Neuroscienze sociali e neuroimmagine, “correlazioni voodoo” secondo il MIT; clima da resa dei conti nella comunità neuroscientifica internazionale

risonanza magneticaLe correlazioni fra le attivazioni del cervello alla risonanza magnetica funzionale (fMRI) e i comportamenti umani, riportate negli studi che costituiscono il corpus dottrinale delle cosiddette neuroscienze sociali, sarebbero “implausibili”, secondo il Massachussetts Insitute of Technology (MIT). Il cuore della critica mossa dai ricercatori del MIT sta nella “scoperta” (termine fin troppo abusato nella divulgazione scientifica, ma in questo caso forse davvero opportuno) in tali studi di gravi e ricorrenti errori metodologici, individuati da Edward Vul, “semplice” dottorando al MIT, supervisionato dalla neuroscienziata Nancy Kanwisher. Cosa sta succedendo nella comunità neuroscientifica?

Ecco il fatto. Dopo avere passato al setaccio più di 50 studi pubblicati negli ultimi anni dai neuroscienziati sociali, Vul ha voluto interpellare direttamente gli autori, chiedendo ragguagli tecnici sulle analisi effettuate sui dati ottenuti con neuroimmagine. Ebbene, su 54 studi, ben 31 hanno meritato – a giudizio del MIT – di essere inclusi in una “red list”, perché caratterizzati da “errori di base” nelle elaborazioni dei dati e nelle analisi statistiche utilizzate per desumere le presunte correlazioni. Va sottolineato che molti di questi studi di dubbio metodo hanno visto la luce anche su autorevoli riviste, quali Nature e Science.

Il giovane Vul, a sua volta, ha riportato il tutto in uno studio, che, ancor prima di essere pubblicato, è letteralmente andato a ruba fra i ricercatori di tutto il mondo, forse anche per il titolo singolare originariamente dato all’articolo: “Voodoo correlations in social neuroscience”. Alla data odierna, il titolo è stato convertito in un più diplomatico “Puzzlingly High Correlations in fMRI Studies of Emotion, Personality, and Social Cognition (*)“, dove l’asterisco rimanda però a questa nota: “The paper formerly known as Voodoo Correlations in Social Neuroscience”. Come a dire, pur avendo dovuto optare per un titolo meno diretto, meno accattivante, la pensiamo sempre allo stesso modo…

La scoperta di Vul e colleghi è diventata un “caso”, nella comunità scientifica internazionale. E “tutti ne hanno parlato ancor prima che l’articolo venisse pubblicato”, sottolineano con un certo risentimento i ricercatori che si riconoscono nel filone dei cd. neuroscienziati sociali. La riflessione di Vul in effetti, come riporta l’ultima edizione cartacea di Brain in the news, rivista di aggiornamento della Dana Foundation, “ha toccato un nervo scoperto: gli studi di neuroimmagine sono stati accolti da molti, già 15 anni fa, come la nuova frenologia e le interpretazioni dei loro dati altamente complessi sono stati spesso denunciati come naive (naif o ingenui, secondo una traduzione letterale – NdR)” (Alison Abbot, Brain Imaging Studies under Fire, Nature 2009; ripreso in Brain in the news, Feb. 2009).

I neuroscienziati sociali hanno rilanciato cercando di mostrare la correttezza delle loro analisi rispetto all’oggetto di studio e, soprattutto, lamentandosi di “non avere potuto argomentare per i normali canali accademici”, vista la rapida diffusione di un  manoscritto “dal titolo provocatorio e dallo stile iconoclastico”.

Tania Singer, che all’Università di Zurigo si occupa di neuroempatia (i cui studi sono additati nel manoscritto in questione come “esempio di cattiva pratica”), sembra avere appreso delle critiche di Vul solo da una telefonata a lei fatta da un giornalista… I giornalisti, utili da un lato perché rendono visibile il lavoro di anni di ricerca al vasto pubblico dei non addetti ai lavori, concedendo a turno la gratificazione dei riflettori anche ai “topi di laboratorio”; da starci attenti dall’altro, perché non hanno da rispettare i canoni dell’accademia (chi li conosce un poco, sa che quando fiutano la notizia, la rincorrono come forsennati, cercando sempre di essere i primi a pubblicarla, facendo a volte – come in questo caso – da cassa di risonanza per cose che magari era meglio discutere prima a porte socchiuse, secondo il pensiero di alcuni). 

D’altro canto, Christian Keyser, altro ricercatore messo in discussione da Vul per uno studio sull’emaptia uscito su Neuroimage nel 2007, riconosce che “c’è un fondo di verità in ciò che Vul e colleghi sostengono in merito a certa letteratura traballante… E non è mai sufficiente il richiamo all’importanza della buona pratica statistica”.

Chris Frith, neuroscienziato dell’University College di Londra (UCL), si dice invece molto preoccupato, perché “così facendo, l’intera impresa delle neuroscienze sociali può finire in grande discredito”.

Seguiremo gli sviluppi della controversia, che riguarda direttamente le neuroscienze, ma anche – e in una più ampia prospettiva di analisi – la comunicazione scientifica nel suo complesso.

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Marco Mozzoni
Direttore Responsabile

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