ROMA – Sabato 29 Novembre si è tenuta all’Osservatorio Astronomico di Roma a Monte Porzio Catone una conferenza sui parallelismi fra cervello e galassie organizzata dall’Accademia Internazionale Costantiniana delle Scienze Mediche Giuridiche e Sociali. Di seguito la trascrizione della relazione del direttore di BrainFactor, Marco Mozzoni, che ha aperto i lavori congressuali.
“Abbiamo individuato galassie lontane anni luce… Studiamo particelle più piccole di un atomo… E non siamo ancora capaci di comprendere il mistero di un chilo e mezzo di materia grigia!” Questo ha detto il presidente degli Stati Uniti nell’aprile 2013 annunciando il programma di ricerca decennale sul cervello [1].
Ma è proprio vero che non ci abbiamo ancora capito nulla?
In realtà conosciamo molto della neurobiologia delle cellule nervose, di come queste comunicano tra di loro, delle diverse aree della corteccia che si attivano in risposta a un determinato stimolo sensoriale o di fronte a un particolare compito.
Recentemente abbiamo anche tracciato gran parte delle connessioni delle fibre di sostanza bianca che mettono in comunicazione le diverse regioni del cervello tra di loro. Abbiamo dato vita a nuove discipline come la connettomica, la neuroinformatica, le neuroscienze dei sistemi… Abbiamo capito che è interessante non soltanto quella parte che si “illumina” di più ma anche quel che accade nel resto della corteccia, che potrebbe anzi essere ancor più determinante in termini di pattern da decodificare.
Basta accedere a internet per apprendere ogni giorno di nuovi studi che portano altri dati, intesi a far luce su aspetti che interessano le funzioni cognitive, le emozioni, i processi decisionali e tanti disordini per i quali si cercano risposte cliniche sempre più efficaci.
Dati, dati e ancora dati… Le correlazioni abbondano…
Ma quando avremo a disposizione tutti i dati che ci è possibile raccogliere, come li interpreteremo? I big data da soli non sembrano essere sufficienti… “Un mero catalogo di dati non è la stessa cosa dell’aver capito come e perché il sistema funziona”, dicono Freeman e colleghi in un recente articolo [2].
“Le neuroscienze hanno quasi duecento anni, ma il loro progresso è ancora lento: le categorie che usiamo per ragionare su condizioni come gli insulti cerebrali e i disturbi mentali vanno dal vago all’antidiluviano”, aggiungono gli scienziati dell’MIT di Boston [3].
Dove sta il problema?
Che indagare le basi biologiche del comportamento richiede prima di tutto una comprensione profonda del comportamento stesso.
Siamo certi di aver davvero compreso il comportamento umano, la mente, il pensiero, la “coscienza”, l’esperienza soggettiva? Siamo sicuri che lo stesso termine rappresenti per tutti la stessa cosa? Siamo sicuri di aver riflettuto bene sui concetti, sui fondamenti metodologici del sapere neuroscientifico?
Attenzione alla metafisica inconsapevole, quella che vien buttata fuori dalla porta ma che rientra dalla finestra, di soppiatto, quella metafisica deteriore che non ti rendi nemmeno conto di mettere in atto tutti i giorni nel tuo laboratorio – sussurrano i più critici… [4]
Beh, la scienza si occupa di formulare ipotesi e testare ipotesi…. Quanti hanno formulato ipotesi plausibili e pienamente articolate delle funzioni cerebrali e di come la loro interazione riguardi le nostre menti e le nostre personalità?
Se andiamo a dare un occhio ai 56 grant erogati in prima battuta dall’NIH nell’iniziativa BRAIN vediamo che l’enfasi è stata posta sullo sviluppo di nuove tecniche per misurare le dinamiche di attività neurale e sul censimento di tipi cellulari, una sorta di “elenco componenti” da libretto di istruzioni di un kit di montaggio… Nessuna sezione faceva specificamente riferimento a una teoria o a un ponte di collegamento fra cervello, cognizione, comportamento… Nei bandi la parola “teoria” compariva una sola volta [5].
Questo è. Che poi i teorici, rispetto agli sperimentali, costerebbero anche meno…
Sono in molti oggi ad ammettere che non c’è modo di comprendere il cervello senza una teoria a livello psicologico che spieghi (o tenti di spiegare) che cosa stanno facendo questi benedetti circuiti cerebrali.
Lo stesso direttore Collins dell’NIH ha ammesso nel rapporto di giugno di quest’anno che l’obiettivo di BRAIN dovrebbe essere quello di arrivare a trovare il fondamento concettuale per la comprensione delle basi biologiche dei processi mentali, attraverso lo sviluppo di nuovi strumenti teoretici oltre che di analisi dei dati. Nelle sue parole:
“Non possiamo semplicemente chiederci che cosa fa questo o quest’altro insieme di neuroni, ma dobbiamo chiederci qual è il principio di funzionamento del cervello, dobbiamo chiederci che tipo di esperimenti possiamo sviluppare per testare teorie sul suo funzionamento” [6].
