Il presente articolo costituisce, mi sia passato il termine, una sorta di “depotenziamento dei sistemi di riferimento” rispetto alle più condivise definizioni di “ipnosi”. In un’ottica che non vuole risultare svalutativa, chi scrive intende però porre le basi per destrutturare criticamente alcune descrizioni operative che probabilmente poco rendono merito alla complessità del fenomeno in discussione… (di Alessandro Baffigi)
Si lascerà quindi il campo ad una successiva sistematizzazione dei modelli ad oggi maggiormente discussi, condivisi ed in grado di spiegare un fenomeno così naturale da risultare per i più ancora tristemente ammantato di un’aura di mistero; esistono infatti svariati approcci teoretici e strumentali in grado di restituire all’ipnosi la propria specificità di stato di coscienza e offrire alla psicoterapia ipnotica quel background scientifico che per molto tempo è rimasto confinato in ad una sorta di “riverenza” nei confronti della caleidoscopicità delle sue manifestazioni. L’insieme di questi approcci sarà dettagliato in un successivo contributo.
“Nell’oscurità le parole pesano il doppio”
Elias Canetti, 1973
Depotenziamento di definizioni coscienti
Nell’approcciarsi ad uno studio sistematico del fenomeno ipnosi risulta, a parere di chi scrive, indispensabile alcune precisazioni terminologiche. Molto spesso i termini “trance” e “ipnosi” sono utilizzati come sinonimi per via delle evidenti sovrapposizioni di funzionamento nell’uno e l’altro stato.
Il termine “trance” rimanda più propriamente a quello di “stato modificato di coscienza” o “stato alterato di coscienza” (per gli alglofoni, Altered State of Consciousness, spesso abbreviato in a-Soc); un insieme di condizioni in realtà estremamente multiformi che spaziano dal semplice assorbimento in una attività, alla defocalizzazione (O’Hanlon, A Guide to Trance Land, 2009, W.W. Norton & Company), fino agli estremi degli stati estatici (Baruss, 2003).
Per una definizione esaustiva del concetto di trance si rimanda al prezioso paper di Pennati (2011) che ha il pregio di dettagliare nello specifico le caratteristiche comuni agli stati alterati di coscienza. Possiamo, in linea con il contributo citato, definire uno stato di trance come un “[…] campo di probabilità nel quale si verificano determinati fenomeni tra loro più significativamente associati” (ibidem); tali fenomeni spaziano dal ridotto controllo della coscienza, alla frequenza di comportamenti ideodinamici, alla logica specifica di trance (McConkey K.M., Bryant R.A., Bibb B.C., Kihlstrom J.F, 1991), alla focalizzazione attentiva interna o esterna, a distorsioni percettive (condensazione o espansione temporale, regressione o progressione nel tempo, illusioni o allucinazioni visive, sinestesie) o della memoria (amnesia specifica, strutturata, ipermnesia).
Quando si parla più di ipnosi in modo più specifico le definizioni risultano però straordinariamente variabili a seconda dell’aspetto che gli Autori cercano di sottolineare.
Una primaria distinzione deve però riguardare i termini di “ipnosi” e “trance”, troppo spesso sovrapposti e utilizzati come sinonimi. L’ipnosi può essere considerato un “dispositivo induttore” (Pennati, 2011) del fenomeno di trance. Ad oggi, riguarda l’utilizzo della trance con un proposito specifico (regolato da precise regole deontologiche, etiche e legali nella società memetico-istituzionale) all’interno di un Rapport, definito da Erickson come “lo stato in cui la concentrazione e la consapevolezza del soggetto sono dirette unicamente sull’ipnotista e su quanto l’ipnotista desidera inserire nella situazione di trance, con l’effetto di dissociare il soggetto stesso da ogni altra cosa” (1980). Il Rapport risulta quindi una condizione di reattività simmetrica al mondo dell’altro (Ibidem) che trascende/include i moderni concetti di Alleanza Terapeutica, ed è connotato, per alcuni Autori, da sincronia psico-fisiologica (Banyai, 1989).
Ciò posto, per partire da una concettualizzazione assai ampia del fenomeno ipnosi, possiamo rifarci alla definizione della British Medical Association che, per quanto datata (1955) risulta ancora largamente condivisa:
“L’ipnosi è una condizione temporanea di modificazione della percezione che può essere indotta da un’altra persona in un soggetto e in cui possono comparire, spontaneamente o in risposta a stimoli verbali o non verbali, una varietà di fenomeni. Questi fenomeni includono alterazioni della coscienza e della memoria, una aumentata suscettibilità alla suggestione e la produzione nel soggetto di risposte o di idee a questi non familiari in uno stato mentale ordinario” (BMA, 1955, 1982; la traduzione è mia).
