Ma esistono i neuroni specchio? Una ricerca appena apparsa li mette radicalmente in discussione e accende una controversia scientifica destinata a non esaurirsi in breve tempo, sebbene l’onore della prova resti ancora a carico dei critici, vista la mole di studi finora pubblicati “a favore”. I mirror neurons sono infatti tra le recenti “scoperte” più citate e affascinanti delle neuroscienze. Scoperte tra virgolette, almeno in queste ore concitate di polemica tra studiosi italiani, da quando un’équipe dell’università di Trento ha posto in dubbio la loro presenza nell’uomo sulla base di uno studio appena divulgato e già contestatissimo.
I neuroni specchio sono stati individuati nelle scimmie agli inizi degli anni Novanta da un gruppo dell’università di Parma guidato da Giacomo Rizzolatti (per questo “in odore” di premio Nobel). Una porzione di cellule cerebrali visuomotorie del macaco si attiva sia quando l’animale compie una data azione sia quando la osserva, in quest’ultimo caso anche se ne coglie solo un frammento. Ciò sarebbe alla base dei nostri più profondi ed evolutivamente antichi meccanismi di comprensione. Infatti, anche l’uomo, come le scimmie, capirebbe gesti e comportamenti altrui “compiendoli” virtualmente attraverso le stesse regioni che permettono di effettuare tali gesti e tali comportamenti: la comprensione è quindi una vera simulazione. Ecco allora che i neuroni specchio sono diventati la chiave esplicativa dell’empatia e della vita sociale; possiamo metterci nei panni altrui non grazie a una complessa “teoria della mente”, bensì con una risposta in gran parte automatica, fortemente radicata nel nostro corpo.
Perfino la filosofia ne è stata conquistata (si vedano gli scritti di Alvin Goldman e, in Italia, di Laura Boella), addirittura traendone conseguenze “politiche”, come ha fatto recentemente Marco Iacoboni (già collaboratore di Rizzolatti): siamo naturalmente simpatetici, i sentimenti anti-sociali nascono con i grandi sistemi culturali.
Ma a disturbare quasi vent’anni di successi si è messo ora Alfonso Caramazza, autorevole neuropsicologo cognitivo di Harvard, da pochi anni tornato in Italia per dirigere il centro di scienze cognitive di Rovereto. Una sua ricerca, in uscita sull’importante rivista Pnas, segnala che in base a un elaborato disegno sperimentale non vi sono prove che nell’uomo agiscano mirror neurons. In estrema sintesi, essi devono essere attivati sia dall’esecuzione sia dal riconoscimento di un compito. Una tecnica di risonanza magnetica funzionale permette di misurare l’adattamento di certe regioni cerebrali (ovvero, le cellule rispondono in modo sempre meno netto quando uno stimolo è ripetuto). Se quindi si compie molte uno stesso semplice movimento e poi lo si osserva, si dovrebbe avere un adattamento nei presunti neuroni specchio, cosa che non si è avuta, mentre si registra adattamento dall’osservazione all’azione.
La sollevazione da Parma è stata immediata. «Risultati scientifici irrilevanti, in palese contraddizione con altri studi. Capisco che se i neuroni specchio non esistessero tutto sarebbe più semplice per i cognitivisti classici di stretta osservanza», la secca replica affidata alla Gazzetta di Parma da Vittorio Gallese, braccio destro di Rizzolatti.
«Il punto – ribatte Caramazza, «stupito e rammaricato» – è che si dà per scontato, come non è, che i dati già dicano che nel nostro cervello vi sono neuroni specchio, la cui attivazione sarebbe all’origine della nostra cognizione, senza dover ipotizzare meccanismi superiori».
«Un’evidenza negativa non prova l’assenza», puntualizza l’epistemologo dell’Università Statale di Milano Corrado Sinigaglia, sicuro che il clamore non sposterà di una virgola la solidità delle evidenze («tantissime») a favore del meccanismo dei mirror neurons.
Nei prossimi giorni BrainFactor pubblicherà in esclusiva le interviste ai due principali protagonisti della controversia sui neuroni specchio, Vittorio Gallese e Alfonso Caramazza.
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