“Questo libro è (salvo errori od omissioni) il primo tentativo in Italia di fondare su basi giuridiche una ipotesi di neurodiritto”. Ambizioso, ma con grande senso critico, l’approccio del Prof. Eugenio Picozza e colleghi a un tema complesso e a volte spinoso che ha già “fatto pratica” nelle aule dei Tribunali, anche nel nostro Paese (Picozza E., Capraro L., Cuzzocrea V., Terracina D., “Neurodiritto. Una introduzione”, Giappichelli Editore, 2011).
Mettendo in chiaro sin dalle prime battute che il libro vuole “aprire riflessioni, non conferire certezze e meno che mai fondare una ipotesi di teoria generale postmoderna del diritto”, gli Autori si mostrano concordi nel ritenere che “le neuroscienze rappresentino un vero e proprio spartiacque epistemologico che probabilmente è destinato a mutare profondamente gli stessi concetti giuridici fondamentali”. Se da un lato le neuroscienze “hanno messo in subbuglio non solo gli ambienti religiosi, politici e sociali (…) hanno anche determinato, positivamente, un fecondo e nuovo approccio a discipline che lentamente si stavano ripiegando su se stesse” ammette Picozza. Dopo una rassegna di come gli avanzamenti delle neuroscienze hanno influenzato recentemente le scienze sociali, l’Autore sottolinea che “il neurodiritto è ancora un work in progress (…): le monografie reperibili sono scarse e rispetto ai progressi compiuti da altre scienze è una disciplina ancora agli inizi”.
Pur con tali caute premesse, il neurodiritto viene considerato una vera e propria disciplina e viene così definito: “un campo delle neuroscienze che studia essenzialmente come il cervello forma e utilizza i concetti giuridici di base, quali diritto, dovere, giustizia, responsabilità” e come tale “non differisce dalle neuroscienze dell’etica che studiano la localizzazione, la formazione e lo sviluppo del senso morale e dei relativi concetti”. Picozza è inoltre convinto che, “anche se l’impatto più immediato è quello del diritto pubblico penale e processuale penale (…) tutto il diritto ne è coinvolto e potrebbe uscirne trasformato”. Allo stato attuale occorre “essere molto prudenti, perché (…) i discorsi appaiono tutti de jure condendo”, ma il Professore romano è fondamentalmente convinto che “il neurodiritto, in un futuro non lontano, potrebbe essere in grado di porsi come una nuova teoria generale del diritto, questa volta su basi scientifiche e non teologiche, etiche o comunque frutto di mere speculazioni razionali”.
Interessante, fra gli altri contributi al volume, firmati da Laura Capraro e David Terracina, il saggio di Vera Cuzzocrea, che riflette in particolare sul concetto di imputabilità, “uno degli snodi problematici più dibattuti nella storia della criminologia e della psichiatria forense”. Citando il Professor Ugo Fornari, l’Autore ricorda che “mentre in passato la capacità di intendere e di volere doveva derivare da una condizione del soggetto clinicamente accertata e da un quadro nosografico ben definito, attualmente si afferma una concezione di malattia psichica non necessariamente fondata su basi biologiche e somatiche: il concetto di infermità recepito dal codice penale è ritenuto oggi più ampio di quello di malattia, non rimandando semplicemente a una condizione di rilevante alterazione anatomica o funzionale dell’organismo (…) ma a qualunque disturbo che incidendo sulla psiche comprometta irrimediabilmente la capacità di intendere e di volere del soggetto”.