Chi scrive risulta perplesso nel leggere come l’ipnosi possa essere definita, per sua natura, una modificazione della sfera percettiva: tanto varrebbe identificare uno stato (meglio definibile come una tra le modificazioni della coscienza) con un fenomeno derivante da quello stato (ad esempio l’allucinazione visiva o la visione a tunnel). Permane poi una tendenza a identificare con il concetto di “suggestione” l’intera pratica ipnotica, come se soltanto chi si mostri “suggestionabile” (e può essere testato in questa capacità umana da svariate scale appositamente create dagli sperimentatori) riesca ad accedere efficacemente allo stato ipnotico.
Milton Erickson, lo psichiatra americano che più di tutti ha influenzato modalità terapeutiche e utilizzo dell’ipnosi moderna, ha apertamente sfatato questo mito precisando come ogni individuo, con opportune tecniche verbali, paraverbali e non verbali, acuta osservazione ed un Rapport ben instaurato, possa essere ritenuto ipnotizzabile (Erickson & Rossi, 1979, 1980). Ma prescindendo da ciò e continuando in un breve excursus, per altri (Brann et al., 2012) l’ipnosi può essere considerata come un “incremento del focus attentivo su una singola esperienza mentre il focus su altri stimoli decresce. Ciò conduce ad una sospensione di vari processi di pensiero come la capacità di riflettere e il pensiero critico.” (Pag. 20, traduzione mia).
Rileggendo definizioni di questa sorta, non possiamo non notare come la loro vaghezza renda sicuramente possibile un accordo condiviso, ma poco o nulla spieghi sulla natura dell’ipnosi e sulla sua specificità come stato modificato di coscienza. Esistono in realtà una copiosa messe di definizioni per il fenomeno, che ora mettono in rilievo un aspetto, ora l’altro; districarsi tra queste è impresa purtroppo difficile anche per lo studioso esperto. Resta il fatto che molte definizioni “operative” risultano vaghe e precisano poco di teoreticamente utile per il costrutto in esame.
Un esempio su tutti è la definizione della Division 30 dell’American Psychological Association, che ufficialmente caratterizza l’ipnosi soprattutto in base a come viene indotta o a come si manifesta:
“[…] al soggetto è comunicato che saranno presentate suggestioni per esperienze immaginative. In stato di ipnosi, una persona (il soggetto) è guidata da un’altra (l’ipnotista) a rispondere a suggestioni per modificare l’esperienza soggettiva, per sviluppare alterazioni nelle percezioni, sensazioni, emozioni, pensieri o comportamenti […] Se il soggetto risponde alle suggestioni, si può generalmente inferire che sia stato indotto lo stato di ipnosi. Molti ritengono che la risposta ipnotica e le esperienze ipnotiche siano caratteristiche dello stato ipnotico. Mentre alcuni ritengono non sia necessario utilizzare la parole “ipnosi” come costitutiva dell’induzione ipnotica, altri la ritengono essenziale” (Green et al., 2005).
Ancora, il fatto di rispondere alle suggestioni non può caratterizzare in toto la definizione di ipnosi; risulta peraltro discrimine del clinico il cogliere come vi possano essere delle tendenze all’accondiscendenza o al compiacimento (Deirde Barrett, 2010) che possono, un esempio su tutti, fare in modo che il soggetto leviti effettivamente il braccio o la mano senza che un reale automatismo si sia prodotto e mantenga una sorta di catalessi simulata in uno stato di tonalità muscolare non bilanciata (Erickson & Rossi, 1980).
Risulta evidente che simili definizioni, per quanto indispensabili da un punto di vista descrittivo, non riescano a cogliere gli aspetti centrali del fenomeno ipnosi, né si focalizzino con precisione sul proprium della trance ipnotica: una notte nera in cui tutte le vacche sono nere. E’ d’altronde la stessa Division 30 dell’A.P.A. a precisare come:
“La definizione attuale e la descrizione [dell’ipnosi] non dovrebbero essere considerate un prodotto finito. Auspicabilmente, esse continueranno ad evolversi insieme alle varie organizzazioni che se ne occupano e attraverso i nuovi dati che si aggiungeranno, verso una comprensione dell’ipnosi” (Green et al., 2005)
Così, come spesso capita per gli oggetti del sapere particolarmente complessi, è bene notare come molti Autori si concentrino su come essi fenomenologicamente appaiano; ovvero quali caratteristiche li contraddistinguono. Il termine in Letteratura è “operative”, perché offrono una descrizione che potrebbe aiutare il clinico nel comprendere l’utilizzo dell’ipnosi all’interno del setting terapeutico.
