Il disagio psichico e l’uomo moderno / 2

Il disagio psichico e l'uomo moderno / 2Dal Giugno 2012 la scultura “H, la grande clavicola”, è tornata nel Parco delle Sculture del Museo d’ARTe moderna di Rovereto, davanti ai picchi e alle montagne che il suo artista aveva tanto amato e considerava la naturale continuazione della sua opera. E’ stata la mia ragazza ad avermi fatto scoprire, recentemente, l’opera e il pensiero del roveretano Fausto Melotti (1901-1986), autore di “H” (nell’immagine).

A Camilla

“Il raptus drammatico della creazione artistica è simile allo stato d’animo del ragazzo che, trovandosi a camminare di notte in una strada deserta, per farsi coraggio canta e, non ricordando più nulla, inventa la canzone” (Fausto Melotti, 1975)

Fausto Melotti - La grande clavicola

Le sue esili, inconsistenti, eteree sculture sono un’ingegneria per sognare, un’ironica e penetrante danza con la materia. Cemento, terracotta, ceramiche, gessi, ottoni sono plasmati dalla leggera e capricciosa mano dell’ artista alla ricerca di un soffio di vita che le animi e sprigioni lo spirito dell’ angelico geometrico.

Trovarsi a camminare di notte lungo una strada deserta,  perdersi nei propri pensieri. Un’esperienza che non rappresenta soltanto l’atto creativo di un artista ma che appartiene al sentire comune di ognuno che noi che, anche solo limitatamente per un attimo, ha sperimentato una sensazione di disagio nell’ambiente in cui si è inseriti o all’interno di una relazione. Siamo relazione, sin dal nostro primo vagito.

Tanti tuttavia non trovano più la speranza di cantare, la possibilità di inventarsi , la forza di essere protagonisti della vita. Secondo alcune stime OMS, la depressione è la causa principale di invalidità globale; si stima che il 14% della popolazione italiana soffra di depressione in forma clinica mentre il 50% delle visite dal medico di Medicina Generale risulta avere una componente psicologica ed attribuibile se non a un disturbo, per lo meno a un disagio di natura mentale.

A chi è depresso non manca la serotonina ma un approccio alla vita. Il nostro corpo infatti non può essere riducibile solo a uno status di oggetto di una griglia anatomo-fisiologica ma il corpo come noi lo viviamo è intenzionalità di impegno con il mondo. Il mondo della vita – “Lebenswelt” nella bella definizione husserliana – è scandito da una straordinaria esigenza a manifestarsi e a interagire, modificare, trasformare lo spazio che lo circonda. Ma quando il nostro fare diventa espressivo dell’essere? Quando abbiamo la concreta possibilità, come cantato da Marco Mengoni ne l’Essenziale, di costruire “nuovi spazi e nuovi desideri?”

Questo interrogativo è il nucleo del pensiero di Max Scheler e rappresenta nella sua analisi fenomenologica il momento più intenso di autocoscienza dell’uomo contemporaneo. L’affermazione dell’Essere viene a costituirsi come l’affermazione di un desiderio lancinante connaturato alla stessa natura umana e si esprime attraverso la trascendenza della persona nell’atto. E torna alla mente la figura di Peer Gynt, l’uomo delle canzone interrotte. Dei pensieri non pensati, degli ordini non dati, delle lacrime non versate. Peer Gynt è diventato avventuriero e imprenditore, ha incontrato la Grande Sfinge scolpita nella roccia, ha visitato Il Cairo dove è stato proclamato Imperatore dell’Io. Ma è tempo dell’ultimo viaggio e Peer si è accorto di non aver fatto nulla, di aver sprecato la sua vita. E’ tempo di tornare a casa, sbucciando cipolle e scoppiando in lacrime tra le braccia di Solvejg, l’unica donna, l’unico elemento del Creato che lo abbia mai amato, e che lo ha sempre aspettato, invano.