È per questo che le neuroscienze hanno bisogno di matematici, ingegneri, informatici, psicologi cognitivi, studiosi del comportamento, antropologi, linguisti, fisici e – perché no – di filosofi, di storici delle discipline per evitare di trovarci a reinventare tutte le volte la ruota.
Serve collaborazione, una collaborazione sul campo e paritaria fra teorici e sperimentali. Serve anche una prospettiva critica che sappia vedere l’insieme della complessità e non soltanto i singoli pezzi della scatola di montaggio del meccano.
In fondo è stato lo stesso padre delle neuroscienze cognitive contemporanee, Michael Gazzaniga, a mettere in guardia – nel lontano 2011 – dall’abbondanza crescente di dati, un’abbondanza che stava portando i neuroscienziati a concentrarsi più su “questioni di dettaglio che su questioni fondamentali”.
E che cosa proponeva Gazzaniga per uscire dall’impaccio? “Accoppiare le scoperte cumulative delle neuroscienze agli approcci complementari dei fisici e dei filosofi”.
A proposito di filosofi, vi è una constatazione che sembra un sofismo, ma non lo è per niente, per come la vedo io. Pensiamo per un attimo ai “termini” che usiamo per rappresentare le cose che ci interessa indagare coi metodi esatti della scienza…
Se chiedessimo a 10 ricercatori diversi di spiegarci che cosa intendono quando parlano di “coscienza” credo avremmo almeno 5 o 6 concetti altrettanto diversi riferiti al medesimo termine “coscienza”.
Dovremmo ripartire dai concetti… Non possiamo farci bastare il “linguaggio comune”, nemmeno – anzi soprattutto – quando si è scienziati di rango.
Nella pratica, che cosa pensiamo di far misurare a una macchina? La macchina misura quel che è in grado di misurare per come è stata progettata e molto onestamente butta fuori dati certi. Ma che cosa rappresentano per noi umani questi dati certi? A che cosa li riferiamo? Al mio o al suo o a un altro concetto ancora del fenomeno espresso con il medesimo termine?
Che confusione a muoversi così…
Oggi addirittura presupponiamo variazioni metaboliche “alla base” del teatro della coscienza, del teatro del “me”, alla base dell’amore, dell’esperienza soggettiva… Come se da una associazione statisticamente significativa potessimo dedurre una relazione di causa – effetto, un determinante psichico. Se vogliamo ostinarci a mettere una cosa sotto l’altra, o l’altra sotto l’una… giusto per ragionare per assurdo potremmo presupporre esattamente il contrario, ossia che la materia non è che una “autodeterminazione dello spirito”. Perché no? Chi ce lo vieta? Una opinione? Anche la mia lo è e io lo ammetto…
Alla McGill University [7], in Canada, hanno da qualche tempo attivato un corso in “Critical Neuroscience”. Gli studenti imparano a familiarizzarsi con le “controversie in cui sono immerse le neuroscienze” e con le ricadute delle scoperte neuroscientifiche sulla psichiatria, sull’industria, sulla politica e sulle altre sfere della vita sociale. Imparano anche a ragionare sulle potenzialità e sui limiti intrinseci delle metodologie di indagine che vanno per la maggiore, in particolar modo di neuroimaging, dotandosi di una serie di strumenti per “analizzare criticamente le interpretazioni dei dati neuroscientifici presenti nella letteratura accademica, nonché la loro rappresentazione nella cultura popolare”, con particolare attenzione alla crescita di “neuroculture” legate al Decennio del Cervello. Viene messo in discussione il riduzionismo neurobiologico, vengono trattati temi di neuroetica, vengono esplorate strade di connessione fra neuroscienze, scienze sociali e scienze umane… Che dire di più se non: peccato non essere alla McGill?
Per tornare a noi… La domanda fondamentale, a mio avviso, può essere così formulata: possiamo davvero comprendere la complessità della mente umana con la sola lente delle neuroscienze? A quale livello ci interessa comprendere e che cosa? Possiamo mischiare i piani di indagine? Possiamo trovare – più costruttivamente – punti di contatto, di interscambio di informazioni utili fra i diversi approcci all’umano?
