“Le prove di efficacia del brain training sulle funzioni cognitive sono deboli” afferma Adrian Owen del Medical Research Council dell’Università di Cambridge, autore su Nature del paper di presentazione dei risultati del più vasto studio sinora realizzato in materia, Brain Test Britain, ideato e promosso lo scorso anno dalla redazione scientifica dell’emittente britannica BBC.
Lanciato nel settembre 2009 dalla BBC alla luce di precedenti studi che mettevano in dubbio l’utilità di tali ritrovati tecnologici, l’esperimento Brain Test Britain aveva lo scopo di dimostrare su un ampio campione di popolazione se i giochi a computer potessero davvero tradursi in un miglioramento generale delle abilità cognitive quali la memoria, la pianificazione, le capacità di problem solving di chi li pratica abitualmente.
Più di 67.000 le persone che hanno aderito all’appello della BBC. Oltre 11.000 soggetti fra i 18 e i 60 anni hanno completato il periodo di “addestramento”, che prevedeva tre sessioni settimanali per 6 settimane consecutive.
I soggetti sono stati divisi in tre gruppi: uno impegnato in compiti focalizzati su abilità di ragionamento, pianificazione e problem-solving; uno addestrato con programmi commerciali di brain training, orientati alla memoria a breve termine, all’attenzione, alle abilità visuospaziali, alla matematica; uno, quale gruppo di controllo, era invitato a utilizzare internet per trovare risposte a specifici quesiti.
Al termine dell’esperimento, pur avendo migliorato le prestazioni nei rispettivi compiti, i soggetti non avrebbero mostrato miglioramenti nelle abilità cognitive generali quali la memoria, il ragionamento e l’apprendimento, misurati con test clinici specifici: in pratica non ci sarebbe stato alcun “effetto di trasferimento”.
L’esperimento è stato coordinato dal professor Adrian Owen del Medical Research Council dell’Università di Cambridge e dal professor Clive Ballard, direttore di ricerca della britannica Alzheimer’s Society, che così concludono: “i risultati sono chiari, le sessioni di brain training funzionano tanto quanto l’utilizzo di internet per sei settimane, non c’è differenza significativa fra le due attività”.
“Sarà sicuramente una sorpresa per i milioni di persone che nel mondo ogni giorno praticano qualche forma di brain training, pensando che esercitare regolarmente il cervello con svariati test e rompicapo consenta di migliorare le prestazioni mentali richieste della vita quotidiana”, sottolinea Owen, convinto inoltre che “la maggior parte degli studi utilizzati per supportare i claim commerciali dei diversi ‘brain trainer’ in circolazione non soddisfano nemmeno gli standard scientifici accettati”.
Ma le critiche già non mancano anche nei confronti del nuovo studio.
Fra gli altri, il neurologo Peter Snyder della Brown University così riassume a Nature alcuni dubbi metodologici: “lo studio di Owen sarebbe debole su più fronti, perché realizzato su un campione troppo giovane e composto da soli volontari, che avrebbero una naturale inclinazione a praticare questi test: in sostanza, quello studiato in Brain Test Britain sarebbe un campione ad elevate prestazioni, non certo comparabile con il target dei programmi commerciali, destinati ad adulti sopra i 60 anni, che avrebbero ottenuto punteggi di ingresso più bassi e maggiore variabilità prestazionale, cioè maggiori margini di manovra per il training e, di conseguenza, miglioramenti più significativi”. “Le mele devono essere confrontate con le mele”, conclude Snyder in una battuta.
Il dibattito è aperto.
Reference:
- Owen AM, Putting brain training to the test, Nature, advance online publication doi:10.1038/nature09042 (April 2010)
- Katsnelson A, No gain from brain training. Computerized mental workouts don’t boost mental skills, study claims. Nature 464, 1111 (2010) doi:10.1038/4641111a
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