Un gruppo di ricerca italiano coordinato da Margherita Di Paola (nella foto) del Laboratorio di Neurologia Clinica e Comportamentale dell’IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma ha messo a punto una nuova tecnica multimodale di risonanza magnetica in grado di analizzare i cambiamenti strutturali che hanno luogo nel corpo calloso di pazienti con declino cognitivo lieve (MCI) e Alzheimer in fase iniziale. Lo studio è pubblicato su Neurology.
In particolare, gli MCI amnesici (declino cognitivo presente solo nel dominio della memoria) presenterebbero una significativa atrofia macrostrutturale esclusivamente nella sezione anteriore del calloso (il fascio di fibre di sostanza bianca che mette in connessione i due emisferi del cervello), mentre nella fase iniziale dell’Alzheimer (stadio generalmente successivo alla condizione prodromica definita MCI) l’atrofia si estenderebbe alle subsezioni posteriori, comportando inoltre modifiche complessive a livello microstrutturale.
Il campione di pazienti allo studio, reclutato in tre cliniche italiane, era composto da 38 soggetti con Alzheimer lieve, 38 con MCI amnesico, 40 controlli.
Tenendo presente che già precedenti lavori avevano messo in luce la particolare suscettibilità all’atrofia del corpo calloso nel corso dell’Alzheimer, la novità di questo studio – precisano i ricercatori nel paper – è stata la possibilità, attraverso l’uso simultaneo di diversi parametri di imaging a tensore di diffusione (DTI) e di morfometria a voxel (VBM), di osservare le differenze intrinseche dei cambiamenti della sostanza bianca callosale nei pazienti, così da poter formulare ipotesi sui diversi meccanismi alla base del processo degenerativo.
Ebbene, due sono i meccanismi individuati dal gruppo di ricerca che ha visto fra i collaboratori anche l’Università abruzzese di L’Aquila Coppito, l’Università di Roma Tor Vergata e gli Ospedali romani San Camillo e San Giovanni Addolorata: la degenerazione walleriana nelle subregioni posteriori del calloso (suggerita da una aumentata diffusività assiale in assenza di modificazioni frazionali anisotrope) e un processo di retrogenesi nelle subregioni anteriori (suggerite da una aumentata diffusività radiale in assenza di modificazioni nella diffusività assiale).
“Sulla base di questi risultati, l’auspicio è che la tecnica messa a punto dal nostro gruppo di ricerca possa presto entrare a far parte della routine clinica, ai fini della diagnosi precoce dell’Alzheimer, anche se, ovviamente, il cambiamento strutturale del calloso misurabile con risonanza magnetica non può essere l’unico marcatore da tenere in considerazione”, ha spiegato Margherita Di Paola a BrainFactor.
Supportata nei suoi lavori di ricerca dal Ministero della Salute, la dottoressa Di Paola ritiene che il nostro Paese sta facendo a sufficienza nella prevenzione dei disturbi cognitivi dell’invecchiamento, “anche se, parlando di ricerca, l’impegno di energie per lo studio e la comprensione dei diversi aspetti dell’invecchiamento cerebrale non è mai sufficiente”.
Infine, come neuropsicologa, si dice fiduciosa che “anche di fronte all’avanzare di queste tecniche più ‘oggettive’ di misurazione, la valutazione neuropsicologica resterà sempre una componente importante all’interno del processo diagnostico, che deve tenere in considerazione i molteplici risvolti della fisiologia e della patologia umana”.
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