Paolo Pascolo è professore straordinario di bioingegneria industriale all’Università di Udine. Negli anni ha insegnato a vario titolo in diverse università: a Udine (associato di meccanica applicata), a Trieste, a Firenze (infortunistica stradale), a Pavia, al Politecnico di Milano e alla Normale di Pisa. Membro del Collegio Accademico e Direttore del Dipartimento di Bioingegneria del CISM, è il rappresentante italiano nell’European Enhanced Vehicle Safety Committee.
I suoi principali intressi di ricera vertono sulla biomeccanica per la fisiatria e la riabilitazione, sull’interazione uomo – macchina, sulla realizzazione di dispositivi e prototipi per l’attività di ricerca. Numerose le pubblicazioni di libri e articoli su riviste scientifiche. Nel 2008, con un articolo pubblicato su Rivista Medica (Pascolo P. et al., Neuroni Mirror nell’area F5 della corteccia cerebrale della scimmia: c’è stata una evidenza sperimentale? Rivista Medica, Vol. 14, suppl. 4, Dic 2008), è fra i primi in Italia a sollevare obiezioni in merito alla teoria dei neuroni specchio e alla loro stessa esistenza.
BrainFactor l’ha intervistato sul tema: Neuroni specchio, tutto da rivedere?
Professor Pascolo, in uno studio del 2008, anticipando in certo modo le critiche del gruppo di ricerca del prof. Caramazza, aveva espresso dubbi sull’esistenza dei neuroni specchio. Ci può spiegare da dove muove la sua critica radicale alle teorie del prof. Rizzolatti e dei suoi colleghi di Parma?
La prime domande erano state le seguenti: a) se i neuroni che fanno il mirror di un’azione (gesto finalizzato) sono gli stessi che eseguono l’azione cosa succede in caso di contemporaneità (competitiva)? Doppia circuiteria? Come mai allora lo stesso neurone (Rizzolatti e colleghi, 1996)? b) come nasce un mirror nell’animale, un cavallo ad esempio, quando esegue un gesto “equipollente”, tipo l’apertura della porta della scuderia con la bocca? Qui è venuta alla mente la strana vicenda di Clever Hans, il cavallo che faceva i conti… Se si esaminano i lavori del 1996 sulla scimmia ci si rende conto che tempi “neuronali” e tempi “gestuali” sono collocati sulla stessa base dei tempi. Leggendo i lavori mi è sembrato di notare la mancanza di un vero e proprio trigger. Inoltre il gesto dello sperimentatore non pare essere stato strumentato in senso prossimo distale, ossia non pare esservi stata una netta divisione delle fasi di esecuzione del gesto (espressioni del volto, intenzione, inizio movimento, contatto con il cibo, presa, …). Conseguentemente il dato neurale rilevato sulla scimmia ha una collocazione temporale “incerta”.
Cioè?
Per me in alcuni casi la scimmia era in ritardo, in altri in anticipo. Ossia la scimmia non copiava, ma, a modo suo, scimmiescamente, pensava: so quello che fai, se fossi al tuo posto farei così, so già quello che farai, ecc. Capita spesso di anticipare con il pensiero il “gesto” che si vorrebbe che l’osservato facesse: un ipotetico genitore che osserva un pargolo nell’atto di apprendere, spesso anticipa con lo sguardo o con il pensiero l’azione che desidera venga compiuta. E’ perciò opportuno rileggere i lavori dei parmensi, quelli dell’88, del ’92 e del ’96 non dando nulla per scontato…
Qualche giorno fa lei ha dichiarato alla stampa che “i colleghi dell’Università di Trento sono giunti a conclusioni simili, ma con un passetto in meno”. Che cosa intendeva?
In tutta la letteratura sull’argomento si è dato troppo per scontato che i neuroni specchio siano stati “visti” sulla scimmia. Gli esperimenti eseguiti sulle scimmie hanno “certificato” l’esistenza dei neuroni specchio e i vari autori si sono concentrati sugli esperimenti che hanno a che fare con l’uomo. Ossia si è dato per certo che quegli esperimenti per la loro stessa complessità fossero “consistenti”, cosicché presi per buoni si è passato ad altro. E’ anche colpa dell’Impact Factor e del Citation Index, ci si aggrappa ai lavori più recenti. Citare un lavoro del 1992 non è sempre “elegante”. Gli esperimenti sull’uomo sono per loro natura non invasivi e quindi “indiretti”: essi al più hanno carattere indiziario. Tantissimi autori (Castiello, per citarne uno) hanno messo in dubbio l’efficacia dell’fMRI per dimostrare l’esistenza / non esistenza dei neuroni specchio sull’uomo. Se si critica / accetta il paradigma Mirror Neurons con misure indirette si è sempre al punto di partenza: atto di fede sì / no. Per dire scimmia sì e uomo no si è addirittura ricorsi al “creazionismo scientifico”, come si discute anche su Le Scienze.
Perchè è uscito “allo scoperto” solo dopo le dichiarazioni del prof. Caramazza?
Avrei preferito trattare l’argomento inizialmente e direttamente con il gruppo di Parma, anche per valutare assieme le eventuali debolezze dei miei ragionamenti. In affetti avevo inviato loro alcune mail segnalando le mie perplessità, ma non avevano sortito effetto. Era poi mia intenzione porre la questione scientifica all’attenzione al Gruppo Nazionale di Bioingegneria (GNB) in occasione della Summer School 2009 di Bressanone. Intanto avevo proposto “in sordina” l’articolo a Rivista Medica, uscito nel 2008, per fissare data e paternità degli argomenti.
