Neuropsicologia dell’esperienza religiosa. Un’intervista a Franco Fabbro

Sacro, estasi, beatitudine, spiritualità. In che modo il cervello “sostiene” l’umano anelito al trascendente? Riproponiamo su BrainFactor un’intervista al Prof. Franco Fabbro, medico neurologo, ordinario di neuropsichiatria infantile all’Università degli Studi di Udine, che avevamo realizzato qualche tempo fa in occasione della pubblicazione del suo libro “Neuropsicologia dell’esperienza religiosa” (Astrolabio, 2010).

Professore, quali sono le “basi neurobiologiche” delle esperienze religiose che descrive nel suo libro?

L’ipotesi di lavoro è che le funzioni neuropsicologiche siano “incarnate” in un cervello e rappresentate in una rete interconnessa di circuiti cerebrali. Così le differenti dimensioni dell’esperienza religiosa sono rappresentate in circuiti cerebrali parzialmente indipendenti. Fino ad ora ne sono state studiate soltanto alcune componenti. Ad esempio, l’amore ammirativo verso la divinità sembra coinvolgere alcune strutture del giro frontale medio dell’emisfero destro, mentre l’amore compassionevole sembra attivare l’insula, la corteccia anteriore del cingolo e alcune aree somatosensoriali. Le condizioni di estasi spirituale sono, invece, correlate con l’attivazione di strutture diencefaliche e del lobo limbico. Infine, l’autotrascendenza, come è stato evidenziato da un nostro recente studio pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale “Neuron”, è correlata con un’attivazione delle aree prefrontali e una selettiva disattivazione di strutture del lobo parietale inferiore. Tuttavia, questi esempi non devono farci dimenticare che l’esperienza religiosa è indubbiamente un fenomeno molto complesso e che gli studi neuropsicologici sono soltanto in una timida fase iniziale.

Lei sostiene che fra le caratteristiche che distinguono gli esseri umani dalle altre specie vi è proprio la “dimensione del sacro”. In che termini tale dotazione è intrinseca all’umano?

Due caratteristiche distintive degli esseri umani mi sembrano collegate: il senso del sacro e la dimensione temporale della vita. Gli altri animali sperimentano queste due dimensione ma a un livello probabilmente inferiore. L’organizzazione neuropsicologica del cervello umano rende possibile il ricordo consapevole e l’elaborazione del futuro. Quando gli esseri umani hanno raggiunto il livello mentale attuale hanno preso coscienza che l’orizzonte ultimo dell’esistenza è la morte. Le prime forme religiose sono collegate, infatti, a rituali di sepoltura collegati simbolicamente al concetto di rinascita spirituale. Molte tradizioni religiose sostengono la necessità di riconsiderare la vita alla luce della nostra transitorietà.

Sull’anima hanno molto riflettuto filosofi e teologi. Ma la novità che i missionari hanno portato alle popolazioni indigene – ricorda – non è il concetto di spirito, bensì di corpo, anzi di “corpo isolato”…

La distinzione netta tra anima e corpo ha paradossalmente portato la cultura occidentale a una sorta di svalutazione del corpo. In occidente molti concepiscono il proprio corpo come una macchina. Ho un problema estetico? Porto la macchina dal carrozziere (chirurgo estetico). Ho un problema al cuore? Presto saranno disponibili protesi meccaniche (cardiochirurgia). Forse in un futuro non troppo lontano si potranno cambiare periodicamente tutte le parti del corpo e vivere in eterno. Oppure si potrà effettuare un “download della coscienza”, spostando la mente su un computer. Questa concezione del corpo corrisponde a una de-sacralizzazione della natura. E’ una visione che tende a perdere di vista il rapporto di una parte con il tutto. Dobbiamo renderci conto che il metodo analitico, che conosce separando, pur essendo utile ha dei limiti. Il cervello umano non termina nella scatola cranica, continua fino al cuore, al sistema digestivo, alla cute. La dimensione mentale e psicologica non è quindi collegata soltanto con il cervello ma con tutto il corpo e probabilmente con dimensioni extracorporee.

Van Gogh, Dostoevskij, Giovanna d’Arco, San Paolo “che sulla via di Damasco vide improvvisamente una luce e sentì la voce di Gesù Cristo”. Li cita fra le persone geniali affette da epilessia temporale. Dunque, una spiccata religiosità è un po’ come una malattia?

Non penso che la religiosità sia una malattia, come riteneva invece Sigmund Freud. Credo che un’autentica religiosità o spiritualità corrisponda alla completa guarigione di un essere umano. Un individuo che si abbandona alla vita con fiducia è guarito, ha superato la sua malattia spirituale. Tuttavia, a mio parere, chi è ammalato è più vicino alla verità. Le malattie del corpo e della psiche portano una persona di fronte alle domande fondamentali. A questo punto uno può mettere la testa sotto la sabbia oppure iniziare un percorso difficile e doloroso ma indispensabile per capire e per guarire. Per tale ragione Dostoevskij riteneva che gli ammalati fossero persone con qualità superiori rispetto ai sani.

Recenti studi hanno dimostrato che fede e spiritualità possono influire positivamente sullo stato di salute di una persona, aumentando inoltre l’efficacia dei trattamenti medici in caso di malattie organiche (vedere l’inchiesta di Avvenire dell’8 agosto 2010). Cosa dicono le sue ricerche in proposito?

Un principio fondamentale della psicoterapia è l’integrazione. L’integrazione di componenti inconsce nella coscienza, l’integrazione di componenti oniriche nella veglia, l’integrazione delle diverse figure relazionali (genitori, amici, coniugi, figli) nella nostra personalità. Il principio dell’integrazione è anche alla base della dimensione spirituale. La religione e la spiritualità sono sentieri per ricollegare l’individuo con il tutto. La dimensione spirituale permette di aprire una persona all’incontro con l’altro, con la natura e con il Mistero. Non c’è da meravigliarsi quindi che una fede e una spiritualità autentiche siano fattori che facilitano il vivere bene e la guarigione.

Image credits: Shutterstock

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Marco Mozzoni
Direttore Responsabile

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