Il sistema motorio codifica anche il significato emotivo delle azioni. L’essere umano è un animale spiccatamente sociale. Fin da quando veniamo alla luce, siamo costantemente immersi in interazioni con altri conspecifici e siamo intenti a comprendere efficacemente gli stati d’animo, le intenzioni e le emozioni altrui, per poter mettere in atto risposte adeguate e comportamenti adattivi. In particolare, i segnali emotivi sono centrali nel rapporto con l’altro, e possono essere espressi attraverso canali comunicativi verbali e non verbali (Dael et al., 2012; Ekman, 1957). Tra questi ultimi, il volto è indubbiamente un canale primario (Leppänen & Nelson, 2006), ma non è l’unico.
Negli ultimi quindici anni, un numero crescente di studi ha dimostrato che il corpo, nel veicolare i contenuti emotivi, è altrettanto efficace, se non più efficace, del volto (Aviezer & Todorov, 2015; de Gelder et al., 2010, 2015). Quando siamo in interazione con gli altri non stiamo fermi ma mettiamo in atto comportamenti, eseguiamo azioni, utilizziamo il nostro corpo per comunicare stati interni o intenzioni. Nello studio della cognizione sociale è quindi importante indagare come avviene la percezione e la comprensione del movimento corporeo.
L’importanza evolutiva di comprendere il movimento altrui è testimoniata dal fatto che, fin dalle primissime fasi di vita, il sistema visivo dell’uomo è predisposto ad orientarsi spontaneamente verso il movimento biologico (Fox & McDaniel, 1982; Freire et al., 2006; Simion et al., 2008). Tradizionalmente, la percezione del movimento umano è stata studiata utilizzando stimoli particolari, chiamati point-light display o biological motion stimuli (Johansson, 1973), che permettono di isolare le informazioni relative al movimento da tutte le altre informazioni visive.
La ricerca in questo campo ha dimostrato che la visione del movimento puro e semplice è sufficiente per veicolare un grande numero di informazioni socialmente rilevanti, come, ad esempio, l’identità della persona (Kozlowski & Cutting, 1977; Troje et al., 2005), il suo genere (Johnson et al., 2011; Kozlowski & Cutting, 1977; Pollick et al., 2002), la natura delle sue azioni (Alaerts et al., 2011; Dittrich, 1993; Johansson, 1973), le sue intenzioni (Pelphrey et al., 2004; Roché et al., 2013), e, infine, le sue emozioni (Atkinson et al., 2004; Clarke et al., 2005; Dittrich et al., 1996; Roether et al., 2009).
In generale, l’abilità di riconoscere il movimento del corpo migliora progressivamente con l’età (Braddick & Atkinson, 2011; Carter & Pelphrey, 2006; Hirai et al., 2009; Pavlova et al., 2001) ed è sottesa da un circuito specifico di aree cerebrali (l’Action Observation System o AOS), che comprende il solco temporale superiore (STS) e le aree frontali e parietali del cosiddetto sistema dei neuroni a specchio (Cattaneo et al., 2010; Decety et al., 1997; Gilaie-Dotan et al., 2013; McKay et al., 2012; Ulloa & Pineda, 2007).
Da studi di neuroimmagine sappiamo che queste aree cerebrali si attivano in risposta ad azioni quotidiane che non hanno un contenuto emotivo (es. camminare). Inoltre, studi di stimolazione magnetica transcranica (TMS) hanno dimostrato che le aree dell’AOS non solo rispondono alla visione di azioni, ma sono necessarie tanto per il riconoscimento del significato di azioni cariche emotivamente quanto per il riconoscimento del significato di azioni emotivamente neutre (Candidi et al., 2008; Engelen et al., 2015; Grossman et al., 2005).
Tuttavia, il ruolo di queste aree nell’elaborazione di informazioni cinematiche relative ad espressioni corporee emotive è ad oggi ancora inesplorato. Negli studi di TMS che hanno indagato la percezione di espressioni corporee sono stati utilizzati stimoli statici, come immagini, mentre nel mondo reale, fuori dal laboratorio, le azioni sono stimoli in movimento.
A studiare per la prima volta il contributo di queste aree nel riconoscimento esplicito di espressioni corporee dinamiche è stato un gruppo di ricercatori dell’Università di Trento, in collaborazione con l’Università di Westminster di Londra (Mazzoni, Jacobs, Venuti, Silvanto, & Cattaneo, 2017). I ricercatori hanno utilizzato il paradigma dell’adattamento. Il fenomeno dell’adattamento consiste in una riduzione progressiva della risposta fisiologica conseguente ad una stimolazione sensoriale ripetuta nel tempo (Gibson & Radner, 1937). Questo ha un effetto sulla elaborazione degli stimoli presentati nelle fasi temporalmente posteriori dell’esperimento (after-effect), che consiste in una minore prontezza di risposta per l’elemento con l’attributo già presentato rispetto ad elementi che presentano attributi differenti.
I ricercatori hanno inizialmente esplorato l’esistenza di un after-effect dopo la presentazione di movimenti corporei che esprimevano emozioni. Ai partecipanti venivano presentati ripetutamente dei brevi filmati di point-light display che riproducevano espressioni di gioia o di paura. Successivamente, veniva chiesto loro di riconoscere filmati che mostravano la stessa emozione, o un’emozione differente. I tempi di risposta sono risultati più lenti nel riconoscere l’emozione quando precedentemente era stato presentato un filmato congruente (stessa emozione) rispetto ad un filmato incongruente (emozione diversa). L’esistenza di un after-effect specifico per le espressioni del corpo suggerisce la presenza di un meccanismo neurale che risponde in maniera specifica alla valenza affettiva delle espressioni corporee.
Tuttavia, a livello neurale, dove si trova questo meccanismo? Per cercare di rispondere alla domanda, gli autori hanno condotto un secondo studio, utilizzando la TMS per indagare il contributo dei nodi temporale (pSTS) e parietale (aIPS) dell’AOS, più un’area di controllo. È infatti noto, a chi si occupa di indagare questi aspetti della psicologia, che la TMS ribalta l’effetto dell’adattamento (Silvanto et al., 2008). I risultati del secondo studio hanno mostrato che l’after-effect era ancora presente dopo stimolazione di pSTS e dell’area di controllo, con risposte più lente nel riconoscimento di filmati congruenti rispetto a filmati incongruenti. Diversamente, l’effetto era ribaltato per il riconoscimento dell’emozione paura dopo stimolazione di aIPS, indicando quindi che quest’area, in particolare, è implicata nella comprensione del significato emotivo dei movimenti corporei.
Il recente studio di Mazzoni et al. (2017) suggerisce pertanto che nel cervello dell’uomo possa esistere un meccanismo preposto al riconoscimento esplicito del contenuto affettivo dei movimenti del corpo, il quale in parte risiede in aree che fanno parte del circuito dei neuroni a specchio. Queste scoperte hanno implicazioni importanti anche per l’intervento in popolazioni cliniche che presentano difficoltà di interazione sociale e di riconoscimento di emozioni, come ad esempio il Disturbo dello Spettro Autistico.
Lo studio
Mazzoni, N., Jacobs, C., Venuti, P., Silvanto, J., & Cattaneo, L. (2017). State-Dependent TMS Reveals Representation of Affective Body Movements in the Anterior Intraparietal Cortex. The Journal of Neuroscience : The Official Journal of the Society for Neuroscience, 37(30), 7231–7239. http://doi.org/10.1523/JNEUROSCI.0913-17.2017
Riferimenti
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