Marina Bentivoglio è presidente della Società Italiana di Neuroscienze (SINS). Medico neurologo, è professore ordinario di Istologia all’Università di Verona. Negli anni ha insegnato neuroanatomia e neuroscienze in diverse università europee e americane. I suoi interessi di ricerca vertono principalmente sulla patobiologia dei segnali immuno-mediati nel sistema nervoso centrale, in particolare condizioni neuroinfiammatorie e neurodegenerative, sulla neuroanatomia funzionale dei circuiti diencefalici e sulla patogenesi molecolare delle loro alterazioni funzionali, sulla storia delle neuroscienze. Ha pubblicato più di 200 studi sulle più importanti riviste scientifiche internazionali e diversi volumi. Numerosi i riconoscimenti scientifici ricevuti, fra i quali il premio “Camillo Golgi” dell’Accademia Nazionale dei Lincei per gli studi sull’anatomia del sistema nervoso. E’ segretario generale della International Brain Research Organization (IBRO) e fa parte del Consiglio Scientifico della Fondazione Rita Levi-Montalcini.
In occasione del congresso SINS 2009, in corso a Milano, Marco Mozzoni l’ha intervistata sul tema “L’Italia delle Neuroscienze”.
Professoressa Bentivoglio, vedere la presenza di così tanti giovani a SINS 2009 è una speranza per le neuroscienze italiane… Un primo bilancio del congresso?
Il congresso ha avuto una ricchissima partecipazione in genere, sono più di 700 iscritti a oggi e siamo solo a metà del congresso, in larghissima maggioranza giovani; le poster session sono assolutamente affollate… Questo è di particolare rilievo in un periodo in cui i posti a sovvenzionamento per i giovani scarseggiano, quindi si tratta proprio di una motivazione molto forte, di un interesse molto forte da parte di giovanissimi ricercatori, che sembrano oltretutto avere ben poche speranze di carriera. Questo testimonia il fatto che la scienza è viva e che necessiterebbe del supporto dovuto perché questi giovani possano andare avanti.
Qual è lo stato dell’arte della ricerca italiana sulle neuroscienze? In che cosa l’Italia va forte rispetto agli altri Paesi?
L’Italia ha prima di tutto una lunga tradizione e ha una ottima reputazione internazionale. I ricercatori sono sicuramente dei ricercatori di rilievo. Il congresso riflette la situazione delle ricerche così come queste vengono finanziate. C’è una grossissima spinta da parte della Commissione Europea e da parte anche dei bandi nazionali, che sono le sorgenti di fondi principali per le ricerche, verso la cosiddetta neuroscienza traslazionale, cioè applicata alla cura delle malattie. Per esempio, qui ci sono molti simposi, molte discussioni su malattie neurodegenerative, primariamente l’Alzheimer, che è un grande problema di salute pubblica ed un grosso quesito scientifico ancora oggi. Questo però potrebbe essere bias, una visione distorta proprio dalla pressione dei finanziamenti più che dalla verità degli interessi scientifici, perché le neuroscienze italiane sicuramente coprono tutto lo spettro delle neuroscienze, dal molecolare alle neuroscienze dei sistemi. Abbiamo ottimi ricercatori nell’ambito delle scienze cognitive così come abbiamo ottimi ricercatori dal punto di vista dell’espressione e della regolazione di geni. Quindi, direi che in questo particolare momento l’Italia ha delle potenzialità in tutti i campi delle neuroscienze. Il problema è se queste potenzialità possono essere adeguatamente spinte, promosse, finanziate… E purtroppo sembra di no. Quindi, attenzione alle malattie, come deve essere, però ricordiamoci che le grandi scoperte sulle malattie vengono dalle scienze di base, non dalle scienze applicate. In realtà bisognerebbe che tutti coloro i quali hanno le agenzie di fondi finanziassero il più possibile le ricerche di base, che sono quelle che storicamente nelle neuroscienze come in altri campi della scienza hanno poi portato a un progresso reale anche del trattamento delle malattie.
La crescente attenzione generalizzata verso le neuroscienze riflette davvero nuovi bisogni di conoscenza e di aspettative di cura della nostra società?
Secondo me riflette delle vere esigenze conoscitive. Le neuroscienze sono un campo di discipline che viene nominato al plurale per definizione, esploso negli ultimi trenta anni. E’ esploso proprio perchè c’era bisogno di conoscenza. Con l’accumulo di dati il bisogno di conoscenza è cresciuto. Dal punto di vista della ricaduta terapeutica il campo è tuttora molto scarso: lo è perchè molta parte della patologia del sistema nervoso centrale e del cervello è di difficile comprensione e, nonostante lo sforzo congiunto, ovviamente non solo italiano – c’è un enorme sforzo internazionale – è un capitolo in cui la terapia è deludente. Quindi direi che, sia dal punto di vista conoscitivo sia dal punto di vista applicativo, è un fenomeno di reale esigenza di una comunità scientifica.
Quali sono gli elementi di validità e i limiti attuali dei diversi metodi di indagine nel campo delle neuroscienze?
