Che tipo di essere umano voglio essere?

“Dove sta andando il mondo?” è la domanda centrale da cui parte questo monografico.

I miei studi in Comunicazione e Antropologia Esistenziale associati alla mia persona ed esperienze mi portano ad osservare chirurgicamente le parole ed in particolare le domande che, come singolo e come collettività, ci poniamo: due elementi che mi portano ad avvertire le lettrici e i lettori che, in questo articolo, non troveranno una risposta alla sopracitata domanda.

Innanzitutto semplicemente non so dove il mondo stia andando e, soprattutto, non credo neanche sia la domanda più utile da porci.

Pormi e porre domande con l’intenzione di aprire finestre è invece quello che desidero fare in questo scritto.

Sperimento quotidianamente l’importanza del porsi delle buone domande: dalla qualità delle domande dipende anche la qualità delle risposte e quindi anche del nostro agire.

Le domande di qualità non sono quelle culturalmente elevate, bensì sono quelle che spingono a compiere un passo più consapevole sul proprio cammino.

Allenarci a guardare le cose in un altro modo è la mia proposta tra le righe ed è quello di cui mi occupo negli ultimi anni, in particolar modo in ambiti estremamente conservatori come quello medico – sanitario e quello scolastico – educativo.

Gli ultimi tre anni hanno rappresentato, a livello globale, un periodo che sono certa sia preludio di grandi cambiamenti trasversali ai vari ambiti della società.

Farci domande quali: Dove sta andando il mondo? Che ne sarà della guerra? Dove ci porterà la crisi climatica? Cosa succederà nel mondo del lavoro? è lecito e sono questioni su cui possiamo fare ricerca ed immaginare scenari possibili, ma ritengo che porci queste domande senza, anche, indagare dentro noi stessi sia poco proficuo a lungo termine.

Ho sempre trovato stridenti le domande rivolte esclusivamente all’esterno, perché di fatto nessuno di noi può avere piena contezza del “fuori”, ma possiamo invece portare consapevolezza su noi stessi.

Nessuno ci insegna mai l’importanza del conoscerci e dell’avviare un paziente e nutriente lavoro di consapevolezza di noi e di ciò che ci muove.

Parliamo spesso di “mondo” come un qualcosa di esterno a noi, come un concetto aereo che volteggia sulle nostre teste e di cui la nostra partecipazione la consideriamo part – time.

Ogni giorno, ognuno di noi, si lamenta per qualcosa che non funziona come vorrebbe.

Vogliamo tutti il cambiamento, ma non siamo nemmeno disposti ad iniziare a portare a consapevolezza il nostro agire, i nostri meccanismi automatici, i “mostri che abbiamo dentro”, come cantava Giorgio Gaber.

E per quanto possano sembrare concetti poco concreti alle persone meno avvezze al mondo interiore, stiamo vivendo un’epoca in cui la scienza stessa si sta mettendo al passo con i tempi con le antiche conoscenze e sapienze che hanno da sempre evidenziato l’importanza del partire da se stessi.

Certo, non tutto quello che proviene dal passato è affidabile ed efficace, eppure una gran parte di quell’eredità culturale si è dimostrata più che fondata.

Ad esempio ad oggi sappiamo per certo che la mente e il corpo non sono più due entità separate, tanto che gli stessi concetti di salute e malattia si stanno modificando.

La gentilezza fa bene all’essere umano? Certo, l’abbiamo sempre creduto, e ad oggi sappiamo addirittura che ha un ruolo nel processo di rallentamento dell’invecchiamento e dell’insorgenza di malattie croniche.

Il periodo pandemico ci ha fatto comprendere bene come siamo tutti interdipendenti e interconnessi, tra di noi esseri umani e tra noi e la natura intera, e questo credo sia il primo grande insegnamento di cui, in realtà, già ci parlava Galileo Galilei affermando: “Non puoi cogliere un fiore, senza turbare una stella.”

Non c’è separazione se non nella nostra mente.

Non c’è separazione tra l’intimità del nostro sentire e le grandi trasformazioni esterne.

È la nostra mente che dobbiamo, quindi, iniziare ad osservare.

E possiamo iniziare a farlo modificando le domande da porci:

“Che tipo di essere umano sono?”

“Che tipo di essere umano voglio essere?”

“Cosa mi ferisce?”

“Di cosa mi nutro emozionalmente ogni giorno?”

“Quali sono i valori che mi muovono?”

“Che cosa mi rende felice?”

“Quali parole utilizzo verso me stesso e verso gli altri?”

“Quale contributo voglio apportare nel mondo che vivo?”

Domande di questo tipo ci portano inevitabilmente a rallentare, a soffermarci, a sostare nel nostro essere umani, ovvero ci conducono all’estremo opposto di quel parossismo di cui ormai ogni nostro comportamento è infarcito e che sta portandosempre più persone alla graduale disconnessione da loro stesse, riportata dalle sempre più numerose statistiche sotto l’etichetta di burn out, stress, depressione, assenteismo, abuso di alcool e psicofarmaci.

La via d’uscita è dentro, scriveva il monaco buddhista Thich Nhat Hanh: è sul nostro ascoltarci ed osservarci che dobbiamo ripartire.

Lo psicologo statunitense Marshall Rosemberg, autore del famoso manuale di comunicazione “Le parole sono finestre oppure muri”, diceva: “La violenza, uno dei tanti problemi presenti nel mondo, è l’espressione tragica di bisogni non soddisfatti; è la manifestazione dell’impotenza e/o della disperazione di una persona talmente priva di risorse da pensare che le proprie parole non siano sufficienti a farsi capire, allora attacca, grida, aggredisce.”

