ROMA – E’ frutto della ricerca italiana la prima mano artificiale guidata direttamente dal cervello. E’ stata presentata questa mattina al Campus Biomedico di Roma. Con questa neuroprotesi innovativa, chiamata LifeHand, il paziente può controllare fino a tre differenti tipi di presa da parte della mano robotica, con una percentuale di successo dell’interfaccia neurale nel riconoscimento del comando inviato dal cervello superiore all’85 per cento.
“La possibilità di effettuare i tre tipi di presa, interfacciandosi tramite elettrodi tf-LIFE con una mano robotica a cinque dita, può mettere una persona in condizioni di svolgere la quasi totalità delle attività della vita quotidiana e lavorativa”, dicono i ricercatori in un comunicato.
Queste prestazioni sono state possibili grazie a un complesso sistema di acquisizione ed elaborazione dei segnali neurali, sviluppato dai bioingegneri della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. Dopo quasi un mese di allenamento fianco a fianco con il paziente, il sistema si è dimostrato in grado di estrarre da tutti i segnali nervosi che il cervello inviava tramite le interfacce tf-LIFE solo quelli effettivamente utili a codificare l’intento di compiere una specifica presa. Come previsto, gli elettrodi tf-LIFE sono inoltre stati utilizzati nelle prime settimane dell’esperimento per veicolare stimoli ai nervi del moncherino e il paziente ha avvertito e tradotto questi stimoli in sensazioni tattili naturali, provenienti dalla regione di arto persa anni prima.
Per la prima volta, inoltre, i ricercatori italiani hanno valutato le modificazioni intervenute a livello della corteccia cerebrale – i cosiddetti fenomeni di neuro plasticità – in conseguenza dell’impianto e dell’utilizzo delle interfacce neurali tf-LIFE da parte del paziente. In particolare, la stimolazione magnetica transcranica (TMS) ha dimostrato una significativa riorganizzazione delle aree motorie relative ai muscoli del moncherino, che si è associata clinicamente a una riduzione significativa del dolore da arto fantasma – una patologia che affligge oltre il 65% degli amputati che continuano ad avvertire dolore dall’arto mancante. Gli esperimenti condotti hanno così fornito dati oggettivi fondamentali per confermare una delle ipotesi finora avanzate, e cioè che la patologia del dolore da arto fantasma sia direttamente causata da una “riorganizzazione corticale aberrante”, ovvero sia dovuta all’invasione delle aree motorie del cervello originariamente correlate all’arto amputato da parte di aree contigue.
“Anche se i tempi non sono maturi per un’ampia diffusione clinica di questo sistema di controllo di protesi di mano – si legge in un comunicato – le evidenze fornite dalla sperimentazione nella sua fase applicativa su uomo rappresentano una tappa importante verso il raggiungimento dell’obiettivo finale: mettere direttamente in comunicazione il cervello e le sue diramazioni nervose con macchine artificiali. Nel caso specifico, i risultati ottenuti con il progetto LifeHand aprono interessanti prospettive sull’uso delle interfacce neurali periferiche quale soluzione alternativa ad altre. Una di queste è il trapianto di mano da cadavere, che ha dato risultati finora molto controversi a livello di recupero funzionale e ha costretto il paziente a fortissime terapie antirigetto. Un’altra è rappresentata dalle interfacce direttamente impiantate nella corteccia cerebrale, già attualmente in fase di sperimentazione su uomo. Lo studio italiano sembra rendere decisamente più indicato l’impiego di interfacce periferiche, almeno per il controllo di protesi di arto, in quanto tali dispositivi possono garantire al momento migliori prestazioni con un più basso livello di invasività e una minore complessità dei segnali fisiologici da interpretare”.
La replica della mano umana è una sfida notevole dal punto di vista ingegneristico. Una mano naturale, infatti, è mossa da oltre 30 muscoli, ha oltre 10mila sensori ed è in grado di eseguire compiti di presa, manipolazione, esplorazione e comunicazione estremamente complessi. Il gruppo di ingegneri dell’Arts Lab della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, guidati da Paolo Dario e Maria Chiara Carrozza, hanno raccolto la sfida cercando di sviluppare una mano biomeccatronica in risposta a un bisogno definito: quello di favorire il reintegro sociale e lavorativo dei soggetti che hanno subito l’amputazione dell’arto. Dell’équipe medica fanno parte, fra gli altri, Vincenzo Denaro, ordinario di ortopedia e traumatologia, e Paolo Maria Rossini, ordinario di neurologia e direttore scientifico del Centro integrato di ricerca del Campus Biomedico di Roma.
I prossimi passi di LifeHand riguarderanno la ripetizione dell’esperimento in altri soggetti volontari, al fine di valutarne la ripetibilità e di testare l’efficacia dei tf-LIFE come interfacce neurali. Sono inoltre previsti l’evoluzione e il miglioramento dell’elettronica e dei software necessari per l’analisi dei segnali registrati, così come la miniaturizzazione dei sistemi impiantabili, della meccanica, della sensoristica e dei sistemi di controllo della protesi biomeccatronica. L’idea di realizzare protesi di arto collegabili all’uomo mediante speciali interfacce neurali nasce negli anni ’90. La sperimentazione effettuata con LifeHand costituisce l’atto conclusivo di uno specifico percorso iniziato nel 2003, nell’ambito del programma di ricerca Neurobotics.
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