La mente ecologica e l’ecologia della mente

Nella società in cui viviamo l’ecologia gioca un ruolo fondamentale: quelle che prima erano scelte di tipo personale divengono ora necessità sempre più impellenti a cui tutti siamo chiamati. Ma per cambiare le cose basta essere ecologisti? Forse, prima, è necessario fare ecologia della mente.

Il termine ecologia deriva dall’unione di due termini greci οίκος, oikos, che potrebbe essere tradotto con “casa” o “ambiente” e λόγος, logos che potrebbe essere tradotto come “discorso” o “studio”. L’ecologia si propone quindi di studiare l’ambiente e viene inquadrata tra le scienze naturali come studio dell’ecosfera, cioè di quella parte della terra in cui sono presenti stati di vita aggregati detti “ecosistemi”. In molti ambiti scientifici l’ecologia è definita come il punto di unione tra le scienze della terra e quelle della vita.

Gli approcci che si hanno oggi nei confronti dell’ecologia sono vari, differenti e, a volte, sono in contrasto tra loro.

Essere ecologisti per molti è una scelta di vita, per altri un aspetto economico da sfruttare, per altri ancora ha un valore antropologico o sociale, per molti pensare all’ecologia significa solo “non inquinare”.

Da queste differenti approcci è molto complesso stabilire e delineare i tratti di una mente ecologica anche se ne emergono alcuni che possiamo definire “generalizzati”.

La mente ecologica si fonda su parametri che non implichino processi distruttivi nei confronti della natura, protocolli che scienziati ed esperti hanno definito sulla base di ricerche, successivi sviluppi e tenendo presente tutta una serie di dati che si sono dimostrati utili per capire e monitorare le situazioni. A volte sono i gruppi di appartenenza ecologica a fissare questo o quel parametro, così come sostenere un progetto anziché un altro; a volte può anche capitare che la scelta sia dettata più dalla passione, o peggio da interessi economici, che da dati oggettivi

Il processo d’identificazione in un gruppo a sua volta non è semplice: l’appartenenza è spesso legata a un fattore “politico”. In questi casi le direttive sono fissate da un nucleo centrale, diramate e poi condivise tra i partecipanti che spesso sono impegnati in un progetto che ha degli obiettivi specifici e mirati da raggiungere.

In effetti, essendo la materia molto vasta, è quasi impossibile ricoprire le intere necessità dell’universo e, spesso, ci si scontra con gli aspetti economici, verso i quali, comunque ognuno deve fare delle scelte. Altre volte sono i vari governi nazionali a favorire una determinata condotta ecologica attraverso scelte d’incentivazione economica facilitando, in questo modo, sia l’aspetto economico commerciale sia quello finalizzato ai singoli obiettivi.

Anche in questo caso le direttive comuni sono poche e molto frazionati i singoli progetti: è evidente la diversa sensibilità di alcuni Paesi rispetto ad altri.

Per questa ragione anche gli organismi internazionali non possono più chiamarsi fuori da queste tematiche e sono sempre più portavoce di improrogabili necessità di cambiamento sia strutturali che progettuali cercando di sollecitare le singole nazioni verso scelte e orientamenti ecologici.

Ora voi mi chiederete cosa possa c’entrare il counseling con questi temi. In realtà il processo di creazione di una mente ecologica parte più a monte, e poiché è un processo educativo molto profondo bisogna tenere in considerazione un presupposto di base: non è possibile possedere una “mente ecologica” se prima non si ha praticato l’ecologia della propria mente.

Sembra un gioco di parole, ma non è così: per costruire un’ecologia funzionale e funzionante serve un processo educativo nelle persone in cui passare da un piano ego-logico a un piano eco-logico.

Cosa significa?

Gregory Bateson, antropologo, sociologo, cibernetico, è stato uno dei più importanti studiosi dell’organizzazione sociale di questo secolo. Nelle sue teorie si oppone strenuamente all’idea che tutta la pura realtà osservabile possa essere ridotta a determinati parametri. Per questo ha dedicato la vita cercando di introdurre il concetto di “Mente” all’interno di equazioni scientifiche. Nei suoi libri (Verso un’ecologia della Mente e Mente e Natura) descrive la Mente come la parte costituente della “realtà materiale” per cui non ha senso cercare di scindere la mente dalla realtà.

