Perché mi sono cancellato

Perché mi sono eliminato da FaceBook? Perché volevo ritrovare il piacere di guardare in faccia le persone mentre cammino per la strada e riavere indietro tutto il mio tempo. Tanto divertenti le mille “app” che popolano i nostri smartphone (e le nostre menti), quanto assorbenti come i buchi neri. A quel punto ho eliminato anche il BlackBerry e sono ritornato a un cellulare che fa solo telefonate e sms, a “ricarica”.

E – già che c’ero – ho chiuso anche il conto corrente bancario su cui erano domiciliati una serie di servizi con prelievi in automatico da carta di credito, fra cui la chiavetta internet per il notebook e altre cose di cui, in realtà, posso fare a meno o posso gestirmi “al bisogno”: ora so sempre cosa faccio e quanto ci vengo a spendere. Prima era quasi impossibile. Insomma, da una semplice azione di cancellazione di account ne è seguita una serie di “ristrutturazioni” utili al mio me mondano.

Nella fattispecie, eliminando FB dalla mia vita, mi sono liberato – e definitivamente (non ho avuto crisi di astinenza né ricadute) – dall’impulso ad aprire la app di turno per raccattare qua e là pezzi di informazione di seconda o centesima mano, da riciclare (scusate, “condividere” – sto già dimenticando il bon ton della rete) o rimestare come un brodo di dettagli che più ne hai più ne vorresti, come quando ti fissi nello scaricare volumi in pdf che non avrai mai umanamente il tempo di leggere per bene e allora o li scorri in tre minuti “per farti un’idea” (quale idea?) o li apri-chiudi almeno per vedere cosa c’è dentro nel pdf già che ci hai messo qualche minuto di download, rimandando la lettura a un domani possibile.

Un altro grado di libertà riconquistato – per me – è il fatto che ho ridotto di molto la dispersione di energie mentali: nel tempo recuperato (ed è tanto; provare per credere) posso anche non fare niente, mettermi a osservare il mondo che gira intorno a me o appuntarmi un’idea sulla carta (tengo sempre in tasca un foglio A4 ripiegato in 4 e una matita), senza il bisogno di renderla pubblica seduta stante a mo’ di citazione (interessante il fenomeno del sentirsi tutti dei piccoli Confucio su FB): che poi infatti mi ero accorto che la mia mente era spesso in funzione per pensare e ripensare frasette ad effetto da “postare” (che brutta parola, prima mi infastidiva proprio, ora mi lascia abbastanza indifferente), in attesa di apprezzamenti a suon di click o di silenzi che parlano più dei “like” da parte degli “amici”.

Non ultimo. Ogni tanto nei vecchi uffici si faceva un repulisti. E scoprivi di avere scritto pagine e pagine di tuo pugno, lettere, appunti di riunioni, circolari a tonnellate (per gli associati che pagavano una quota non da ridere per quello), e ti chiedevi: “ma se avessi impegnato tutto questo tempo a scrivere un libro?” Perché poi, o tenevi tutto (non ammesso) o buttavi senza porti il problema di cosa fosse opportuno tenere, altrimenti avresti tenuto tutto meno un 10% che non era la soluzione. Cioè, tutta roba che andava al macero. Ecco, questo mi ritorna alla mente quando vedo i chilometri di parole buttate in “post” che vivono (negli altri a cui sono destinate) quell’attimo del sorriso affettuoso / disgustato (l’emozione frugale del più o meno). In effetti non tutto quello che uno mette sui “social” potrebbe avere valore letterario (dico del mio, certamente), ma a rendersi conto di quanto si è scritto così per il gusto di farlo e – al contrario – di quanto si sarebbe potuto mettere in un “diario” all’antica, su carta, che resta proprio, nel cassetto basso che si apre poco, ma resta lì pronto per chi un domani lo vorrà riaprire, sfogliando le pagine, osservando i cambi di stile, di colore, di penna o matita, di calco sulla pagina… Scoprendo il tuo mondo, entrando nel tuo profondo con discrezione.

