Le tracce mnestiche

La memoria è la capacità di formare, immagazzinare e rievocare informazioni di vario tipo. Le tracce mnestiche dette anche immagini mentali, engrammi, rappresentazioni, sono il mezzo attraverso il quale queste operazioni vengono messe in atto.

Nonostante molti credano che le tracce mnestiche siano coinvolte sia nella memoria procedurale, che ci permette di fissare, una volta appreso, il modo di eseguire determinati compiti, quanto in quella dichiarativa che ci permette di immagazzinare e rievocare coscientemente informazioni semantiche e autobiografiche, i filosofi le associano in maniera forte alla memoria episodica.

In questo caso, la considerazione data alla memoria episodica da filosofi come Burge, Martin e Tulving, è dovuta alle caratteristiche spesso estremamente dettagliate che i ricordi ad essa collegata, come particolari emozioni e sensazioni, mostrano.

La ricerca attorno alla natura delle tracce mnestiche ha condotto i filosofi a indagare se il loro ruolo appartenga ad un livello personale, se la loro azione sia equivalente alle immagini mentali che vengono esperite in prima persona quando si ricorda qualche evento del passato, oppure se agiscano ad un livello sub personale, coincidendo con i meccanismi neurobiologici che ci consentono di ricordare.

Tale distinzione tra livello personale e livello sub personale viene generalmente mantenuta anche quando ci si chiede se le tracce mnestiche abbiano natura statica, simile a quella di dati mantenuti in un archivio, o dinamica, se siano piuttosto delle disposizioni all’autentica attività del ricordare, come nella visione costruttivista.

Attualmente esistono due linee di pensiero che cercano di mostrare il bisogno di ricorrere alla nozione di traccia mnestica. La prima, il rappresentzionalismo, sostiene che come ogni forma di pensiero anche l’attività rammemorativa deve avere un oggetto. Ma poiché l’oggetto della rammemorazione deve essere contemporaneo all’attività rammemorativa tale oggetto non può essere l’oggetto che appartiene irrimediabilmente al passato ma qualcosa che stia al suo posto. Tale oggetto è per l’appunto la traccia mnestica. Questo modo di concepire il bisogno di ricorrere a tracce mnestiche può essere fatta risalire a filosofi come Hobbes, Locke, Hume, and Mill.

Questa posizione si trova a dover fronteggiare due principali obiezioni. La prima fa notare che il ricorso a rappresentazioni mentali in qualità di oggetti del ricordare conduce ad una perdita di collegamento con l’esperienza che la rappresentazione in qualche modo sostituisce. Un pensiero che ha come oggetto una rappresentazione non è di per sé un ricordo ed è difficile trovare il modo di dargli questo titolo.

Secondariamente, perché il pensiero che ha come oggetto una rappresentazione abbia il titolo di ricordo dobbiamo sapere che quella rappresentazione è collegata ad un dato evento passato ed è quindi ricordare ciò, innestando un temibile regresso ad infinito.

La seconda linea di pensiero, mantenuta da filosofi come Anscombe, Bernecker e Debus, insiste sul fatto che perché ci sia autentica attività rammemorativa deve sussistere un nesso causale tra l’evento passato e la mia attuale rammemorazione e poiché i due eventi sono distanti tra loro temporalmente deve esserci qualcosa che causalmente li lega. Questo qualcosa è il nesso causale tra l’esperienza vissuta e la conseguente formazione di una traccia mnestica relativa.

La principale obiezione a questa linea argomentativa è che l’esistenza di tracce mnestiche non sia comunque necessaria per la formazione di un nesso causale tra evento e rammemorazione, lasciando alla scienza empirica il compito di dirimere la questione.

Per le neuroscienze il problema sembra attualmente essere come funzionino le tracce mnestiche, dando la loro esistenza ormai quasi per scontata. Tuttavia il problema delle false memorie sembra bloccare la strada verso una piena accettazione della loro esistenza.

Le false memorie sono così frequenti da far sembrare implausibile che una preservazione degli eventi passati di fatto avvenga. Ciò conduce alcuni a sostenere una visione dinamica della memoria che nel “costruire ricordi”, nel riprodurre eventi passati, abbia un alto livello di fallibilità, altri a sostenere che la nozione di traccia mnestica sia sostanzialmente da ripensare.

In ultimo, è curioso quanto affascinante sottolineare che la visione costruttivista e dinamica è coerente con un modo di guardare alla memoria che non implica che nelle tracce mnestiche sia di fatto presente alcuna informazione relativa a ad una data esperienza che sia stata di fatto vissuta.

Nella traccia mnestica relativa ad una particolare esperienza potrebbero non essere presenti informazioni relative a sensazioni dettagliate, emozioni vissute o altro, ma solo l’ordine di attivazione di quei pattern neurali che si sono attivati nel momento i cui è stata vissuta quella data esperienza e che hanno permesso al detentore di quella traccia di vivere quelle sensazioni dettagliate e quelle emozioni.

Questo sarebbe un modo molto economico di codificare le esperienze passate e sarebbe comprensibile anche la forte incidenza di false memorie.

Andrea Bucci

Bibliografia

  1. Anscombe, G. E. M. (1981). Memory, experience, and causation. In G. E. M. Anscombe (ed.), Collected
  2. Philosophical Papers, Vol. II: Metaphysics and the Philosophy of Mind (pp. 120–30). Oxford: Oxford University Press.
  3. Bernecker, S. (2010). Memory: A Philosophical Study. Oxford: Oxford University Press.
  4. Burge, T. (2003). Memory and persons. Philosophical Review, 112: 289–337.
  5. Debus, D. (2010). Accounting for epistemic relevance: A new problem for the causal theory of memory. American Philosophical Quarterly, 47: 17–29.
  6. Hume, D. (1739/1978). A Treatise of Human Nature, L. A. Selby-Bigge (ed.). Oxford: Clarendon.
  7. Locke, D. (1971). Memory. London: Macmillan.
  8. Martin, M. G. F. (2001). Out of the past: Episodic recall as retained acquaintance. In C. Hoerl and T. McCormack (eds.), Time and Memory: Issues in Philosophy and Psychology (pp. 257–84). Oxford: Clarendon Press.
  9. Tulving, E. (2007). Coding and representation: Searching for a home in the brain. In H. L. Roediger, Y. Dudai, and S. M. Fitzpatrick (eds.), Science of Memory: Concepts (pp. 65–8). Oxford: Oxford University Press.

Image credits: Shutterstock

 

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