Il virtuale che “crea” la realtà

Nel suo film “La rosa purpurea del Cairo” Woody Allen racconta la storia, ambientata negli anni trenta del secolo scorso, di una giovane donna sposata ad un uomo collerico che per evadere dalla realtà si rifugia nel cinema della sua città.

Sul grande schermo vede un vecchio film “La rosa purpurea del Cairo” e rimane talmente affascinata da rivederlo più volte fino al punto che il suo personaggio preferito, l’esploratore, accortosi della presenza costante della donna, esce materialmente dallo schermo e le propone di fuggire con lui…

Lei accetta, i due fuggono insieme, si innamorano e si divertono. Intanto però i protagonisti del film si trovano costretti ad aspettare il ritorno del personaggio per poter proseguire con la trama della pellicola…

Una intuizione originale, che ha anticipato i tempi (il film era dell’85), con cui Allen invitava a riflettere sul labile confine tra sogno e realtà, tra virtuale e reale; una provocazione tanto più significativa visto che arrivava da un regista la cui stessa vita sembra un film.

La Realtà Virtuale guadagna terreno ogni giorno ma non sempre siamo pronti per affrontarla. Quella tra “reale” e “virtuale” è una contrapposizione che risulta sempre più artificiosa.

L’essere umano ha sempre sentito il bisogno di rappresentare ciò che viveva e ha sempre usato la rappresentazione – a partire dai primi graffiti nelle rocce fino alle moderne opere digitali – per raccontare e spiegare il mondo. E quando si racconta, fantasia e realtà, non di rado, si mescolano.

Molti pensatori hanno messo in discussione la possibilità di una verità “oggettiva” unica, sostenendo invece che la realtà dipende dalle nostre percezioni e da come reagiamo alle stesse.

Personaggi del calibro di Heidegger, Wittgenstein, del biologo Marturana, del linguista Rafael Echeverria, dello psicologo Paul Watzlavick concordavano su una idea di fondo secondo la quale, in estrema sintesi, la realtà non è data tanto dalle circostanze esterne ma dipende soprattutto da come noi rispondiamo alle stesse, con parole e azioni.

La realtà che percepiamo è “filtrata”, “costruita” dalle nostre informazioni, dalle nostre esperienze, dai nostri valori, dalla nostra storia. Siamo noi, almeno in parte, i costruttori della nostra realtà. Percepiamo però solo una parte della realtà e non è detto che ciò che vediamo, o sentiamo, sia più reale di quello che non vediamo.

La filosofia indiana c’era arrivata molto prima. Leggete la vecchia novella dell’elefante.

C’erano una volta sei “saggi”, che però erano ciechi. In città fu condotto un elefante ed essi vollero conoscerlo, perché non ne avevano mai visto uno. Essendo ciechi decisero di conoscerlo toccandolo.

Il primo toccò l’orecchio grande e piatto e disse: “è come un ventaglio”. Un altro toccò le zampe e disse: “è come un albero”. Il terzo, toccando la coda, disse: “sbagliate entrambi: è come una fune”. Il quarto toccò le zanne e disse: “macchè, è come una lancia”. Il quinto, toccando il fianco dell’animale disse: “ma no! È una muraglia”. L’ultimo, afferrata la proboscide, disse: “avete tutti torto, è come un serpente”.

I sei saggi ciechi si accapigliarono per un’ora gridando: “Ventaglio! Albero! Fune! Lancia! Muraglia! Serpente!” E non riuscirono a capire come è fatto un elefante!

Giuseppe de Paoli
Direttore Responsabile
Reputation Today

Photo by Nam Anh on Unsplash

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