Insomma, i social media per come oggi li conosciamo sembrano sancire l’azzeramento della riflessione (parlo sempre per me), in certo modo abituando (costringendo?) il pensiero e la parola alla frammentazione per punti, pronti da appendere lì in bacheca con la puntina o come in certi uffici certe persone una volta appendevano i post-it con la “frase del giorno” per dare qualcosa d’intendere ai colleghi senza mai però esplicitare il nocciolo della questione. Può anche essere che la riflessione oggi non sia più necessaria, che basti restare in superficie (in università si studia sulle slide). Forse si vive meglio. Non so, io sto meglio adesso. Ho ritrovato il mondo materiale e se voglio parlare con qualcuno lo fermo per la strada piuttosto. Poi è bello anche andare in controtendenza…

In realtà, se ci prestiamo un minimo di attenzione… Sembra stia iniziando a “fare tendenza” proprio l’eliminarsi dai vari social media. Ad esempio, c’è questo studente di Web Technologies alla Portsmouth University, in Inghilterra, che, dopo aver notato quanto sia difficile eliminarsi da Skype, qualche giorno fa (il 20 agosto) ha deciso – lui che studia per diventare uno sviluppatore del web – di mettere in rete un sito semplice semplice per aiutare la gente a cancellarsi da social network e servizi vari, considerato il fatto che molti di questi utilizzano tecniche di “dark pattern” (cercare di far desistere dall’operazione di cancellazione per sfinimento, alcuni addirittura richiedendo, nell’anno del Signore 2013, una domanda inviata per raccomandata).

Lui si chiama Robb Lewis e la sua creatura justdelete.me In sole 24 ore ha avuto quasi un migliaio di visite. Non tantissime, per i numeri che girano in rete, ma significative di un trend in atto. Chissà cosa ne pensano i vari Zuckenberg e colleghi. Ora sapete come fare. Basta un click. E vi ritrovate vivi, in carne e ossa. Facendo tendenza.

Allora, justdelete.me!

Marco Mozzoni

PS – Poi c’è qualcuno che non c’è mai stato su FaceBook e non ci sarà mai, per scelta, come Giangiuseppe Pili, che spiega le sue “ragioni” su ScuolaFilosofica, un progetto con grandi ideali che ha per claim “All we need is Philosophy!” (mi piace assai). Questo il link: http://www.scuolafilosofica.com/2430/perche-non-sono-su-facebook

Image credits: JuliusKielaitis / Shutterstock.com

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Marco Mozzoni
Direttore Responsabile

4 Comments on "Perché mi sono cancellato"

  1. c’e’ poco da dire, i social network attirano con strategie da “pusher telematici” e tengano l’attenzione focalizzata su di essi, anche una volta spento il pc, la mente col pensiero va alle attivita’ telematiche fatte o che si dovrebbe fare sui social, o sui forum…dispersione reiterata delle energie mentali per essere stati intrappolati in un sistema psicologico di eterno ritorno all’esperienza virtuale che nulla di concreto offre. L’informatica era intesa per scopi reali, pratici, come strumento per imparare, per acculturarsi, acquisire nozioni, conoscienze, di studio, le grandi corporation del business come sempre succede con i giochi che funzionano, ne prendono il possesso e li trasformano in remunerativi sistemi di vendita del nulla abbellito da effetti speciali e scenografie accattivanti.

  2. Anke io ho preso questa decisione
    Mi son autosposeso ma non cancellato, poi lo farò, e devo dire che non mi manca per niente fb.
    Non ci si rende conto che dopo un po’ tutti quanti, persino persone che non si conosce nemmeno sanno tutto di te della tua famiglia e della tua vita.
    Sei un grande!

  3. Pure io mi sono cancellata. Ero iscritta da ben sette anni e ho notato che non mi interessa più’ e non mi interessa condividere la mia vita con tutti. Sara’ anche la eta’ più’ avanzata, ma forse e’ un social network più’ adeguato ai ragazzi giovani

  4. cancellata pure io.

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