Una prima fondamentale considerazione è che non esiste una ferma linea di confine tra alterazioni di coscienza ipnotiche e non ipnotiche. Nella vita quotidiana ognuno di noi sperimenta modificazioni della coscienza utili a meglio comprendere l’esperienza ipnotica; Milton Erickson indicava l’insieme di questi fenomeni con il termine “common everyday trance” (Erickson & Rossi, 1980). Anche Ernest Hilgard (1977), uno dei più rigorosi studiosi e promulgatore del paradigma Neo-Dissociativo, giunge a scrivere che “all’incirca tutte le esperienze caratteristiche dell’ipnosi possono essere rintracciate in occasioni in cui l’ipnosi, perlomeno l’ipnosi formale, non sia stata indotta.”
Con Spiegel & Spiegel (2004) possiamo elencare qualcuno di questi fenomeni quotidiani: il daydreaming, quell’attività di fantasticheria che ci astrae dall’attività ordinaria di pensiero o quando ci “incantiamo”; mentre siamo particolarmente assorti nella lettura di un libro o nell’osservare un pensiero (esperienze di defocalizzazione le prime, di assorbimento le seconde per Bill O’Hanlon (in Del Castello, Casilli, 2007); non ultimo, in medicina, l’effetto placebo particolarmente studiato in relazione all’ipnosi riguardo ai metodi per il controllo del dolore.
Ad estremi più particolari, le esperienze di sonnambulismo o i fenomeni di esclusione del dolore in situazioni di emergenza (si pensi al soldato che, colpito durante un’azione di guerra, si accorge della ferita soltanto a scontro terminato) e al meccanismo dissociativo che ci protegge dal ricordo di eventi traumatici (Spiegel & Spiegel, 2004).
Ognuno di noi esperisce quindi quotidianamente svariate modificazioni di coscienza che possono rendere più agevole la comprensione di che cosa sia l’ipnosi, perlomeno da un punto di vista descrittivo.
Una seconda considerazione è che risulta evidente come una serie di definizioni “operative” ci descrivano “come” si manifesti il fenomeno ipnosi, non rispondendo però della difficoltà di definire l’oggetto in sè: in altre parole, le definizioni più “fenomenologiche” poco differenziano l’ipnosi da un altro qualsivoglia stato alterato di coscienza; queste definizioni non costituiscono “modelli” esplicativi, non rifacendosi ad una teoria di riferimento sottostante all’ipnosi come specifico fenomeno di modificazione della coscienza.
Esiste tuttavia un sostanziale accordo tra gli Autori su alcune delle variabili fenomeniche dello stato di trance ipnotica; tali caratteristiche possono essere riassunte come segue:
- riduzione del pensiero critico, del test di realtà e tollerabilità delle distorsioni della realtà: l’orientamento alla realtà si basa su una cornice di riferimento in cui l’individuo interpreta e conferisce significato all’esperienza. In stato di ipnosi, tale orientamento risulta in un certo grado sospeso, riducendo di conseguenza il pensiero critico (Clarke e Jackson, Malott, Bourg & Crawford, 1989).
- aumentata vividezza immaginativa: le immagini che vengono prodotte risultano essere più vivide, e per via della caratteristica precedente, accettate come più realistiche
- cambiamenti nella volontà e alterazione dell’attività muscolare volontaria: possono esistere risposte motorie differenti dal normale stato di veglia cosciente (la catalessi, ad esempio, un fenomeno di tonicità bilanciata in cui i muscoli antagonisti hanno lo stesso grado di tensione, Erickson e Rossi, 1985) e possono essere sperimentati come cambiamenti “esterni” alla propria volontà; altrettanto i soggetti in ipnosi riportano minore fatica muscolare e aumentate performances muscolari (Burrows et al., 2001). Ciò che avviene in ipnosi viene esperito come se fosse svincolato da una partecipazione cosciente (si veda il principio ideodinamico)
- modificazioni a carico della muscolatura involontaria e del funzionamento degli organi interni: molti processi fisiologici possono essere modificati al di fuori del controllo della coscienza, come dimostrano l’evidenza clinica e sperimentale (Kiernan et al., 1995).
