La considerazione della dimensione spirituale sarebbe fondamentale nel trattamento dei pazienti, specialmente in caso di malattie gravi e nel contesto delle cure palliative. Questo il senso delle linee guida stilate dalla Consensus Conference di Pasadena appena pubblicate sul Journal of Palliative Medicine (Puchalski C et al., Improving the Quality of Spiritual Care as a Dimension of Palliative Care: The Report of the Consensus Conference, J Pall Med, 2009).
“Per la prima volta il personale sanitario interessato potrà avere a disposizione un modello pratico per l’implementazione di un trattamento integrato e interprofessionale che comprende anche la dimensione spirituale dei pazienti e delle loro famiglie”, ha spiegato in una nota Christina Puchalski, medico e docente al George Washington University Medical Center, autore principale del documento di consenso siglato a Pasadena.
“L’intento delle cure palliative è quello di prevenire e alleviare la sofferenza del malato e fornire supporti per assicurare a lui e alla sua famiglia la migliore qualità di vita possibile”, in particolare nei casi di gravi malattie e malattie neurodegenerative a oggi non ancora curabili efficacemente. Lo dicono le linee guida dell’americano National Consensus Project for Quality of Palliative Care (NCP-QPC), pubblicate nel 2004 e revisionate a inizio 2009. Le NCP-QPC considerano infatti la “cura” da diversi punti di vista, corrispondenti ai diversi aspetti dell’umano: struttura e processi, aspetti fisici, aspetti psichiatrici e psicologici, aspetti sociali, aspetti esistenziali, spirituali e religiosi, aspetti culturali, morte imminente, aspetti etici e legali.
Già dai primi anni novanta – sottolinea il documento di Pasadena – centri medici universitari, scuole di specializzazione e ospedali americani iniziavano a riconoscere il ruolo della “spiritualità” quale fattore critico nel contesto delle cure. Diversi studi avrebbero dimostrato che la spiritualità, oltre a rappresentare uno dei “bisogni” del malato, può influire sugli esiti del suo trattamento e sulla sua qualità di vita.
Come tutte le altre funzioni dell’organismo, la dimensione spirituale può non trovarsi “in buona salute”, per crisi esistenziali, senso di abbandono, conflitto con il proprio sistema di valori, perdita del senso della vita e della speranza: questo può aggravare la stessa malattia. Può risultare dunque utile – secondo gli americani – uno “screening dei sintomi spirituali”, che, insieme alla “anamnesi spirituale” (la storia spirituale dell persona in cura), può integrare le informazioni diagnostiche e i piani di trattamento contenuti nella tradizionale cartella clinica. Un professionista della materia (il rapporto parla di un “religioso certificato”) si potrà occupare di questo aspetto, in un contesto di presa in carico complessiva del malato, secondo gli standard qualitativi indicati dalla Consensus Conference.
I principi della “cura dello spirito” possono essere applicati in ogni fase del trattamento del paziente e sono indipendenti dalla sua cultura, dalle sue tradizioni religiose e dai valori spirituali a cui fa riferimento. Il modello è definito “biopsicosociospirituale”: fa leva sui principi dell’antropologia filosofica e considera il paziente / persona come “essere-in-relazione”.
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