La polarizzazione della scienza

Fatti non foste a viver come bruti…

Ci abbiamo sbattuto la testa sui social, non solo durante il lockdown. Lo stiamo vedendo nei dibattiti televisivi – se così ancora possono chiamarsi – sulla guerra alle porte d’Europa. Per non parlare delle liste di proscrizione… O di qua o di là. Non c’è più spazio per una analisi non schierata, per una valutazione critica, per una “terza via” possibile. Non c’è più spazio per il dialogo.

Esprimere anche soltanto un dubbio sulla visione prevalente in un determinato contesto o momento non è ammesso. Si rischiano processi sommari, condanne, insulti. Vedere persone di cultura scannarsi come fuori dallo stadio è un brutto segnale di regressione alle difese primitive, anzi di vera e propria “recessione cognitiva”, se posso usare una metafora diagnostica inventata di sana pianta.

Come abbiamo fatto a scendere così in basso in così poco tempo? È bastata l’impreparazione generale di fronte a una pandemia a farci perdere la bussola? A spaventarci a tal punto da preferire nasconderci nel branco, perché non più in grado – se mai lo siamo stati – di vivere frammentati ciascuno nella sua precaria individualità?

Delia Baldassarri, docente alla New York University, riconduce la prorompente emergenza dello schieramento di campo a una fondamentale “polarizzazione affettiva” che plasmerebbe non solo le opinioni politiche, ma anche preferenze e comportamenti della vita quotidiana, al punto da spingerci a non rivolgere nemmeno la parola a persone con posizioni differenti dalla nostra.

“Questa forma di identificazione partigiana – spiega la sociologa in un recente studio – è alimentata principalmente da un meccanismo di attaccamento / repulsione emozionale piuttosto che da ideologie politiche o interessi materiali, come è accaduto in ambito sanitario per quanto riguarda la decisione di vaccinarsi o non farlo o di mettere o non mettere la mascherina” [1].

Sembra essere venuta meno la mediazione del ragionamento, quando non la stessa facoltà di giudizio che ci distingue dai bruti. Il guaio è che succede anche nella scienza. Lo sostiene tra gli altri la storica della scienza Liv Grjebine, denunciando che mai come in questo periodo “le visioni scientifiche risultano pericolosamente politicizzate e polarizzate” [2].

Del rapporto dinamico tra politica e scienza se ne può discutere a lungo, portando altrettanti esempi di vizi e virtù. In questo contesto ci interessa riflettere sul fatto che, come sottolinea la ricercatrice, “i disaccordi nella scienza sono necessari per il progresso, ma quando ciascuna parte dà la propria definizione di scienza, la verità scientifica diventa questione di opinioni”.

E che, nei fatti, in particolare in USA, “l’accettazione o il rifiuto della scienza è sempre più determinato da affiliazioni politiche che minacciano la stessa autonomia degli scienziati, i quali, temendo ripercussioni, evitano di mettere in discussione certe ipotesi…” Fine della storia. E del progresso.

D’altro canto, come aggiunge Roderik Rekker dell’Università di Gothenburg, “negli ultimi anni la polarizzazione delle persone nei confronti della scienza ha raggiunto livelli allarmanti” [3]. Perché? Semplicemente perché ormai la gente ha la tendenza a ignorare le informazioni che contraddicono la propria “identità partigiana o ideologica”, anche quando si tratta di “fatti” che hanno evidenza e consenso nella comunità scientifica.

Questo sia in forma esplicita (consapevole) sia in forma implicita (inconsapevole). Nel primo caso si parla di “rigetto ideologico”, nel secondo di “rigetto psicologico”. Lo svedese sviluppa poi un modello a tre fattori che concettualizza la polarizzazione della scienza come intersezione tra fatti, affermazioni scientifiche, convinzioni politiche, emergente da un mix di conoscenze scientifiche, ideologie basate su affermazioni scientifiche, polarizzazioni da credenze fattuali.

Nell’immagine: la polarizzazione della scienza secondo Rekker (2021, open access)

Tra l’altro, sembra che la polarizzazione non faccia male soltanto allo spirito…

I ricercatori della Northeastern University di Boston hanno appena pubblicato sul primo numero della nuova rivista della National Academy of Sciences americana, PNAS Nexus, uno studio che dimostra come questo fenomeno possa avere effetti dannosi addirittura sulla salute fisica (oltre che mentale) delle persone: “quanto più una persona si sente politicamente distante dalla media dei votanti dello Stato in cui vive, tanti più giorni di malattia riporta” [4], fanno sapere i ricercatori dopo aver analizzato i dati di un campione di 3.000 americani.

La “polarizzazione partigiana”, concludono, non è pertanto solo un problema per la politica, ma può diventare anche una preoccupazione sanitaria. Come dire, per non farci mancare proprio niente.

Ma fenomeni di questo genere non sbocciano in una notte. Hanno radici lontane. Il guaio è che quando arrivano a saturare gli animi, spesso tendono a esplodere, con conseguenze inimmaginabili. E quasi ci siamo. Armi nucleari e trincee da prima guerra mondiale. Che tristezza.

Allora noi continuiamo a pensare che lavorando giorno per giorno a ridurre i pregiudizi, agevolando la conoscenza reciproca attraverso un rinnovato contatto sociale, cercando di metterci ogni tanto nei panni dell’altro per comprenderne le prospettive, ponendoci obiettivi “sovraordinati” in grado di trascendere le rispettive posizioni verso un senso di identità condiviso di matrice planetaria (siamo o no un’unica specie?), siano solo alcune delle possibili soluzioni.

Perché alla inevitabile sconfitta dell’umano preferiamo, come sempre e di gran lunga, l’utopia.

Marco Mozzoni

Note:

  1. Delia Baldassarri, Scott E. Page, “The emergence and perils of polarization”, PNAS 2021 Vol. 118 No. 50 https://doi.org/10.1073/pnas.2116863118
  2. Liv Grjebine, “Politicized, polarized scientific views are worse than ever”, PhisOrg, 26 May 2021, https://phys.org/news/2021-05-politicized-polarized-scientific-views-worse.html
  3. Roderik Rekker, “The nature and origins of political polarization over science”, Public Understanding of Science, 2021, Vol. 30(4) 352–368 https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/0963662521989193
  4. Timothy Fraser et al., “The harmful effects of partisan polarization on health”, PNAS Nexus, 2022, 1, 1–10 https://academic.oup.com/pnasnexus/article/1/1/pgac011/6545770

Photo by Brendan Church on Unsplash

Articolo originale pubblicato su “Reputation Today”, n.33, giugno 2022, direttore scientifico Isabella Corradini, direttore responsabile Giuseppe de Paoli

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Marco Mozzoni
Direttore Responsabile

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