- alterazioni percettive: a carico delle principali funzioni percettive (Erickson & Rossi, 1980, 1979); dalla percezione del dolore alla percezione visiva
- distorsioni della memoria: ad esempio ipermnesia o amnesia strutturata per eventi in ipnosi, semplicemente indotte da istruzioni permissive dell’operatore
- innalzamento di aspettativa e motivazione
- incrementata accettazione di esperienze di fantasia come reali: in contesti di ipnosi, si può utilizzare l’immaginazione e la fantasia per produrre cambiamenti; l’ipnosi, in questo senso, può essere considerata come una “realtà vicaria” (Erickson & Rossi, 1980) o come “esperienza emotiva correttiva” per la risoluzione di disturbi psichici.
Ma, oltre alla fenomenologia osservata da clinici e sperimentatori, le moderne tecniche di indagine hanno consentito di individuare per lo stato ipnotico una specificità neurofisiologica per cui si rimanda al preciso contributo di Marco Mozzoni, di cui questo scritto è ideale continuazione.
In sostanza: al di là di definizioni operative in grado di categorizzare cosa accade in stato di “ipnosi” e su quali fenomeni un soggetto dovrebbe “mostrare” in trance ipnotica chi scrive evoca la differenza tra “descrizione” (“L’atto del descrivere e le parole con cui si descrive”, Treccani, 2010) e definizione (“Determinazione; delimitazione esatta” ibidem). Risulta quindi indispensabile rifarsi a teorie più complesse, e non soltanto descrittive, per cogliere appieno la profondità dell’oggetto di studio. Ben accogliendo i dettagli operativi, dev’essere un impianto teoretico più preciso possibile a definire quali meccanismi siano sottostanti dell’alterazione di coscienza chiamata “ipnosi” e quindi, in sequenza logica successiva, quali fenomeni facciano parte o non facciano parte delle manifestazioni di trance ipnotica in senso stretto.
Il rischio è quello di una grave sovrapposizione di ambiti: il rilassamento progressivo, la visualizzazione guidata, il training autogeno e tutte quelle forme di tecnica terapeutica che coinvolgano (ma quali in realtà non la coinvolgono?) la coscienza come parte della terapia. Tale sovrapposizione di ambiti risulta ancora più perniciosa nel momento in cui l’ipnosi viene utilizzata come forma di psicoterapia –meglio come psicoterapia con una dignità teoretica e clinica a sé stante. Esiste infatti una serie di manovre terapeutiche “di confine” (quali quelle sopra elencate) che non costituiscono però il proprium dell’utilizzo dell’ipnosi in senso psicoterapeutico. Come offrire una embrionale distinzione tra “ipnosi” e psicoterapia ipnotica?
Possiamo definire la psicoterapia ipnotica una tra le forme di psicoterapia che utilizza come strumento principale la comunicazione di tipo ipnotico e l’ipnosi formalmente indotta, dotata di un impianto teoretico peculiare e appropriato e dichiarata autonoma e con dignità “a se stante” dal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica. L’obiettivo è modificare, in ottica Ericksoniana, la qualità “mappa del mondo” e i nessi associativi (Erickson e Rossi, 1979, 1980, Zeig, 1993), consentire l’integrazione del Sé e nel Sé (Pennati et al., 2012), di parti del Sé scisse esitanti in complessi sintomatologici o di stati modificati che risultino “devaluing” (Gilligan, 1986) per l’individuo, fino a giungere al “cambiamento strutturale” mediante tecniche ipnotiche o “esperienze emotive correttive”, punto di arrivo di ogni assetto psicoterapico.
Formulate queste definizioni, è logico che il presente contributo lasci il Lettore con più domande di quante risposte possa offrire; è così inteso ed ha l’obiettivo di creare il terreno per una serie di successivi contributi di sistematizzazione definitoria, di dettaglio delle applicazioni pratiche dello “strumento” ipnosi e della psicoterapia ipnotica e di dettaglio di quei “modelli” maggiormente esplicativi dell’essenza dell’ipnosi per comprenderne il proprium teoretico e gli ambiti clinici di applicazione.
Alessandro Baffigi
Integrational Mind Labs
Bibliografia
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