Segnali interessanti arrivano proprio dal mondo della ricerca internazionale: passato finalmente il craving da neo-localizzazionismo, l’attenzione si va spostando sempre più dal dettaglio all’insieme… E capiamo forse per la prima volta che l’errore fisiologico del nostro Golgi non era che una lungimirante intuizione… Ragionare su una rete diffusa, una rete che tiene insieme il tutto e può spiegarlo…
E in questo… possiamo fare passi avanti… guardando indietro… rivedendo criticamente tanti assunti, dati fin troppo per scontati… soffermandoci sulle intuizioni e sui “limiti” già chiari a tanti pionieri, a Brodmann, a Broca… accettando l’aiuto di discipline solide che da secoli studiano la complessità della mente e del mondo… come la Fisica e la Filosofia… in una prospettiva squisitamente integrazionale… per una comprensione piena del mistero dell’umano “gettato in mezzo al mondo”… così minuscolo… nel cuore pulsante dell’Universo…
Marco Mozzoni
Marco Mozzoni all’Osservatorio Astronomico di Roma Monte Porzio Catone il 29-11-2014
Note:
- The White House Office of the Press Secretary, Remarks by the President on the BRAIN Initiative and American Innovation, April 2, 2013 (link)
- Gary Marcus, Adam Marblestone, and Jeremy Freeman, How to study the Brain, The Chronicle Review, November 12, 2014 (link)
- Marcus et al., cit.
- William R. Uttal, Mind and Brian, A critical Appraisal of Cognitive Neuroscience, The MIT Press, 2011 (link)
- Marcus et al., cit.
- National Insitutes of Health, NIH embraces bold, 12-year scientific vision for BRAIN Initiative, New report outlines initiative goals, budget, and timeline, Thursday, June 5, 2014 (link)
- McGill University, Critical Neuroscience Course (link)
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Ottima sintesi, condivido lo spirito e la grande rilevanza delle questioni per l’avanzamento delle neuroscienze dalle sabbie mobili in cui siamo (cfr. anche la “replicability crisis”).
Dello stesso tenore, segnalo un articolo del prof. Gary Marcus apparso recentemente sul NYT:
http://www.nytimes.com/2014/07/12/opinion/the-trouble-with-brain-science.html
Bellissima e sintetica maniera di proporre certi dubbi ed incertezze fondamentali, uscire dalla torre d’avorio finta ed affrontare le cose per come stanno: cosa sappiamo in più rispetto al periodo delle stimolazioni durante gli interventi neurochirurgici?
Io non sarei così pessimista sulla possibilità che presto si riesca a capire il funzionamento del cervello umano.
Mi sembra impossibile che con una popolazione di sette miliardi di individui sulla terra,nessuno abbia ancora risolto il problema,immagino che ci sia un mucchio di gente in giro per il mondo che ha trovato la teoria giusta che aspetta solo di essere verificata.
Quando i neuroscienziati si domandano,“che tipo di esperimenti possiamo sviluppare per testare teorie sul suo funzionamento“,forse significa,che le teorie esistono da qualche parte e manca solo la volontà di tirarle fuori dal cassetto? O magari ci si aspetta che l’ispirazione per una nuova teoria debba arrivare dalle”nuove tecniche per misurare le dinamiche di attività neurale “?
Come appassionato di neuroscienze,diciamo,uno smanettone a basso livello scolastico,mi sembra di aver capito che i neuroscienziati cercando di prendere una scorciatoia per arrivare prima,a una non bene precisata meta.
,in piena notte e con un buio pesto si sono persi.
Penso che l’unica strada percorribile per arrivare a capire il funzionamento del cervello umano,sia quella di “seguirne” passo dopo passo la formazione, nell’embrione e nel feto,in modo particolare ,“i circuiti di interconnessione“ ,tra una decina di matrici che si sovrappongono e si fondono all’interno dello strato corticale di ogni area cerebrale,necessari per creare nuove matrici.
Per fare questo bisognerebbe capire con una certa precisione come il neuroblasto riesca a farsi guidare dal DNA nella sua migrazione,e qua torniamo ancora al punto di partenza.L’unica ancora di salvezza potrebbe essere la ricerca di un nuovo modello di legame chimico,più elastico dell’attuale,che spieghi perché nell’assemblaggio e nel funzionamento di ogni proteina,DNA compreso,tutti i tasselli riescono a combaciare e andare al loro posto.
Probabilmente quando si arriverà a capire tutto questo,non si potrà fare a meno di capire anche come funziona il cervello umano,e schiarirsi così le idee per inquadrare meglio il concetto di coscienza.
Certamente,come tanti concetti complessi di alto livello presenti in materie come ,matematica ,fisica ,astronomia, ingegneria,informatica ecc, questo sarà un concetto abbordabile solo dagli addetti ai lavori,e dato che un concetto individuale non lo si può spezzettare,e ricostruire con la collaborazione di più persone,il moderno neuroscieziato dovrà avere una base di materie di studio più ampia dell’attuale,che comprenda anche più materie pratiche,”terra terra”.
Il moderno neuroscieziato quando sentirà parlare di “circuito“,non dovrà pensare subito alla formula uno,ma a quello che ha appreso nel suo percorso di studi passando dalla vecchia elettronica per arrivare alla nuova informatica.