Perfino il diavolo, nelle parole dell’ambiguo Fonditore di Bottoni, lo rifiuterà: “Anche il peccato, giovanotto, richiede impegno e serietà, tu  hai preso tutto sempre alla leggera. Non esistono più i peccatori di una volta”. Henrik Ibsen ci ha lasciato una delle più drammatiche e straordinarie interpretazioni dell’uomo contemporaneo, una figura che anticipa il  viandante di Nietzsche che procede per la sua strada, senza scherno, senza amore, con uno sguardo indecifrabile. “Che cosa cerchi? Che cosa vuoi per ristorarti?” Sembra rivolgersi sardonico a ognuno di noi in “Umano, troppo Umano”. “Voglio una maschera, una maschera ancora!”.

E’ questo il grido di angoscia dell’uomo contemporaneo e allo stesso tempo il desiderio di affermazione nella nostra identità. Come ci racconta Vittorino Andreoli nel suo ultimo libro “I segreti della mente” è proprio dal tentativo di coprire con una maschera un’esistenza che ci appare vuota che si originano le gesta pseudo-eroiche dell’ oggi. “Il teatro d’azione non sono più le mura di Troia ma una scuola in cui inscenare atti di bullismo o una strada in cui tagliare copertoni delle auto […] C’è poi l’eroe della Curva Sud che va allo stadio non per seguire la partita ma per attaccare un nemico. E se il nemico non c’è, può sempre prendersela con la polizia”  Nasce così la figura dell’eroe del nulla o eroe per gioco, che dell’eroico non ha nulla. Un muro di massa, sguardi pietrificati e sbiaditi, identità ceree nascoste con un cellulare o una nickname. Un mucchio di immagini infrante sotto i raggi del sole. La vita non può essere solo una presentazione di Instagram.

Cosa può salvarci? Nell’articolo precedente “Il disagio psichico e l’uomo moderno / 1” ci eravamo posti una domanda: “Cosa può distinguere la vita degli uomini da una massa di mosche o zanzare che lottano, combattono, si fanno violenza, giocano, copulano , sfogano la loro libidine, nascono, cadono e muoiono, come nella bellissima immagine regalatici da Erasmo da Rotterdam nell’Elogio della Follia?” La risposta è stata: il Desiderio. La nostra ricerca, la nostra aspirazione alla felicità e all’infinito. Eppure qualcuno potrebbe forse obiettare: “Ma sei proprio sicuro che il desiderio sia una cosa buona?”, come Socrate nel Filebo, uno dei più tardi dialoghi socratici, successivo al secondo viaggio di Platone in Sicilia (365 a.C). Socrate disputa con Filebo e Plotarco sulla natura dei desiderio e sulla ricerca del piacere che per sua definizione si manifesta in molti modi. Chi desidera è come un pellicano che avendo un tratto gastro-enterico più corto come mangia, subito evacua. Soddisfiamo il nostro desiderio, il nostro capriccio, e un secondo dopo scompare. Non è né è rimasta più nessuna traccia, se non di nuovo l’insoddisfazione.

Eppure mi piacerebbe rispondere a Socrate con le parole di Dante

“Ciascun confusamente un bene apprende
nel qual si queti l’animo, e disira;
per che di giugner lui ciascun contende”
(Purgatorio, XVII Canto)

Il dinamismo dell’Io tende a un compimento. L’essenza dell’Io umano è il desiderio ma il desiderio esiste solo nella Liberta. E la Libertà implica cervello e cuore, intelligenza e forza di volontà, energia e riscatto. De-Sidera! La lontananza dalle stelle, dagli astri tanti lontani e tanti sognati, ci spinge alla ricerca, al movimento attivo. Quando ci si sente liberi? Quando ci si è messi in moto concretamente per soddisfare il proprio desiderio. Satis-Facere.

Ma che cosa è, o meglio come è questo Io che è entrato in scena? La più bella intuizione  nella mia lettura della fenomenologia di Max Scheler è il pensiero di un Io che non è monadico puro, un Io predeterminato e monolitico che incontra e determina il Non-Io  come nella grande tradizione romantica e idealista, ma un Io plastico continuamente soggetto agli influssi esterni, all’Alterità. E’ ed solo dall’abbraccio con l’Alterità che si esprime appieno l’Identità.

