L’amore tra ragione, chimica e sentimento: BrainFactor intervista Domenica Bruni

L’amore tra ragione, chimica e sentimento: BrainFactor intervista Domenica Bruni.PADOVA – La chimica può “spiegare” l’amore? Si possono ricondurre sensazioni romantiche e passionali all’azione di una molecola? E’ uno dei temi del congresso di Neuroetica apertosi oggi all’Università di Padova. A BrainFactor – fra i patrocinatori dell’evento – Domenica Bruni del Dipartimento di Scienze cognitive dell’Università di Messina ha spiegato come la scienza sia oggi in grado di ripercorre le “vie molecolari delle emozioni”.

Professoressa Bruni, quante sono le molecole coinvolte nella “chimica dell’amore”?

Serotonina, norepinefrina e dopamina sembrano esercitare un ruolo molto importante nell’innesco della passione amorosa. L’amore con tutte le sue caratteristiche (pensiero invadente, energia intensa, esaltazione della persona amata e sbalzi d’umore solo per citarne alcune) sarebbe determinato da bassi livelli di serotonina nel sangue. Gli stessi livelli di serotonina sono presenti nelle persone ossessivo-compulsive e questo spiegherebbe come mai non possiamo fare a meno di pensare alla persona che amiamo. La fase dell’attrazione è caratterizzata, inoltre, dalla presenza di alti livelli di dopamina e di norepinefrina. Gli alti livelli di questi due neurotrasmettitori causano sensazioni di euforia, perdita dell’appetito, insonnia e attenzione focalizzata. La stessa cosa accade nel mondo degli animali non umani durante la scelta del partner. La dopamina è la maggiore responsabile del sentimento amoroso. Essa è cruciale nel sistema di ricompensa e motivazione del cervello.  Saremmo, dunque, vittime impotenti di un istinto biologico. L’emozione dell’amore sarebbe un impulso al pari della fame e della sete. Esattamente, come quando si ha fame alcuni segnali interni inducono a mangiare per ripristinare l’equilibrio dell’organismo, allo stesso modo esistono segnali che ci rendono disponibili ad una relazione amorosa. Nella fase di infatuazione sembra, inoltre, che parti del cervello che hanno a che fare con il giudizio sociale e le emozioni negative siano inibite. Questo ostacolerebbe di molto la nostra capacità critica, tanto da idealizzare la persona oggetto del nostro amore che vediamo attraverso “occhiali tinti di rosa”, rimanendo beatamente inconsapevoli dei suoi difetti. La fase dell’infatuazione dura un minimo di sei mesi e tende a svanire dopo tre anni di relazione. A meno che non la si viva nella fase dell’adolescenza. Uno dei motivi che rende l’adolescenza un percorso accidentato è che gli adolescenti sperimentano la fase dell’attrazione in maniera più forte rispetto agli adulti e non riescono a passare alla fase successiva, ossia a quella dell’attaccamento.

Una relazione sentimentale, come lei sottolinea, evolve nel tempo, cambiando le aspettative e le emozioni vissute. Vale anche per le molecole coinvolte? C’è un ordine nelle reazioni chimiche negli innamorati?

È possibile rintracciare la risposta seguendo il corso della storia evolutiva propria delle creature umane. Una storia che è caratterizzata dallo sviluppo di tre sistemi cerebrali, tre chiavi d’accesso per rendere possibili i comportamenti finalizzati alla riproduzione. Faccio riferimento agli studi dell’antropologa cognitiva di Helen Fisher, della Rutgers University nel New Jersey, che studia l’amore da trentacinque anni. La Fisher individua nell’amore tre fasi distinte: il desiderio (o libidine), l’attrazione (amore romantico) e l’attaccamento. Ciascuna di esse coinvolge distinti sistemi cerebrali caratterizzati da una specifica biochimica. La libidine spinge ciascun individuo alla ricerca di un rapporto sessuale. In questa fase a farla da padrone sono il testosterone negli uomini e gli estrogeni nelle donne. Il ruolo dell’attrazione romantica è, invece, quello di direzionare e focalizzare questa attenzione indifferenziata verso un individuo particolare. Responsabili di questa fase sono tre potenti sostanze chimiche: adrenalina, dopamina e serotonina. Solo successivamente entra in gioco l’attaccamento uomo-donna evolutosi per garantire protezione, sicurezza e cure adeguate alla prole. In questa fase ci vengono in aiuto le endorfine e ormoni come l’ossitocina e la vasopressina. Il rilascio delle endorfine è stimolato da rapporti stabili nel tempo. Le endorfine creano la sensazione della dipendenza, in maniera tale che se il nostro partner è lontano desideriamo che torni.