Ernst von Glasersfeld, psicologo e ideatore del “Costruttivismo Radicale” sostiene che come una metafora – e sottolineo che di metafora si tratta – il concetto di un’invarianza che sorge al difuori dei cambiamenti reciproci o ciclici nell’equilibrio, può aiutarci ad avvicinarsi al concetto del Sè. Nella cibernetica questa metafora è implementata nel “circolo chiuso”, la sistemazione circolare dei meccanismi di retroazione che mantiene un certo valore entro certi limiti. Essi lavorano verso un’invarianza, ma l’invarianza non è raggiunta attraverso una stabile resistenza (come le rocce che stanno ferme al vento), ma attraverso la comprensione nel tempo. Quando ci troviamo nel circolo della retroazione, troviamo il vissuto presente eretto contro il nostro immediato passato ma sulla strada di essere esso stesso sostituito dall’immediato futuro. L’invarianza che il sistema raggiunge, perciò, non può mai essere trovata o bloccata in un singolo elemento, perchè, per sua natura, è fatta di una o più relazioni e le relazioni non sono nelle cose ma fra le cose. Se il Sè, come io suggerisco, è un’entità di relazione, non può trovare un locus negli oggetti dell’esperienza. Non risiede nel cuore, come pensava Aristotele, e neanche nel cervello, come siamo propensi a pensare al giorno d’oggi. Non risiede completamente in alcun luogo, ma si manifesta prettamente nella continuità della nostra attività di differenziazione e relazione, nonchè nell’intuitiva certezza che la nostra esperienza sia veramente nostra.”

George Kelly, psicologo, matematico, educatore ideatore della teoria della Psicologia dei Costrutti Personali ci fa notare che “Di questi tempi si dice che essere se’ stessi è una buona occupazione. Essere se’ stessi è considerato salutare. Anche se per me è un po’ difficile capire come sia possibile, per qualcuno, essere qualcos’altro. Penso di capire che ciò significhi non cercare di sforzarsi di diventare diversi da quello che si è. Ciò, di fatto, mi sembra una maniera piuttosto noiosa di vivere. Sarei incline a pensare che ognuno di noi vorrebbe migliorare se decidiamo di essere qualcosa di diverso da quello che siamo. Ebbene, non sono poi tanto sicuro che tutti noi vogliamo migliorare, forse sarebbe più preciso dire che vorremmo una vita più interessante.

C’è qualcos’altro che potrebbe stare dietro a questo imperativo di essere se’ stessi, e cioè che nessuno si dovrebbe mascherare. Sospetto che sia qualcosa vicino a quello che gli psicologi intendono quando spingono le persone ad essere se’ stesse. Si presume che le persone che affrontano il mondo a viso scoperto siano più spontanee, che si esprimano più completamente, e che abbiano più opportunità di sviluppare le loro capacità se non si mascherano.

Ma questa dottrina della nudità psicologica negli affari umani, di cui tanto si parla al giorno d’oggi e che permette al sè di non truccarsi e mascherarsi, lascia assai poco all’immaginazione. Non invita certo all’avventura. Sospetto, a riguardo, che nel Giardino dell’Eden, Adamo si sarebbe deciso più in fretta di quanto effettivamente fece se Eva avesse fatto un po’ più di attenzione al suo guardaroba. Ho sentito che lo corruppe con una mela. In seguito mi dicono che si inventò qualcosa di più stimolante della foglia di fico.

Ciò che affermo è che non conta tanto ciò che l’uomo è, ma piuttosto quello che progetta di fare di se’ stesso. Per fare il balzo egli deve fare qualcosa di più che scoprirsi: deve rischiare una buona percentuale di confusione. Poi, al più presto, come afferra la fugace visione di una vita diversa, deve trovare la maniera di superare il momento della minaccia paralizzante e per questo vive l’attimo in cui si chiede chi sia realmente, quello che è o quello che sta per divenire. Adamo deve aver sperimentato un momento del genere“.

