Esattamente 10 anni fa Nature apriva il dibattito sull’eticità del potenziamento cognitivo umano basato su farmaci neurostimolanti destinati in origine a curare i malati. In quel caso erano addirittura Martha Farah e Michael Gazzaniga a prendere posizione, esprimendosi a favore di un uso per così dire responsabile delle smart drugs:
“La società deve affrontare la crescente domanda di potenziamento cognitivo e la risposta deve partire dal rifiuto dell’idea che il termine potenziamento sia una brutta parola”, scrivevano infatti i luminari delle neuroscienze contemporanee in un articolo a più mani, richiamato prontamente da Brainfactor per il pubblico italiano.
In quel periodo – siamo nel dicembre del 2008 – era alta l’attenzione sugli studenti dei college americani, che facevano segnare un trend crescente di traffico, consumo e abuso di metilfenidato e altre molecole di sintesi, destinate al trattamento dell’ADHD e della narcolessia, per aumentare la performance agli esami, con picchi del 25% in alcuni campus.
Ora che al fenomeno è stato dato un nome (si parla di PCE, acronimo di Pharmacological Cognitive Enhancement, cioè potenziamento cognitivo farmacologico) sembra essere l’Europa a detenere il primato del maggiore incremento dell’uso di stimolanti a effetto “brain boosting”, con punte nel Regno Unito, passato dal 5% registrato nel 2015 al 23% rilevato quest’anno, seguito a ruota dalla Francia, attualmente al 16%, contro il 3% di tre anni fa.
Lo rivela il Global Drug Survey condotto su un campione particolarmente esteso di oltre 100.000 persone dai ricercatori del Dipartimento di Psichiatria della University of California San Francisco (UCSF), in collaborazione con i colleghi della University of Queensland in Australia e dell’University College London (UCL), pubblicato sull’International Journal of Drug Policy e commentato su Nature da Arran Frood.
Gli Stati Uniti restano comunque ancora al comando in termini di prevalenza del fenomeno, che interessa ormai il 30% della popolazione d’oltre Oceano, con un incremento di 10 punti percentuali rispetto al 20% registrato nel 2015. In generale, a livello mondiale, il 48% sembra che si procuri i farmaci “attraverso amici”, il 10% da uno spacciatore o su internet, il 6% da un proprio famigliare, solo il 4% dice di averli ottenuti con prescrizione del medico.
Lo studio:
Be the first to comment on "Smart drugs, è allarme in Europa"