Anche i topi provano empatia?

Anche i topi provano empatia?La sensibilità emotiva può riferirsi a fenomeni contagiosi, automatici come nel caso di un bambino che inizia a piangere perché sente un altro fare lo stesso, o con una forte componente cognitiva, come la compassione e la simpatia. L’empatia implica questo tipo di sensibilità. Ma è solo una dote dell’uomo?

Così si è pensato fino ad oggi. Recenti studi che riconoscono la presenza dei neuroni specchio nelle scimmie (e anche nell’uomo – vedere articolo di BrainFactor del 9/4/2010) sembrano aprire altre possibilità di ritrovare l’empatia, o un sentimento molto simile ad essa, in altre specie.

Secondo uno studio pubblicato su Nature Neuroscience, condotto da Daejong Jeon e collaboratori del Korea Institute of Science and Technology di Seul, dai topi potremmo imparare molto sull’apprendimento della paura percepita e quali parti del cervello guidano questo processo. Lo stato emotivo può nascere da una esperienza diretta o indiretta.

Quando un topo riceve una serie di stimoli elettrici (stimolo incondizionato), che vive come un evento spiacevole, collega subito quella esperienza all’ambiente (contesto) in cui l’ha vissuta e ad altri elementi che possano ricordarla, come un odore o una immagine (stimoli condizionati).

Secondo il modello del condizionamento classico di Pavlov (il cane, la campanella e la ciotola), al topo baserà ritrovarsi nello stesso contesto, o di fronte allo stesso stimolo condizionato, per rivivere la stessa paura.

Jeon e colleghi hanno osservato che se un secondo topo assiste all’evento da una camera adiacente, oltre a paralizzarsi dalla paura (freezing) quando vede la reazione del primo topo, la rivive a distanza di tempo dimostrando di aver appreso una forma di  paura condizionata, o “paura percepita”.

L’intensità del condizionamento risulta legata al legame di vicinanza tra i due topi, in termini di parentela o di condivisione dello stesso ambiente. La paura percepita coinvolge le stesse aree del cervello a capo della sensibilità al dolore, i particolare il nucleo laterale dell’amigdala, che analizza intensità e localizzazione della fonte di dolore, e la corteccia cingolata anteriore (ACC), dove viene rappresentata la dimensione di sgradevolezza del dolore.

Quando Jeon ha inattivato una di queste strutture con metodi farmacologici (lidocaina) o genetici (alterando l’espressione dei canali calcio dell’area ACC) ha compreso che per l’acquisizione della paura è necessario che amigdala e ACC siano entrambe attive e che interagiscano in sincronia.

La ACC, tuttavia, sembra non avere ruolo nell’espressione della paura percepita a distanza di tempo. Il coinvolgimento di stesse parti del cervello nei due topi non prova che entrambi abbiano tratto la stessa rappresentazione della paura.

Nel modello murino di paura percepita, infatti, non è possibile acquisire un elemento importante rappresentato dagli stati d’animo dei soggetti, mentre nella psicologia queste informazioni aiutano a capire se un sentimento condiviso con l’altro provoca la stessa emozione di quando lo si vive in prima persona, fondamento dell’empatia.

Ciò non toglie che una forma più semplice di questo sentimento i topi lo hanno dimostrato.

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