Ronnie Laing, psichiatra, per continuare in questa ricerca, sostiene che “La caratteristica specificatamente umana dei raggruppamenti sociali umani può essere sfruttata per rappresentarli come sistemi disumani. Tutti coloro che cercano di controllare il comportamento di un gran numero di altre persone lavorano con l’esperienza di quelle altre persone. Una volta che le persone hanno sperimentato una certa situazione in maniera simile, ci si può aspettare che reagiscano in maniere simili. Mettete gli individui in condizione di volere la stessa cosa, di odiare le stesse cose, sentirsi trattati alla stessa maniera, e il loro comportamento sarà prigioniero. Avrete i vostri consumatori o la vostra carne da cannone. Diffondete l’idea dei Neri come subumani o dei Bianchi come viziosi e decadenti, e i comportamenti posso essere manovrati in maniera conseguente…

L’inerzia dei raggruppamenti sociali umani, tuttavia, sebbene possa apparire come la negazione autentica della prassi, è in effetti nient’altro che il prodotto della prassi. L’inerzia di gruppo può essere soltanto strumento di mistificazione in quanto considerata come parte del ‘naturale ordine delle cose’. L’abuso ideologico di una tale idea è ovvio. Serve evidentemente gli interessi di coloro il cui interesse è avere gente che crede che lo status quo sia voluto ‘dall’ordine naturale’. Per volere divino o ‘cause naturali’… Il gruppo diviene una macchina e si dimentica che è una macchina fatta di esseri umani e che la macchina è fatta dai medesimi uomini. E’ completamente difforme da una macchina costruita dall’uomo che può avere un’esistenza propria. Il gruppo è l’uomo stesso che cerca sè stesso nei modelli e nei livelli, assumendo e assegnando differenti energie, funzioni, ruoli, obblighi, diritti ecc.

Humberto Maturana, biologo, cibernetico, scienziato, ha elaborato la teoria dell’autopoiesi proseguendo sul percorso di Bateson, Wittgenstein, G.B. Vico con la sua teoria dei Corsi e Ricorsi: “Quando si mette l’oggettività tra due parentesi, tutte le vedute, tutte le direzioni nella multidirezionalità sono ugualmente valide. Se capiamo questo, perdiamo la passione per il cambiamento dell’altro. Uno dei risultati è che si può apparire indifferenti alle altre persone. Invece chi non vive con l’oggettività tra parentesi ha una vera passione per cambiare l’altro. Quindi loro hanno questa passione e tu no. Nell’Università dove lavoro, ad esempio, la gente dice. “Humberto non è veramente interessato a niente!” E questo perchè io non ho una passione dello stesso orientamento di quella della gente che vive con l’oggettività senza parentesi. Penso che questa sia la maggiore difficoltà. Ad altre persone puoi sembrare troppo tollerante. Tuttavia, se anche gli altri mettono l’oggettività tra parentesi, puoi scoprire che il disaccordo può essere risolto entrando in un dominio di Co-inspirazione, nel quale le cose vengono fatte insieme perchè i partecipanti vogliono siano fatte. Con l’oggettività tra parentesi è facile fare le cose assieme perchè l’uno non squalifica l’altro nel processo di farle.

Ciò che emerge è sicuramente un denominatore comune tra uomo e ambiente in cui l’intelligenza umana può modificare l’ambiente naturale grazie alle sue attività e questo ha determinato le condizioni in cui l’attività cognitiva si è evoluta. La crisi del mondo ci ha insegnato il ritorno alla natura e all’ecologia grazie alla paura della mancanza di risorse soprattutto legate al potere di produrre dell’industria. Potete ben immaginare come questo incida sugli stati d’animo dei singoli e dei gruppi, pur in modo differente a seconda delle loro sensibilità, ma al punto di fare aprire una serie di riflessioni importanti sulla necessità di avviare dei processi atti a realizzare dei cambiamenti. Tutti convengono che per realizzarli si debba ripartire da una profonda rieducazione del singolo e del singolo all’interno del gruppo.

La risposta sembra stia nel nostro cervello, nel senso del piacere e dell’appagamento personali. Studi scientifici dimostrano che quando aspettiamo che accada qualcosa di positivo viene stimolata la corteccia prefrontale. Al contrario quando dobbiamo compiere scelte consce a reagire è la corteccia parietale. Nel primo caso l’effetto positivo della dopamina viene avvertito immediatamente, nel secondo non è così. La corteccia prefrontale ci rende quindi inclini alla ricerca delle soluzioni immediate creando comportamenti atti alla dipendenza. È come se la parte del cervello che crea il senso del piacere torturasse quella razionale impedendoci di essere liberi nella scelta e optare per la prima via. È per questa ragione per la quale continuiamo a investire inutilmente sforzi ed energie soprattutto nella ricerca del piacere immediato. Perché inutilmente? Perché denaro, sesso, cibo o qualsiasi altra gratificazione immediata non sarà mai sufficiente una volta innestato il processo di auto-gratificazione.