Perché secondo lei anche le procedure di misurazione eseguite sui primati non umani dal gruppo di Parma sarebbero “inadeguate”?
Perchè, come accennato poc’anzi, lo sperimentatore (e l’animale) non è stato strumentato a dovere con sensori adatti a percepire atti di moto, espressioni del viso, ecc.
Se le “manovre anticipatorie” – come le dice – non possono essere ascritte a un sistema “mirror”, che cosa può ragionevolemente spiegarle?
La manovra anticipatoria più semplice che mi viene in mente è la seguente: quando ho intenzione di afferrare un oggetto tendendo le mani in avanti eseguirò, anticipando, un arretramento del bacino. Compenserò gli effetti inerziali indotti dal gesto in avanti e preparerò il sistema corpo, in equilibrio, ad accogliere il carico. In pratica, esamino l’ipotetico carico che dovrò gestire e con “esperienza” attuerò le strategie necessarie (Pascolo et al., Chaos, J. of Biomechanics). Si può provare anche con l’Inno di Mameli: se si conoscono le parole si può cantare in coro, anticipare, ritardare, contrappuntare, ecc.; se non si conoscono le parole si farfuglia malamente… e in ritardo.
Nella sua critica alla teoria dei neuroni specchio fa riferimento in particolare all’incontro di pugilato Benvenuti – Griffith del 1967. Che cosa “ha visto” in quel match di così importante per le neuroscienze?
E’ un ragionamento che vale anche per Alì o Tyson o J. La Motta, per tutti insomma. Anticipazione uguale esperienza. Ore e ore di allenamento, sia nel caso di Benvenuti sia degli altri. La questione è la seguente: se uso una determinata circuiteria neuronale per esaminare un gesto e uso la stessa per eseguirla debbo sicuramente imputare alla mia fase di esecuzione il tempo necessario perché il neurone faccia la sua funzione “specchio”: copiatura del gesto dell’altro per comprenderlo. Quindi ritardi. Quanto? Non meno di 130-150ms. Interpretazione, trasmissione ai motoneuroni, reclutamento muscolare. Inizio contrazione. Invece prima dell’istante “zero” nei muscoli deputati al movimento del tronco di Benvenuti già si stavano formando ponti di actina e miosina, cioè la contrazione si stava già verificando. Prima di “zero” non vuol semplicemente dire prima dei 150 millisec. dell’atto di moto di Bolt o di chiunque di noi (Sparo-via), vuol dire 100-150 millisec prima dell’istante “zero”. Il ragionamento lo si può estendere ad uno scambio di cazzotti, all’esempio del 6×6 e così via.
In una recente intervista a BrainFactor però il prof. Vittorio Gallese – fisiologo e collega a Parma del prof. Rizzolatti – ha dichiarato che “le evidenze scientifiche indirette circa l’esistenza dei neuroni specchio nell’uomo sono attestate da un impressionante numero di lavori scientifici internazionali ottenuti con tecniche d’indagine le più diverse, quali PET, fMRI, TMS, EEG e MEG”…
Prendiamo la fMRI. Il soggetto è praticamente immobile, i dati della fMRI sono dati che si riferiscono all’effetto “termico” indotto da stimolazioni tendenzialmente visive ed è rilevabile a valle di un numero notevole di neuroni, sul versante venulare e con ritardi dell’ordine di 3 sec. Sappiamo quante cose accadono in un secondo? Se si è convinti dell’esistenza dei neuroni specchio nei primati le evidenze scientifiche indirette conducono al consolidamento delle proprie convinzioni. Essi stessi parlano di “misure indirette”, partendo dal presupposto che ci siano i neuroni specchio, “visti sulle scimmie”. A me fanno pensare piuttosto alla probabilità, alla statistica, alle coincidenze…
Ma i lavori sui primati si sono basati su misure fisiologiche dirette della scarica dei neuroni…
Io ritengo che sulle scimmie non si sia visto un granchè. In effetti i lavori sulle scimmie e le argomentazioni proposte da Rizzolatti e colleghi non mi hanno convinto per niente, anzi. Siccome ritengo i lavori sulle scimmie non convincenti, non lo possono essere neppure quelli “indiretti” – e derivati – che riguardano l’uomo.
Dunque, tutto quanto è stato detto e scritto sul sistema mirror, sarebbe secondo lei sostanzialmente da rivedere?
Direi di sì o per lo meno non con le argomentazioni che circolano. Secondo me sarebbe doverosa una rilettura in contraddittorio dei lavori del 1996 e del mio recente contributo. Andrebbe inoltre chiarito il protocollo sperimentale, ma soprattutto andrebbe esaminato in dettaglio anche il “capostipite” dei lavori, quello del 1992 di Di Pellegrino e colleghi.
Che ricadute “applicative” potrebbe avere secondo lei l’eventualità di non riuscire a dimostrare l’esistenza dei neuroni specchio nell’uomo?
La questione è delicatissima. Se non si riuscisse a dimostrare l’esistenza del sistema mirror nell’uomo, avremmo conseguentemente anche da rivedere alcuni protocolli sperimentali per la riabilitazione, nonchè l’interpretazione dell’autismo. Si comincia a dire che i soggetti autistici hanno disfunzioni nel sistema di neuroni specchio e da questo fatto discenderebbe la loro difficoltà di comprensione. Visto il dibattito in corso, forse uno stand-by in tal senso non guasterebbe…
Intervista realizzata da Marco Mozzoni il 4 Agosto 2009 © BrainFactor – Cervello e Neuroscienze
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