LTP

L’Io è plastico. Il nostro processo di apprendimento si basa su continue modificazioni selettive delle sinapsi “processi di crescita o cambiamenti metabolici nel neurone stimolante o nel bersaglio atti ad ottenere una risposta post-sinaptica maggiore a parità di stimolo presinaptico” come afferma la legge del neurofisiologo canadese Donald Hebb (1949). Gli studi sull’apprendimento e la memoria di Eric Kandel sul mollusco marino Aplysia – la retrazione della branchia respiratoria in seguito a uno stimolo di natura tattico/elettrico a livello dell’organo emuntore del sifone – hanno aperto un campo di studi straordinario sulle potenzialità plastiche della nostra mente, culminate nel 1973 con la scoperta di LTP, long term potentiation.

LTP E’ stato identificato nel 1973 sulle fibre perforanti del coniglio. La via delle fibre perforanti è una delle principali vie di conduzioni del sistema limbico. Origina a livello della corteccia entorinale e perfora il subiculum connettendosi ai neuroni granulari del giro dentato. Dal giro dentato originano le fibre muscoidi in direzione CA3, da cui emerge il collaterale di Schaffer in direzione CA1. Il fenomeno di LTP è stato osservato per la prima volta nel potenziamento della sinapsi glutammergica del collaterale di Schaffer manifestandosi non solo come attivazione di AMPA ma anche dei recettori NMDA normalmente bloccati da un tappo di ioni magnesio. La fase di mantenimento più duratura è mediata dai fattori trascrizionali CREB, dalla sintesi proteica e dal rimodellamento delle spine dendritiche e sembra essere congiunta alla possibilità di integrare un’informazione appresa nella memoria a lungo termine.

La Neurofisiologia sembra dirci che tutti i giorni possiamo avere qualcosa da imparare. Ogni giorno può essere un dono, una sorpresa, può presentarci un incontro inaspettato, una nuova storia, un nuovo insegnamento che sarà sempre parte di noi. E allora possiamo scendere in campo e lanciarci senza paura nel grande mare della vita “ come in quel gioco, che piace ai giapponesi, di immergere in una ciotola di porcellana piena d’acqua dei pezzettini di carta per tutti prima indefinibili che non appena immersi, si aprono alla vita, assumono contorni e colori, si differenziano diventando fiori, case, figure amate. Come i fiori del nostro giardino e quelli del parco della casa di Swann, le ninfee di Vivonne e la brava gente del nostro villaggio (Marcel Proust, Alla ricerca del Tempo Perduto). Abbiamo dunque ribadito l’importanza del desiderio e affermato la libertà come sua premessa, ed ecco sorgere spontanea un’altra domanda: ma quando sono davvero libero di desiderare?

Raffaello - Trasfigurazione

Raffaello, La Trasfigurazione. Quello che avviene non può essere visto direttamente. Nessun personaggio guarda Cristo. Uno dei soggetti sulla scena ha una crisi epilettica. Solo l’epilettico è in grado di rivolgere il proprio sguardo al Cristo Trasfigurato e di segnalarlo agli altri soggetti. Io posso vedere l’Altro come portatore di significato che richiama a me qualcos’altro. Di nuovo, Identità e Alterità. Perché io sono libero di desiderare solo quando sono amato.

Jakob Panzeri
Studente CdL Medicina e Chirurgia
Università degli Studi di Milano Bicocca

Nota:

L’articolo è una riflessione personale dell’autore, che riprende alcuni spunti dal ciclo di seminari “Disagio Psichico e Società” svoltosi nella facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Milano Bicocca a.a. 2012-2013, sotto la supervisione del Prof. Cesare Maria Cornaggia e delle lezioni del modulo di Neurofisiologia del corso di Fisiologia del prof.Giulio Alfredo Sancini. E un grazie speciale a Camilla.

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