A tavola con Jung

A tavola con Jung.Sappiamo che Nietzsche amava uova, noci, mele, marzapane e biscotti. Ma una sola era la sua passione travolgente: la salsiccia. Si racconta che  nell’anno 1880 la quasi totalità della sua corrispondenza epistolare con la madre fu costituita da una serie interminabile di ordinazioni di prosciutti e salumi, che egli appendeva delicatamente e con cura, tramite una cordicella, alla parete…

D’altronde non potevamo certo aspettarci un’insalata di pasta dal celebre cantore di Dioniso, con buona pace del maestro Battiato che in Tramonto Occidentale canta: “Nietzsche era vegetariano, scrisse molte lettere a Wagner”. Ma Jung (nella foto) non era Nietzsche, troppo romantico e nichilista, quasi pre-decadentista. Non era nemmeno Freud con l’immancabile caffè scuro e l’amato sigaro, a pranzo come in seduta. Da buon svizzero suppongo che Jung amasse la cioccolata. Ma non la Sacher.

«Cioè, lei praticamente non ha mai assaggiato la Sachertorte?»
«No.»
«Va be’. Continuiamo così. Facciamoci del male! »
(Nanni Moretti, Bianca)

A tavola con Jung

Uno strato unitario di cioccolato. Organizzato, stabile, compatto. In profondità, nascosto alla vista, un sottile ripieno di confettura di albicocche o ciliegie, rimosso ma pronto a uscire fuori dalla fetta e a macchiarci, inconsciamente, la camicia. E la panna montata, quale libido! Una spinta pulsionale ed autodistruttiva per la linea. Dopo aver mangiato, quel senso di colpa, quella censura terribile: “Dai, papà, non farmi una testa così per il colesterolo”.

La sacher ha una impostazione tutta freudiana! Per fortuna Sabine si ricordava sempre di inserire nella torta per il suo Carl noci tritate, cocco e liquore all’arancia. Un miscuglio straordinario di sapori dove non c’è più un centro ma tutto è relazione. Perché limitare così tanto la marmellata? Facciamola emergere in superficie, il tutto coronato e avvolto dall’abbraccio con una suggestiva crema di gianduia, come suggerisce la grande madre,  un contenitore universale, una delizia mistica. Un donauwellen.

A tavola con Jung

“La volta scorsa avevamo fatto l’ipotesi che mangiare significasse l’assimilazione dei complessi. Sono psichiatra da venticinque anni e ho analizzato più di duemila sogni: basandomi su questa esperienza direi  che con ogni probabilità  proprio il mangiare, in connessione con la drammaturgia teatrale,  significhi l’assimilazione delle immagini riflesse nel proprio teatro interno” (Carl Gustav Jung, Analisi dei sogni).

Nacque così la psicologia analitica. Un celebre giorno del 1912, la Sacher dovette andare proprio di traverso a Jung. Gli si attaccava al coltello, era poco cotta. E Jung odiava la frolla poco cotta. Fu questa l’ispirazione per il grande passo, la pubblicazione di Trasformazioni e simboli della libido. L’inconscio per Jung è come la marmellata per la Sacher: non può essere solo una traccia di una esperienza dimenticata e rimossa ma è pregna di significato, è simbolo a sua volta di uno strato più profondo in cui è depositato il patrimonio psicologico dell’umanità, l’inconscio collettivo.

Il nostro inconscio personale è sede dei complessi, dove con il termine complesso ne “I tipi psicologici” Jung definisce l’insieme delle rappresentazione – immagini e idee – che si riferiscono a un determinato avvenimento ricco di tonalità affettiva. Ogni complesso è personalità autonoma, un frammento scisso e organizzato della psiche dotato di energia autonoma. L’essere umano è relazione sin dal suo primo vagito, è relazione con gli altri e con se stesso, al suo interno, nei suoi molteplici centri, nei brandelli di psiche che costituiscono l’Io.

E guai ad essere neutrali per Jung, a stendere un paziente sul lettino: molto meglio il vis a vis e tenere il paziente alla pari, “fronte contro fronte”, per assumere con sé la sofferenza dell’altro e lasciarsi contagiare. Guardare. Ascoltare. Dialogare. Attivare la relazione con il paziente come se si stesse accedendo a un se stesso sconosciuto. Il primato non è il pensiero ma l’affettività.

“L’esperienza che finora abbiamo circa la natura dei contenuti inconsci ci consente però di compierne una certa classificazione generale. Possiamo distinguere un inconscio personale che comprende in sé tutte le acquisizioni dell’esistenza personale, dunque cose dimenticate, rimosse, percepite, pensate e sentite al di sotto della soglia della coscienza. Accanto a questi contenuti inconsci personali esistono però altri contenuti che non provengono da acquisizioni personali, ma dalla possibilità di funzionamento che la psiche ha ereditato, cioè dalla struttura cerebrale ereditata. Queste sono le trame mitologiche, i motivi e le immagini che in ogni tempo e luogo possono riformarsi indipendentemente da ogni tradizione e migrazione storica. Questi contenuti io li denomino collettivamente inconsci” (Jung, tipi psicologici).

A tavola con Jung

Forse per Jung nella società moderna c’è più posto di quello che pensiamo. Aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più: è Carl Gustav Jung! Ricordiamolo quando abbiamo davanti  la sensorialità parossistica di un border line, la drammatizzazione teatrale dell’istrionico, il desiderio di un contatto relazionale e affettivo dell’evitante o schizoide. Ma questo vale per ognuno di noi, immerso nella società liquida, nella bella definizione del sociologo Zygmunt Baumann. 

Noi siamo relazione ma ci siamo liquefatti. Si sono liquefatti i legami tra gli individui, il lavoro, la comunità. Siamo ridotti a brandelli di psiche. Siamo una goccia d’acqua che cade sul griglio selciato di pietre roventi, una lacrima ambrata che imperla il viso e incendia la fioca lanterna del cuore.  Liquida è la società dell’amore di plastica, chimica chimera che attiva solo ormoni e dopamina, l’incontro tra persone che non si conoscono e non si conosceranno.

Liquida è la società del lavoro, guscio di candida conchiglia vuota, rancida carne di mollusco, interinale o subordinato, usa e getta, navigato, soddisfatto e mai rimborsato. Tante bolle di liquido vivo e sempre in movimento, Bernoulli e Poiseuille. Consideriamo la nostra semenza: ogni goccia nasconde al suo interno un microcosmo, un universo, un oceano che riflette un arcobaleno di speranza.

Che cosa abbiamo fatto oggi? Tutto questo non è stato altro che un gioco. Un gioco, un immagine, un incontro. Perdonate il mio divertissement, le mie metafore irrispettose. Forse Jung avrebbe sorriso, Freud un po’ meno, ma spero almeno di essere piaciuto ad Italo Calvino, che voglio ricordare nel suo 90° compleanno con una delle sue frasi più belle: “Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.

Jakob Panzeri
Studente CdL Medicina e Chirurgia
Università degli Studi di Milano Bicocca

1 Comment on "A tavola con Jung"

  1. Gli aggettivi nichilista e predecadentista associati a Jung sono completamente fuori luogo.

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