post analitica hanno dato assenso all’identità di un particolare evento mentale con un particolare evento cerebrale anche se ancora dibattono sulla possibilità che la fenomenologia del mentale possa essere condivisa da qualche altro supporto che non sia quello cerebrale.

Il problema ontologico e metafisico che veniva posto a Russell può dunque essere risolto anche se in maniera piuttosto grossolana sostenendo che ciò che percepiamo sia la fenomenologia associata a una classe degli eventi neuro elettrici che coinvolgono il cervello umano. Conoscere ciò che percepiamo e come lo percepiamo equivale a conoscere l’organizzazione della facoltà percettiva del cervello umano.

Ciò che sembra straordinario è che la fenomenologia di ciò che percepiamo, colori, odori, sapori, suoni variamente arrangiati in scene complesse come quelle che esperiamo quotidianamente e nelle quali siamo costantemente calati non siano altro che la controparte fenomenologica di eventi di natura neuro elettrica e che il rapporto tra proprietà elettriche indagabili sperimentalmente e proprietà fenomenologiche delle quali abbiamo solo un’esperienza soggettiva veda il predominio dell’aspetto fenomenologico.

Ci sono infiniti modi di arrangiare le proprietà neuro elettriche dei nostri circuiti cerebrali che sottendono la visione e probabilmente in tutti i questi casi avremo una fenomenologia corrispondente a questo arrangiamento fisico. Tuttavia, senza una fenomenologia organizzata in modo da rappresentare il mondo e capace di interagire da un lato con gli oggetti del mondo dall’altro con la nostra soggettività, la stragrande maggioranza di quegli arrangiamenti di circuiti sarebbe del tutto inutile alla vita dell’uomo nel suo ambiente.

È indubbiamente difficile pensare come la teoria del dato sensoriale senza una profonda comprensione dei meccanismi cerebrali che sottendono la percezione possa dar conto dell’articolata fenomenologia percettiva nella quale siamo quotidianamente situati. E il dato sensoriale potrebbe non essere l’unità minima della percezione.

Tuttavia su due punti Russell sembra avere ragione: ciò che percepiamo non sono gli oggetti in sé e per sé e c’è qualcosa, la nostra fenomenologia percettiva, che si frappone tra noi e la natura ultima delle cose.

Andrea Bucci

Bibliografia

  1. Austin, John. 1962. Sense and Sensibilia (Oxford: Clarendon).
  2. Bermúdez, José Luis. 2000. “Naturalized Sense Data,” Philosophy and Phenomenological Research 61: 353-74.
  3. Moore, G. E. 1953. Some Main Problems of Philosophy (London: George, Allen and Unwin).
  4. Price, H. H. 1950. Perception, 2nd edition (London: Methuen).
  5. Russell, Bertrand. 1997. The Problems of Philosophy (New York: Oxford University Press). Originally published 1912.
  6. Sellars, Wilfrid. 2000. “Empiricism and the Philosophy of Mind,” pp. 205-76 in Knowledge, Mind, and the Given, ed. Willem deVries and Timm Triplett (Indianapolis, Ind.: Hackett). Originally published 1956.

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