Plagio, dati inventati, immagini modificate al bisogno… Pesante l’accusa che Stephen G. Lisberger muove oggi alla comunità neuroscientifica dalle pagine di Cerebrum, rivista di Dana Foundation, con un articolo dal titolo esplosivo: “Fraud in Neuroscience”. Perché tanta impostura? L’eccessiva competizione per apparire sulle riviste più quotate, per assicurarsi “grant” e incarichi prestigiosi. Fin che dura.
Ma gli scienziati non sono tenuti a “seguire un codice d’onore e di condotta, a riportare i risultati delle loro ricerche onestamente e accuratamente”? In teoria sì. In pratica il fenomeno di “frode scientifica” sembra essersi decuplicato negli ultimi dieci anni, secondo Lisberger, convinto che, pur non essendo certo facile, una soluzione al problema va trovata al più presto: “è necessario intensificare la vigilanza, anzi riformare l’intero sistema”.
“Gli scienziati sono imbroglioni? Se sì, sono solo trasgressori occasionali (Lisberger usa il termine “offenders”, che potrebbe stare anche per “delinquenti” – NdR) o il fenomeno riscontrato è proprio la punta di un iceberg? Quanto di questa cattiva condotta viene messa in atto inconsciamente?”
Va giù davvero pesante Lisberger, lui stesso chief editor di una rivista ambita (Neuroscience, della International Brain Research Organization, IBRO), capo del dipartimento di neurobiologia della Duke, responsabile di un laboratorio di neuroscienze dei sistemi, forse troppe volte nella sua carriera “testimone di diversi casi innegabili di frode e di moltissimi casi che sanno di truffa ma potrebbero essere ascrivibili ad errori commessi nella conduzione della ricerca”.
Quello che sta accadendo nel contesto della ricerca neuroscientifica potrebbe riguardare in realtà tutto il mondo scientifico nell’insieme: “E’ implicito che io mi fido dei miei colleghi, dei miei studenti, dei ricercatori con cui lavoro e credo che anche loro come me siano autenticamente interessati alla verità: ma come posso saperlo per certo?” si chiede Lisberger.
“Alcuni scienziati creano appositamente dati a sostegno delle proprie ipotesi, altri li modificano per farli diventare statisticamente significativi o più convincenti, altri invece si appropriano di idee altrui a congressi o addirittura da lavori che sono chiamati a valutare ai fini di una pubblicazione: certo nella scienza le stesse idee possono nascere e svilupparsi in parallelo, nelle menti di scienziati appartenenti a diversi gruppi di ricerca, ma io so di senior scientist che hanno letteralmente rubato le idee ai giovani ricercatori, utilizzandole a proprio esclusivo vantaggio”, racconta il professore americano.
Le frodi sono facili da nascondere e difficili da scoprire e gli scienziati si sentirebbero addirittura in certo senso “incentivati a comportarsi in questo modo, visto che sono sempre più valutati non per quello che pubblicano, ma per dove pubblicano; per non parlare del criterio di ranking proporzionale al numero delle citazioni di propri lavori”. Alcune organizzazioni, poi, “decidono le stesse promozioni e finanziamenti di ricerca sulla base dell’impact factor delle riviste su cui uno studio è stato pubblicato e la situazione diventa ancora più pericolosa quando i giovani iniziano a credere che possono aspettarsi un lavoro o una posizione postdoc solo dopo aver pubblicato almeno un paio di articoli sulle riviste a più alta quotazione”…
Quindi, che fare? “Non penso – prosegue Lisberger – che le riviste e i loro editori stiano sbagliando qualcosa: stanno semplicemente facendo il loro lavoro… Siamo noi scienziati a sbagliare. Dobbiamo cambiare il modo in cui valutiamo i nostri colleghi! Dobbiamo tornare a leggere gli studi dalla prima all’ultima riga e insegnare a fare la stessa cosa ai nostri studenti… Dobbiamo rigettare l’idea che bastano un colpo d’occhio e una lettura sommaria degli abstract per restare aggiornati sulla letteratura di settore. Dobbiamo valutare gli scienziati e i loro lavori per quanto stanno davvero facendo progredire il proprio campo di ricerca, non per le riviste sulle quali pubblicano gli studi”.
Reference:
Stephen G. Lisberger, Sound the Alarm: Fraud in Neuroscience, Cerebrum, May 02, 2013
Caro collega, a mio avviso di recente gli editor sono i primi a valutare i lavori in questo modo sommario, leggendo a mala pena l’abstract o, peggio, semplicemente badando a quanto “hot” è l’argomento. A mio avviso noi scienziati non possiamo guardare solamente a quanta buona ricerca fanno i nostri colleghi quando i sistemi per ottenere grant e borse sono loro stessi basati su quanto bene si pubblica. Non siamo certamente solo noi scienziati i responsabili della brutta piega che la valutazione scientifica sta prendendo di recente, dove riesce a fare buona ricerca chi ha stabilità nel proprio laboratorio, molti pochi, e non chi deve azzuffarsi ogni anno per ottenere un grant, la maggior parte.