Mi chiederete ora come questo possa avere senso con la creazione di un’ecologia della mente. Lo ha perché un’ecologia della mente è possibile solo e soltanto quando riusciremo ad allontanare l’innesco continuo della dopamina che avviene in noi ad ogni gratificazione momentanea. Ciò non significa privarci dello stare bene, del gratificarci: quello che è indispensabile è la creazione di uno stato di consapevolezza che contempli in sé dei piani e degli scopi superiori.

Questa consapevolezza parte dal semplice presupposto che ad ogni nostra scelta corrispondono delle conseguenze positive o negative capaci di influenzare non solo la nostra esistenza, ma anche quella della nostra famiglia, dei nostri amici e conoscenti, dei nostri colleghi di lavoro allargandosi via via sempre più fino ad interessare l’intero cosmo. Uscire dall’ego-logica è dunque il primo passo per connetterci a un piano “cosmico”e prendere consapevolezza delle nostre azioni.

Ognuno di noi trascorre la maggior parte del tempo collegato allo stato ego-logico: ce lo insegnano fin da bambini e il processo educativo che seguiamo è generalmente di questo stampo: “Prima di tutto segui le tue esigenze, soddisfa le tue necessità, poi pensa all’altro…

Nelle filosofie mistiche legate all’ebraismo il mondo viene definito con il termine “olam” come qualcosa di “nascosto”. Questo perché la vera realtà dei fatti va ben oltre al singolo e si cela sempre per insegnarci che è qualcosa di più grande e complesso. È come se l’universo ci osservasse sempre e, ogni singola azione anche se pur minima, può cambiare in realtà un cosmo intero. Che noi siamo venditori o compratori ogni nostro gesto deve essere inserito in un piano più grande e noi dobbiamo prenderci la responsabilità di questo gesto.

Le filosofie orientali sono molto profonde in questo e ci insegnano a essere sempre centrati nella nostra spiritualità interiore dove ogni singolo uomo trova la giusta connessione con l’universo: tutti abbiamo il potere di cambiare il mondo partendo da noi stessi.

Secondo le filosofie mistiche legate all’ebraismo esiste una coscienza del corpo e una dell’anima. La prima produce nell’uomo stati emotivi quali stress, rabbia, depressione, paura, ansia, pregiudizio e senso di vuoto da colmare. La seconda invece è quella che produce pace, felicità, senso di unità, gioia, certezze e soprattutto benessere condiviso e salute.

Il primo passo per la costruzione di una dimensione di coscienza dell’anima è prendere la consapevolezza che viviamo nella dimensione degli “effetti” quando invece dovremmo vivere in quella della “cause”.

Passando all’eco-logia della mente è il caso di soffermarci un momento per capire cosa s’intende per consapevolezza in questo processo. La consapevolezza è lo stato della mente che influenza i nostri pensieri, influisce sulle nostre parole e conseguentemente sulle azioni e sulla realtà in cui viviamo e creiamo. Questa consapevolezza è limitata quando è orientata solo ai nostri 5 sensi (primordialità), alle manifestazioni dell’ego, alla fissazione con gli aspetti razionali della mente, alle paure consce (sed inconsce, alla corporalità.

Al contrario, la consapevolezza diventa illimitata quando si lega a fattori più profondi: gli stessi che collegano tra loro le persone in azioni proattive atte a cambiamenti utili a tutti attraverso il senso di responsabilità comune.

Il problema è che siamo portati a vedere questi atteggiamenti sempre negli altri e mai in noi stessi, mentre dovremmo essere proprio noi il punto di partenza. Pensare di sapere tutto, sempre e in ogni situazione, essere incapaci di perdonare, avere paura di prendere impegni, vivere nell’orgoglio, temere di essere se stessi fino in fondo, vivere nel bisogno continuo di dimostrare le cose agli altri e vivere della loro approvazione, avere paura del confronto, essere gelosi di cose e persone, vivere di rabbia e rancori, temere la solitudine sono solo alcuni degli aspetti che rendono palese il nostro stato ego-logico.

Una manifestazione ego-logica molto frequente che incontro è volere avere il controllo di cose, situazioni e persone. Questo avviene perché il senso del controllo produce senso di potenza e quindi piacere. Tuttavia è importante renderci conto di quanto la sete di controllo ci possegga, limitando le nostre scelte e soprattutto la nostra naturalezza. Chi è colpito da esasperato senso di controllo cerca di mascherare un grande senso di insicurezza, la paura di essere vulnerabili e di prendere degli impegni, la paura del fallimento e della derisione.

