L’attività spontanea del cervello non è rumore…

L'attività spontanea del cervello non è rumore..L’attività spontanea del cervello, sinora considerata “rumore”, è in grado di cambiare dopo l’apprendimento di un nuovo compito. Lo hanno dimostrato i ricercatori dell’Università di Chieti in uno studio di neuroimaging funzionale realizzato in collaborazione con la Washington University School of Medicine. I risultati sono pubblicati su Pnas (Lewis CM et al., Learning sculpts the spontaneous activity of the resting human brain, Pnas, Oct 2009).

“Studi recenti hanno dimostrato che anche in assenza di attività comportamentali e durante il sonno o sotto anestesia l’attività spontanea del cervello non è casuale (random), ma organizzata in pattern di attività correlata che avviene in regioni anatomicamente e funzionalmente connesse”, ha spiegato in una nota Maurizio Corbetta, docente di neurologia alla Washington University e autore principale dello studio.

“Anche se la spiegazione dell’attività spontanea del cervello resta un mistero, nel nostro nuovo studio abbiamo dimostrato per la prima volta che l’apprendimento è in grado di provocare sensibili cambiamenti di questi pattern di attività, importanti anche a livello comportamentale”; ha aggiunto Corbetta.

Lo studio, alla cui realizzazione hanno contribuito anche Antonello Baldassarre e altri ricercatori dell’Istituto di Tecnologie Avanzate Biomediche (ITAB) dell’Università G. D’Annunzio di Chieti, è stato condotto con risonanza magnetica su 14 volontari.

Il “compito” dei soggetti era di guardare per una o due ore al giorno per cinque o sette giorni la settimana un display posizionato nella risonanza magnetica sul quale compariva una “T” invertita in una zona precisa dello schermo. Durante questa condizione erano particolarmente attive due regioni del cervello: parte della corteccia visiva corrispondente alla porzione di campo visivo in cui compariva lo stimolo e le aree della regione dorsale del cervello deputate al direzionamento dell’attenzione verso il punto di interesse sul monitor.

Dopo il training visivo i soggetti sono stati sottoposti nuovamente a risonanza in condizione di riposo. I ricercatori hanno potuto così osservare che, nella condizione di riposo precedente il training, l’attività spontanea nelle due regioni del cervello attivate dal compito visivo non era connessa o era soltanto debolmente correlata: le due regioni infatti mostravano solo occasionalmente attivazioni contemporanee.

Dopo l’apprendimento invece ciascuna regione aveva maggiore probabilità di essere attiva quando l’altra non lo era. In particolare, dopo l’apprendimento, i soggetti con migliori prestazioni al compito visivo esibivano un grado più elevato di “anti-correlazione” fra le due regioni.

Corbetta ipotizza che queste modificazioni dell’attività cerebrale spontanea indotte dall’apprendimento possono rappresentare una “traccia di memoria” che rende più facile l’utilizzo futuro delle regioni del cervello sollecitate da una particolare abilità o compito.

“Dopo l’apprendimento il cervello può identificare i bersagli a ‘colpo d’occhio’ in una modalità che richiede minore attenzione diretta e minori interazioni fra le regioni coinvolte nell’esecuzione del compito: in altri termini, i cambiamenti dell’attività cerebrale spontanea possono rappresentare una traccia dell’esperienza precedente che influiscono sul modo in cui gli stessi circuiti vengono reclutati nel momento dell’esecuzione di un compito analogo”, spiega Corbetta.

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