E allora, se oggi le ricerche delle neuroscienze “evidenziano le basi neurobiologiche di molti comportamenti, aprendo un nuovo modo di interpretare le patologie, diagnosticarle e di intervenire sulle stesse”, dall’altra parte “ci aiutano anche a capire quanto sia complicato stabilire, in sede penale, il grado di autodeterminazione di questi soggetti”: le attuali riflessioni e tecniche di indagine del funzionamento cerebrale “rimandano ad un’ulteriore complessificazione del concetto di malattia mentale, ponendo il diritto di fronte a degli importanti interrogativi”. In sostanza, conclude Cuzzocrea, “siamo consapevoli del fatto che la complessità che caratterizza l’agire umano e quindi anche la personalità deviante, le scelte intraprese a livello delinquenziale e gli esiti che ne conseguono, anche in termini di risposta penale, debbano partire dal presupposto che la ‘spinta biologica’ non sia sufficiente a spiegare questa complessità”. Lasciamo al lettore il piacere di approfondire direttamente le problematiche relative al diritto penale e al diritto processuale penale, ben analizzate dagli ottimi saggi di David Terracina e di Laura Capraro.
Segnaliamo infine – per quanti siano interessati all’argomento, ma per diversa formazione digiuni di neuroanatomia e neuropsicologia – l’utile sinottico sulla “traslazione dei danni cerebrali in fattori di rischio per il comportamento antisociale” (ripreso da un precedente lavoro di Raine), con chiara indicazione della regioni del cervello più importanti in questo specifico contesto, associate alle loro rispettive funzioni: la corteccia frontale (in particolare le aree dorsolaterale, ventrale, orbitomediale, prefrontale) per la pianificazione e l’organizzazione delle azioni, i processi decisionali, la regolazione delle emozioni, i giudizi morali, la riflessione di alto livello; le strutture limbiche (cingolo anteriore e posteriore, amigdala, ippocampo) per l’inibizione delle azioni, le decisioni morali, il condizionamento alla paura, i giudizi relativi alle emozioni sociali, la fiducia nella giustizia; la corteccia temporale (giro temporale superiore) per la percezione sociale e il giudizio morale; la corteccia parietale (giro angolare) per il senso di responsabilità per le azioni. Danni e disfunzioni riconducibili a queste aree possono far apparire la persona “antisociale”, caratterizzata cioè da scarso controllo degli impulsi, instabilità relazionale e occupazionale, difficoltà a percepire le reali intenzioni e i comportamenti degli altri, scarso controllo della rabbia, limitata considerazione delle emozioni altrui, disinteresse per le regole sociali, mancanza di autovalutazione, difficoltà a gestire situazioni conflittuali, problemi affettivi, vittimizzazione, comportamento irresponsabile in genere.
Marco Mozzoni
Il libro:
- Picozza E., Capraro L., Cuzzocrea V., Terracina D., “Neurodiritto. Una introduzione”, Giappichelli Editore, 2011 (link)
Per approfondire:
- Mozzoni M., “Neuroscienze in Tribunale: la Sentenza di Como”, BRAINFACTOR, 8/11/2011 (link)
- Fornari U., Pennati A., “Il metodo scientifico in psichiatra e psicologia forensi (parte 1)”, BRAINFACTOR, 19/4/2011 (link)
- Fornari U., Pennati A., “Il metodo scientifico in psichiatra e psicologia forensi (parte 2)”, BRAINFACTOR, 20/4/2011 (link)
- Fornari U., Pennati A., “Gli indicatori genetici nella valutazione della pericolosità sociale psichiatrica”, BRAINFACTOR, 22/3/2011 (link)
- Red., “Neuroimaging in Tribunale, Stanford ragiona su limiti”, BRAINFACTOR, 12/5/2010 (link)
- Mozzoni M., “La neuropsicologia forense in Italia: BrainFactor intervista Andrea Stracciari”, BRAINFACTOR, 4/3/2010 (link)
- Mozzoni M., “Sentenza Trieste, BrainFactor intervista Pietro Pietrini”, BRAINFACTOR, 17/11/2009 (link)
- Peron S., “Neuroetica e diritto: commento alla sentenza di Trieste”, BRAINFACTOR, 4/11/2009 (link)
- Mozzoni M., “Neuroscienze forensi: la sentenza di Trieste; BrainFactor intervista Giuseppe Sartori”, BRAINFACTOR, 2/11/2009 (link)
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