Potremmo vivere in un mondo migliore se riuscissimo a far nostra questa visione eco-logica rendendo eco-logica la nostra mente. Come abbiamo visto occorre un processo pedagogico costante, adeguato alla nostra crescita e collegato a programmi più estesi, con gruppi di persone che vivano questo processo non come un aspetto politico che appaghi l’uno o l’altro gruppo (altrimenti sarebbe nuovamente ego-istico), ma come un dovere verso se stessi.

Per ottenere questo serve un lavoro costante nel quale imparare a condividere, a uscire dalle nostre zone di comfort (così pazientemente costruite), vedere le necessità degli altri distruggendo il nostro ego-ismo, studiando molto e praticando in modo assiduo l’apertura verso l’altro.

Anziché confidare nell’azione dei governi, delle associazioni o di enti e persone che sembrano preposti ed esclusivisti del senso ecologico quello che emerge è che ogni piccolo cambiamento che riusciamo a realizzare nella nostra vita ha risultati immediati e prolungati nell’ambiente. Ognuno di noi ha il reale potere di influenzare il mondo che lo circonda con l’esempio, la pratica costante di una ecologia mentale capace di liberare da pre-giudizi e condizionamenti.

Papa Giovanni XXIII, Gandhi, Mandela sono solo alcuni grandi esempi che insegnavano sempre ad essere liberi nella mente e a porre sempre il dialogo come forma preferenziale per il cambiamento. Dialogo aperto, sincero privo dell’IO o del NOI, ma atto a qualcosa di più grande.

La decisione è compito esclusivamente nostro; ottenere una mente ecologica è possibile:

  • chiedersi se ciò che compiamo è solo a nostro esclusivo appannaggio o aiuta gli altri
  • chiedersi se contribuiamo a non inquinare non solo l’ambiente, ma prima di tutto le azioni che compiamo, le parole che diciamo, i gesti che realizziamo nelle nostre giornate
  • chiedersi se rabbia, rancori, paure ci condizionano negativamente nei confronti degli altri
  • chiedersi se cerchiamo soluzioni o creiamo problemi
  • chiedersi se siamo veramente liberi nel nostro modo di pensare e agire o se è dettato da forme di fanatismo , di moda, di amicizie, di puro egoismo e senso di rivalsa ecc.
  • chiedersi quanto le comunità che frequentiamo siano libere dall’auto-centratura e dall’auto- glorificazione delle loro azioni

Per migliorare il mondo che ci circonda non è necessario intraprendere crociate. Le domande sopra proposte sapranno guidarci verso la nostra ecologia mentale, a correggere la nostra interiorità e integrità, a vincere quei personalismi che distruggono l’ambiente irradiandolo di negatività, ad armonizzare insomma le nostre vite. L’armonia è un gioco apparentemente complesso, ma per realizzarlo basta essere semplici e ascoltare, ma sempre e fino in fondo mettendo da parte la presunzione di essere noi i migliori.

Paolo G. Bianchi
Antropologo, Counselor

Bibliografia

  • Heinz von Foerster, Ernst von Glaserfeld: “Come ci si inventa. Storie, buone ragioni ed entusiasmi di due responsabili dell’eresia costruttivista” Odradek ed. 2001
  • Ernst von Glaserfeld: “Radical Constructivism” Ed. Routledge, 1996
  • George Kelly: “La psicologia dei costrutti personali”, Raffaello Cortina, 2004
  • Butt Trevor: “George Kelly e La psicologia dei costrutti personali”, Franco Angeli, 2009
  • Ronald Laing: “L’io diviso”, Einaudi, 2010
  • Ronald Laing: “L’io e gli altri, psicopatologia dei processi interattivi”, BUR, 2002
  • Humberto Maturana: “Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente” Marsilio ed. 2001
  • Humberto Maturana: “L’albero della conoscenza”, Garzanti 1999
  • Letizia Nucara: “La filosofia di Humberto Maturana”, Ed. Le Lettere 2014
  • Thomas Smith: “Elementi di ecologia”, Pearson Education Italia ed, 2013
  • AAVV: “introduzione all’ecologia applicata”, Città Studi ed, 2014
  • Bill Tara: “Corpo naturale, mente naturale. Salute, ecologia, spiritualità, Shiatsumilano ed. 2012
  • Gregory Batenson “Una sacra unità. Altri passi verso un’ecologia della mente” Adelphi, 1997

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