ROMA – È inutile, siamo sempre in ritardo in Italia. Anche nella diagnosi di un disturbo conosciuto, come la schizofrenia. Ci vogliono infatti mediamente tre anni nel nostro Paese, dal momento della manifestazione dei sintomi, per ottenerla. E servono diversi incontri, se è vero che oltre il 35% dei pazienti deve recarsi da uno o più specialisti dalle due alle cinque volte. E solo da quel momento in poi può iniziare una terapia. Certo, perché senza una diagnosi in mano, quale terapia intraprendi?
A queste persone va aggiunto un altro 37% che non ricorda più nemmeno quante visite siano servite per capire esattamente di che problema si trattasse. Insomma, solo un paziente su quattro sembra avere ricevuto una diagnosi “al primo colpo”. Tutto ciò in un contesto di “dubbi e incertezze da parte dei medici di medicina generale” e “titubanze nell’interpretazione dei sintomi” da parte di qualche psichiatra, rilevati rispettivamente dal 60% e dal 34% dei caregiver intervistati.
Sono i dati allarmanti che emergono dalla ricerca “Vivere con la schizofrenia. Il punto di vista dei pazienti e dei loro caregiver”, realizzata dal Censis e presentata oggi a Roma, a Palazzo Giustiniani, presso il Senato della Repubblica, da Concetta Vaccaro, responsabile dell’area welfare e salute dell’ente, insieme a Bernardo Carpinello, presidente della Società Italiana di Psichiatria, Alberto Siracusano, Presidente della Società Italiana di Psicopatologia, Fabrizio Starace, presidente della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica, Luigina Di Liegro, presidente della Fondazione Don Luigi Di Liegro.
E una volta avuta la diagnosi che succede? Il 23% del campione intervistato (160 pazienti in totale) dichiara di essere stato “completamente estraneo al processo di definizione del percorso di cura” e il 38% non completamente coinvolto nella decisione, una decisione che però riguarda la sua vita e il suo futuro, oltre a quello dei suoi cari, che spesso e volentieri si fanno “caregiver” come si dice oggi, principalmente i genitori (55% dei 160 familiari intervistati), i fratelli e le sorelle (circa il 20%), o il partner (11 per cento).
“Drammatico” – sottolineano al Censis – l’impatto socioeconomico del disturbo, causa di abbandono definitivo, parziale o cambiamento di attività lavorativa, rispettivamente per il 47%, il 16% e il 23% dei pazienti; oppure di abbandono scolastico (34%) o radicali modifiche al percorso di studi (12 per cento). Visto come stanno le cose, sono comuni le “esperienze di frustrazione, disagio ed emarginazione”: più del 75% dei pazienti “nasconde la malattia” o non ne parla con nessuno, il 70% ha la percezione di essere discriminato dagli altri, il 64% vive un costante disagio perché teme che i sintomi possano diventare evidenti in qualsiasi momento agli occhi delle altre persone, tanto da restare single per forza di cose: “l’80% è infatti celibe o nubile”. Non per niente richiedono a gran voce progetti di reinserimento e attività di socializzazione, a pari merito col 50 per cento.
Nonostante tutto, valide sembrano essere le terapie correnti: il 71% delle persone in trattamento le ritiene efficaci, con lunghi periodi di remissione del disturbo, anche se la possibilità di ricadute è frequente, con ricoveri in ospedale o in cliniche private che, solo nell’ultimo anno, hanno interessato il 23% dei pazienti.
“Dalla ricerca Censis – commenta Marco Mozzoni, neuropsicologo e psicoterapeuta del Centro di Ipnosi Clinica Roma – risulta evidente il bisogno di parlare con gli altri della propria situazione. Le istituzioni devono sicuramente fare qualocosa, ma non basta. Serve la disponibilità di tutti ad aprirsi a un dialogo sincero, per fare in modo che chi ha problemi non si senta abbandonato a se stesso e possa intraprendere al più presto un percorso di aiuto. È per tale motivo che abbiamo deciso quest’anno di raccogliere l’invito dei colleghi britannici a promuovere anche in Italia il Time to Talk Day: giovedì 1 febbraio, durante l’intera giornata dell’evento, daremo la possibilità a chiunque, ovunque si trovi, di dialogare con noi su questi temi, nella riservatezza di una chat one-to-one dedicata, attiva sul nostro sito web. Sarà una goccia nel mare, ma intanto ce la andiamo ad aggiungere”.
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