Coma, stati vegetativi, stati di minima coscienza, morte cerebrale… Sono terribili i “disordini” della coscienza umana. Se ne parla ogni tanto, quando qualche “caso” diventa di pubblico dominio, stimolando pletore di discussioni e risse mediatiche. Nel frattempo, lontana dalla luce dei riflettori, la ricerca fa passi da gigante… Ne parliamo con Andrea Soddu (nella foto), ricercatore del Coma Science Group dell’Università di Liegi.
Andrea Soddu è ricercatore FNRS (Fondo Nazionale per la Ricerca Scientifica) in Belgio. Ha ottenuto il suo PhD in Fisica delle Particelle all’Università della Virginia. Nel 2008 è entrato a far parte del Coma Science Group (comascience.org) del Cyclotron Research Center dell’Università di Liegi, dove lavora insieme a Steven Laureys sull’attività cerebrale spontanea misurata con la risonza magnetica funzionale in pazienti con disordine di coscienza. Sull’argomento ha pubblicato numerosi studi sulle più importanti riviste scientifiche internazionali.
Sarà fra i relatori dell’evento dedicato alle “Grandi domande della mente” che si svolgerà venerdì a Verona nel contesto delle iniziative di Infinitamente 2010.
Dottor Soddu, recentemente ha affermato che i disordini della coscienza, veri e propri “abissi” come lei li definisce, “pongono nuove e diversificate problematiche ai teologi e a quanti si occupano di etica, trasforma i medici in avvocati, gli avvocati in medici ed entrambi in filosofi”. Che cosa intende precisamente?
Semplicemente che i pazienti con disturbi di coscienza stanno aprendo così tante nuove problematiche, e il caso di Eluana Englaro in Italia ne è stato un forte esempio, che è difficile e forse quasi impossibile non tentare almeno di confrontarsi con esse qualunque sia il ruolo che ognuuno ha e che ovviamnte deve continuare a mantenere. Però è evidente che per poter cercare di offrire soluzioni che siano il più possibile appropriate ci dovrebbe essere lo sforzo da parte di tutti a informarsi il più possibile del lavoro fatto in campi diversi e da figure porfessionalmente lontane.
Immagine gentilmente concessa a BrainFactor da Andrea Soddu (comascience.org), 2010
Oggi sembra esservi molta confusione – non solo nell’ambito mediatico – sul concetto di morte cerebrale, coma, stato vegetativo e stato di minima coscienza. Ci può spiegare, in sintesi, le differenze fra queste condizioni patologiche della coscienza umana e le procedure con le quali vengono attualmente diagnosticate?
Lo stato di morte cerebrale corrisponde allo stato di totale assenza di attività neuronale ed è oggi uno stato ben definito clinicamente. Lo stato di coma è lo stato in cui si può cadere in seguito a un trauma cranico o per assenza temporanea di ossigeno al cervello. Nello stato di coma il paziente è privo di un qualsiasi residuo di coscienza. Dallo stato di coma si può avere un completo recupero o evolvere in quello che si chiama stato vegetativo, in cui il paziente riacquista un ciclo sonno veglia pur non essendo consapevole né di sè né dell’ambiente circostante. Talvolta però pazienti in stato vegetativo possono riacquisire parzialmente uno stato di consapevolezza e questo stato, detto di coscienza minima, può oggi essere diagnosticato. Nuovi test comportamentali in cui si richiede al paziente di eseguire semplici comandi come seguire la propria immagine in uno specchio, se da esso eseguiti in prove ripetute, possono efficacemente rivelare la presenza di consapevolezza residua. Ai test comportamentali viene poi affiancata una serie di esami elettrofisiologici o di neuroimaging che ci consente di consolidare la diagnosi clinica fatta al letto del paziente.
Uno studio pubblicato lo scorso anno dal vostro gruppo di ricerca (Schnakers C et al., Diagnostic accuracy of the vegetative and minimally conscious state…, BMC Neurology 2009) ha portato l’attenzione sui limiti della valutazione clinica tradizionale, mostrando che “il 41% dei pazienti diagnosticati in stato vegetativo sarebbe in realtà in stato di minima coscienza”, cioè avrebbe ricevuto – come è stato sottolineato senza giri di parole – una “diagnosi sbagliata”. Un dato che fa riflettere, pensando alle conseguenti decisioni da prendersi in merito al trattamento di questi pazienti…
Nel lavoro apparso su BMC Neurology, realizzato in collaborazione con il gruppo di ricerca del New Jersey Neuroscience Institute di Joseph Giacino, Caroline Schnakers del Coma Science Group ha infatti mostrato che grazie ad una nuova scala di valutazione, la “Coma Recovery Scale-Revisited”, è stato possibile riconoscere stati di coscienza minima laddove le scale tradizionali avevano invece diagnosticato uno stato vegetativo. Ovviamente questo studio ha un enorme valore, non solo per le famiglie a cui viene indicata la possibilità che il paziente abbia una capacità seppur minima di ascolto e di percezione del mondo esterno, ma anche per il paziente stesso, che potrà ricevere trattamenti medici e riabilitativi differenziati. Si è infatti mostrato con tecniche di neuroimaging che pazienti in stato di minima coscienza, sotto stimolo dolorifico hanno attività cerebrale molto simile a soggetti sani, contrariamente ai pazienti in stato vegetativo. Questo ci fa pensare che i pazienti in stato di coscienza minima abbiano percezione del dolore e che quindi debbano essere forniti, fra l’altro, di trattamenti antidolorifici.
Qualche mese fa, durante un seminario tenutosi all’Accademia Pontificia, ha parlato di “recenti studi che apriranno una nuova era nella ricerca sul coma”…
Sì, credo infatti che grazie alle moderne e sempre più accessibili tecniche di neuroimaging e a centri di ricerca multidisciplinare come quello di Liegi in cui a medici e neuropsicologi, le figure tradizionali, vengono affiancati fisici e ingegneri, si stanno già facendo passi importanti per rendere la diagnosi dei pazienti con disordini di coscienza sempre più completa e precisa. E questo molto probabilmente ci consentirà in futuro di dare alle nostre valutazioni un maggiore contenuto prognostico e allo stesso tempo di comprendere un po’ di più i meccanismi alla base dei disordini della coscienza. Non meno importante è lo sforzo che si sta facendo per cercare di fornire ai pazienti che mostrano anche minimi segnali di coscienza la possibilità di comunicare con il mondo esterno usando le nuove tecniche di interfacciamento cervello macchina. Queste tecniche infatti, in un futuro che riteniamo non molto lontano, consentiranno ai pazienti di rispondere alle domande loro richieste con probabilità di errore tale da non compromettere una normale conversazione.
Intervista realizzata da Marco Mozzoni il 24/01/2010 © BRAINFACTOR Cervello e Neuroscienze
Be the first to comment on "Verso gli abissi: i disordini della coscienza; BrainFactor intervista Andrea Soddu"