Parole magistralmente precedute dallo scrittore russo Lev Tolstoj che scriveva: “La violenza è sempre un’assenza di vocabolario.”

Immaginiamoci tutti come dei bambini feriti, ognuno con traumi, mancanze di vario grado e bisogni non soddisfatti che camminano nel mondo volendolo salvare, migliorare, cambiare , depurare, non mettendo però in gioco in primis noi stessi.

Guardiamo alle guerre fuori di noi, senza guardare alle guerre dentro di noi.

Quante guerre si stanno compiendo dentro di voi in questo momento?

Quante uccisioni e colpe ci sono nella vostra mente?

La guerra inizia prima di tutto dentro di noi, nel nostro ambiente interiore. La matrice di ogni conflitto va ricercata nella profondità del proprio sentire, ogni giorno, in quegli stimoli e istinti inconsapevoli che ci dominano costantemente.

Per evolvere dobbiamo prendere coscienza della nostra situazione e complessità, rendendo la propria mente consapevole per poterla allineare al nostro cuore.

La rabbia alimenta la rabbia.

L’odio alimenta l’odio.

La paura alimenta la paura.

La violenza alimenta la violenza.

Iniziamo a portare a coscienza ciò che ci sta muovendo.

A partire dal nostro intimo sentire contribuiamo al mondo.

Se vogliamo ripulire il mondo dalle numerose crisi di cui è testimone, iniziamo dal nostro mondo interiore.

Iniziamo dal fornire un vocabolario ai nostri bisogni.

Prendete un foglio bianco oppure un diario o un’agenda ed iniziate a scrivere cosa state provando, quali emozioni vi stanno attraversando, di cosa avete bisogno, quali sono le vostre reazioni, quali sono i vostri pensieri.

Cambiamo la domanda da “Dove sta andando il mondo?”, a “Dove mi trovo io?”.

E se leggendo questo articolo ha iniziato a serpeggiare il pensiero per cui ogni piccola azione vi sembra inutile, “tanto nulla cambia”, vi ricordo la favola del colibrì con cui desidero concludere questo scritto.

Un giorno nella foresta scoppiò un grande incendio. Di fronte all’avanzare delle fiamme, tutti gli animali scapparono terrorizzati mentre il fuoco distruggeva ogni cosa senza pietà.

Leoni, zebre, elefanti, rinoceronti, gazzelle e tanti altri animali cercarono rifugio nelle acque del grande fiume, ma ormai l’incendio stava per arrivare anche lì.

Mentre tutti discutevano animatamente sul da farsi, un piccolissimo colibrì si tuffò nelle acque del fiume e, dopo aver preso nel becco una goccia d’acqua, incurante del gran caldo, la lasciò cadere sopra la foresta invasa dal fumo. Il fuoco non se ne accorse neppure e proseguì la sua corsa sospinto dal vento.

Il colibrì, però, non si perse d’animo e continuò a tuffarsi per raccogliere ogni volta una piccola goccia d’acqua che lasciava cadere sulle fiamme.

La cosa non passò inosservata e ad un certo punto il leone lo chiamò e gli chiese: “Cosa stai facendo?”. L’uccellino gli rispose: “Cerco di spegnere l’incendio!”. Il leone si mise a ridere: “Tu così piccolo pretendi di fermare le fiamme?” e assieme a tutti gli altri animali incominciò a prenderlo in giro. Ma l’uccellino, incurante delle risate e delle critiche, si gettò nuovamente nel fiume per raccogliere un’altra goccia d’acqua.

A quella vista un elefantino, che fino a quel momento era rimasto al riparo tra le zampe della madre, immerse la sua proboscide nel fiume e, dopo aver aspirato quanta più acqua possibile, la spruzzò su un cespuglio che stava ormai per essere divorato dal fuoco. Anche un giovane pellicano, lasciati i suoi genitori al centro del fiume, si riempì il grande becco d’acqua e, preso il volo, la lasciò cadere come una cascata su di un albero minacciato dalle fiamme.

Contagiati da quegli esempi, tutti i cuccioli d’animale si prodigarono insieme per spegnere l’incendio che ormai aveva raggiunto le rive del fiume. Dimenticando vecchi rancori e divisioni millenarie, il cucciolo del leone e dell’antilope, quello della scimmia e del leopardo, quello dell’aquila dal collo bianco e della lepre lottarono fianco a fianco per fermare la corsa del fuoco.

A quella vista gli adulti smisero di deriderli e, pieni di vergogna, incominciarono a dar manforte ai loro figli. Con l’arrivo di forze fresche, bene organizzate dal re leone, quando le ombre della sera calarono sulla savana, l’incendio poteva dirsi ormai domato. Sporchi e stanchi, ma salvi, tutti gli animali si radunarono per festeggiare insieme la vittoria sul fuoco.

Il leone chiamò il piccolo colibrì e gli disse: “Oggi abbiamo imparato che la cosa più importante non è essere grandi e forti ma pieni di coraggio e di generosità. Oggi tu ci hai insegnato che anche una goccia d’acqua può essere importante e che «insieme si può» spegnere un grande incendio. D’ora in poi tu diventerai il simbolo del nostro impegno a costruire un mondo migliore, dove ci sia posto per tutti, la violenza sia bandita, la parola guerra cancellata, la morte per fame solo un brutto ricordo”.

Nicole Smith
Autrice, divulgatrice, formatrice

© COPYRIGHT Illustrazione di Raffaella Cocchi per BRAINFACTOR Tutti i diritti riservati.

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