Non c’è nessun metodo di indagine storicamente che sia di per sé e da solo la chiave della verità. Questo i ricercatori lo sanno. Tutti i metodi senza alcun tipo di eccezione hanno un loro potenziale conoscitivo e delle loro limitazioni. Attualmente ci sono dei metodi molto potenti a livello dell’infinitamente piccolo, cioè a livello molecolare, ma sono assolutamente in continua evoluzione, il che tra l’altro impone anche una esigenza di aggiornamento continuo, uno sforzo terribile da parte dei ricercatori… e molti di questi metodi sono anche costosi. D’altro canto c’è naturalmente un grosso impegno metodologico nell’infinitamente grande, cioè nello studio per così dire dei fenomeni mentali, in particolare dell’imaging. Il pericolo è che, a livello della stampa, a livello dell’informazione, forse anche a livello di coloro i quali sono impegnati e cercano di vendere il loro prodotto per la ricerca di fondi, venga dato al metodo troppa importanza. La verità vera, quella parte di verità a cui abbiamo accesso, viene solo da informazioni che derivano da più metodiche messe insieme e da un vaglio critico di queste metodiche nel tempo. Questo è quello che ci ha insegnato la scienza da sempre e che è vero anche nel ventunesimo secolo. Solo che tutto questo ha subito una accelerazione per cui il nostro vaglio è molto faticoso. Quindi non c’è il metodo giusto, ce ne sono tanti…
A proposito di informazione, oggi si vede molto sensazionalismo sui giornali… Ogni giorno leggiamo di nuove scoperte che potranno sconfiggere la tale o tal altra malattia. Non le sembra che così si rischia più di fare un danno, proprio nei confronti dei malati che possono nutrire speranze di cura oggi illusorie?
Sono assolutamente d’accordo. Trovo che in Italia il rapporto fra scienza e informazione, fra neuroscienza e informazione, è pessimo, non sufficientemente bilanciato, forse da nessuna delle due parti, cioè tanto dalla parte dei ricercatori come da quella della stampa… Il sensazionalismo è colpevole, io non lo critico, lo condanno. Abbiamo appena detto che per la maggior parte della patologia neurologica a tutt’oggi le cure sono carenti, quindi la falsa prospettiva di speranze è colpevole. Su questo particolare settore dell’informazione sono assolutamente critica. La Società Italiana di Neuroscienze è una società di ricerca e di scienziati che vivono peraltro una vita quotidiana sotto una pressione terribile: la vita scientifica è una vita molto competitiva, la ricerca di fondi è incessante, non abbiamo il tempo materiale per dedicarci a un rapporto col pubblico in maniera più completa, però d’altra parte il modo in cui il giornalista acquisisce le informazioni e la ricerca del sensazionalismo è colpevole. E ovviamente la gente ci va di mezzo. Proprio ieri ho ricevuto una mail da un cittadino che mi chiedeva dove poter andare per le cellule staminali… E’ una cosa terribile che vengano create delle speranze di questo genere. Non voglio entrare nel merito della patologia, ma è chiaro che se ci sono una serie di procedure sperimentali, prima che queste arrivino ad un reale impatto sulla malattia ci vuole del tempo e la gente lo deve sapere: l’informazione dovrebbe essere corretta in questo senso.
La professoressa Levi Montalcini l’altro giorno a Pavia ha invitato l’Italia a sostenere giovani e ricerca…
Ero con la professoressa Levi-Montalcini a Pavia, al Cajal Club, che è peraltro un club di scienza pura… Da persona con una lunga esperienza di vita, ma come persona che ha sempre guardato al futuro, sottolinea che l’attenzione va sempre rivolta ai giovani, perché non sono solo il futuro della società, ma anche il futuro della scienza. La situazione in Italia è tragica. Non ho altro tipo di definizione. E’ per questo che il fatto di vederli qua al congresso del SINS è particolarmente emozionante. La loro ambizione è quella di dedicarsi a una vita di grandissimo sacrificio, per stipendi da fame… e non ci sono neanche questi. Senz’altro dobbiamo incoraggiare questi giovani, ma dobbiamo incoraggiare soprattutto chi ha il potere della decisione a cercare di favorire un pochino queste carriere. Altrimenti scivoliamo da una situazione che ancora tiene per quanto riguarda le generazioni di mezzo, quarantenni e cinquantenni che ancora fanno parte di un mondo in cui in qualche modo si accedeva all’università, a un baratro. Bisogna prendere dei provvedimenti immediati. Non c’è assolutamente alcuna altra situazione riguardo lo sviluppo di un paese se non quello di favorirne la ricerca. O in un paese si favorisce la ricerca, come insegnano gli Stati Uniti, il Giappone, in pratica tutte le realtà che abbiamo visto, o si va indietro. E’ assolutamente colpevole penalizzare la ricerca ai giovani. Per cui, nella maniera più assoluta, se vogliamo che l’Italia vada avanti – e non sto parlando di prospettive di lunga durata, ma da qui a due anni, perché siamo in una situazione di vera emergenza – dobbiamo pensare a giovani e sovvenzioni. La Società Italiana di Neuroscienze si sta battendo da tempo per queste cose…
Intervista realizzata da Marco Mozzoni il 3/10/2009 © BrainFactor – Cervello e Neuroscienze http://brainfactor.it
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