Ad oggi quali aspetti dell’amore, se ci sono, non sono spiegabili scientificamente?

L’amore è una modalità di conoscenza, non è soltanto un comportamento manifesto. Esso si trova nella testa delle persone tanto quanto nelle pratiche sociali e dà una forma alle loro menti che si misura su un terreno che è evidentemente cruciale per la teoria dell’adattamento, come la riproduzione. Se l’insieme dei vincoli naturali (biologici, percettivi, cognitivi) fosse in grado di spiegare interamente il fenomeno a cui siamo interessati, l’amore e l’attrazione sessuale sarebbero completamente naturalizzati. Sfortunatamente, le scienze naturali non sono in grado di rendere conto di tutte le manifestazioni dell’amore. La definizione in termini biologici ed evoluzionistici della sessualità, ossia l’idea che essa consiste nello scambio tra due diversi individui della medesima specie di metà del proprio corredo genetico, sembra essere in grado di spiegare forse interamente la sessualità degli altri animali, ma lascia nel mistero numerosi fatti umani. Nelle creature umane sembrano intervenire aspetti forse suscettibili anch’essi di una spiegazione naturale ma che ricorra anche a modelli di analisi che non provengano soltanto dalle scienze naturali. Occorre prendere in considerazione anche il ruolo che la conoscenza svolge nelle dinamiche dell’attrazione e dell’innamoramento. Negli esseri umani, amarsi e fare sesso non è solo una questione di scambio di codice genetico, ma anche un modo di conoscersi e di “conoscere” la realtà. La scienza spiega senz’altro il meccanismo dell’amore ma non perché ci innamoriamo di una persona piuttosto che di un’altra, né le innumerevoli idiosincrasie presenti nei comportamenti umani e nelle preferenze degli individui.

La spiegazione scientifica di un sentimento, spesso vissuto come irrazionale, potrebbe avere effetti sulla psicologia di una persona romantica?

«Spiegami, Amore, ciò che non so spiegare».  Sono i versi iniziali della poetessa austriaca Ingeborg Bachmann che implora l’amore di spiegarle il suo linguaggio segreto. Apprezzeremmo meno la musica di Johann Sebastian Bach se ne conoscessimo le tecniche d’esecuzione? Il rosso di un tramonto smetterebbe di esercitare il suo fascino se fossimo in grado di enumerare con esattezza le particelle microscopiche responsabili della maggiore o minore intensità del colore rosso? Credo proprio di no. Conoscere i fenomeni, a mio avviso, ne esalta ancora di più il fascino e la poesia. Se questo discorso, però, non vi convince e pensate che ridurre l’amore a una serie di componenti biochimici rovini il romanticismo, potreste trarre un pò di conforto dal fatto che la scienza non ha ancora tutte le risposte. La spiegazione scientifica dell’amore, tuttavia, può tornarci utile sotto un altro punto di vista. Se la nostra relazione, ad esempio, va male si può sempre trovare conforto nel pensare che, in fondo, si tratta solo di quelle fastidiose sostanze chimiche che ci hanno fatto innamorare.

Domenica Bruni è docente a contratto presso il Dipartimento di Scienze cognitive dell’Università di Messina. Si occupa di linguaggio, evoluzione e natura umana. Tra le sue pubblicazioni: “Storia naturale dell’amore” (Carocci, 2010); “Politici sfigurati. Comunicazione politica e scienza cognitiva” (Mimesis, 2012).

Intervista di Alessandra Gilardini, Ph. D.

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