Italia – USA, obiettivo neuroscienze; BrainFactor intervista Riccardo Viale

Italia - USA, obiettivo neuroscienze; BrainFactor intervista Riccardo VialeRiccardo Viale, 56 anni, torinese, è medico con interessi di ricerca in campo psichiatrico, nelle scienze cognitive e nell’epistemologia. E’ professore ordinario all’Università di Milano Bicocca e visiting professor alla Columbia University. Già presidente della Fondazione Rosselli, è stato recentemente designato quale direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a New York. Edmondo Bertaina (BrainFactor) l’ha intervistato sul tema “Italia – USA, obiettivo neuroscienze”.

Professor Viale che tipo di indirizzo darà all’Istituto Italiano di Cultura a New York?

Una delle cose che cercherò di portare avanti è una riflessione sui nuovi modelli di sviluppo delle neuroscienze cognitive.

Privilegiando il lato scientifico o quello culturale?

Il mio compito è di fare iniziative culturali, ma a livello personale desidero continuare a fare ricerca.

Lei ha insegnato sia in Italia sia negli States. Vi è la possibilità che qualche ricercatore venga o ritorni nel nostro paese? Anche in Italia sono presenti centri di eccellenza riconosciuti…

I ricercatori verrebbero in Italia, al di là della bontà della ricerca, se ci fossero le risorse per poterla fare, spazi decisionali, luoghi dove è possibile fare ricerca collegati a progetti finanziati in modo meritocratico. Allo stato attuale, la ricerca pubblica italiana soffre per le poche risorse e le norme poco idonee non riescono ad attirare persone qualificate dall’estero.

In che cosa possiamo fare tesoro dell’esperienza americana?

Praticamente su tutto. Non affrontando con serietà la riforma della ricerca pubblica, si rimane penalizzati, per esempio sulle neuroscienze.

Un tema molto sentito quello delle neuroscienze…

Sì, molto. Oggi le neuroscienze sono una nuova frontiera fondamentale del sapere, i collegamenti con le Università americane sono continui e importanti. La comunità scientifica è una realtà globale, si può prospettare di far divenire l’Istituto di Cultura come nuovo polo logistico per i ricercatori italiani all’estero. Neuroetica, neuroestetica, sono campi di diffuso interesse, rivelano scenari inediti. La neuroetica, per esempio, è senz’altro un filone interessante per individuare le basi naturali del giudizio morale di tipo più filosofico, propone un approccio diverso ai valori naturali, va ad analizzare la struttura neuropscicologica, tra i fondamenti di tipo culturale contestuale e quanto persiste di innato. Una strada obbligata per capire.

Nel contesto culturale la neuroestetica sta prendendo piede…

La neuroestetica è una disciplina recente che tenta di spiegare l’esperienza estetica a livello neurale, ossia come il cervello reagisce davanti all’opera d’arte. Del rapporto tra percezione e realizzazione dell’opera d’arte se ne era già occupato Gombrich, uno dei primi a sottolineare questo aspetto. In questo contesto, anche la scoperta italiana dei neuroni specchio può dare un contributo conoscitivo notevole.

In questo periodo si parla abbondantemente anche di neuromarketing. Cosa ne pensa?

La possibilità di messaggi che incidano profondamente sul cervello, che condizionino in modo forte all’acquisto, è ancora tutto da verificare, ma credo che altre branche più interessanti e importanti debbano essere sviluppate.

Quale sarà il compito più difficile a New York?

Sicuramente far convivere idee e finanziamenti. Reperire fondi è sempre molto difficile. Rimane fermo il proposito di voler comunicare l’Italia a un livello qualitativo alto, far vedere che l’Italia produce cultura di livello, l’eccellenza scientifica e tecnologia, il design, la ricerca sui neuroni e gli studi della Normale di Pisa o del Politecnico di Torino, emancipandosi dai vecchi stereotipi sul nostro paese.

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