Le staminali vengono utilizzate per trattare alcune forme di leucemia e per la rigenerazione di alcuni tessuti. La parola “cura” è però ancora prematura nelle malattie neurodegenerative. Qual è lo stato dell’arte della ricerca sulle staminali del cervello? Quanto c’è di “reale” e quanto di solamente “possibile” in questo affascinante e controverso capitolo delle neuroscienze? Ne parliamo con il professor Luca Bonfanti dell’Università di Torino, autore del libro “Le cellule invisibili, il mistero delle staminali del cervello” (Bollati Boringhieri 2009).
Luca Bonfanti è professore di Anatomia Veterinaria all’Università di Torino. Dal 1992 studia la plasticità del cervello e le sue cellule staminali. Membro dell’Istituto Nazionale di Neuroscienze (INN) e del Neuroscience Institute of Turin (NIT), lavora nell’Istituto scientifico della Fondazione Cavalieri Ottolenghi di Torino. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, inserito nel comitato redazionale di riviste Frontiers in Neurogenesis e Open Neuroscience Journal, ha recentemente curato la stesura di un libro internazionale (“Postnatal and Adult Neurogenesis”, Research Signpost, 2009) ed è autore del saggio scientifico – divulgativo “Le cellule invisibili, il mistero delle staminali del cervello” (Bollati Boringhieri, 2009). Insieme ad altri accademici torinesi è stato co-fondatore del progetto Neurotransplant, una rete di laboratori per lo studio della neurogenesi.
Professor Bonfanti, perchè è così affascinato dall’invisibile?
E’ abbastanza ovvio… Senza invisibilità non c’è mistero, e senza mistero non c’è divertimento. Chi fa il mio lavoro è sempre alla ricerca di qualcosa che è nascosto, e pertanto va svelato. La scienza ci consente di percepire l’invisibile, di ‘vedere quello che non si vede’. Ma l’invisibile che mi affascina non è solo l’infinitamente piccolo (le cellule, gli atomi…) o l’infinitamente grande (il cosmo…), cioè tutto quello che gli strumenti scientifici ci permettono di vedere al di là dei nostri sensi naturali, ma ciò che ancora non conosciamo e che cerchiamo di afferrare con l’aiuto del metodo scientifico e della nostra immaginazione. Insomma, l’invisibile che mi affascina corrisponde a quella conoscenza che non abbiamo ancora raggiunto e che fluttua nel mare della nostra ignoranza, finchè un ricercatore non la porterà alla luce. Un po’ come il feto nel liquido amniotico, in attesa di esistere…
Nel caso delle staminali, in particolare?
Nel caso delle cellule staminali, l’invisibilità è una precisa caratteristica, che cerco di spiegare nel mio libro e che le rende estremamente sfuggenti anche ai più accaniti ricercatori. Se poi parliamo del cervello, il fatto che le staminali fossero da sempre considerate assenti non le rendeva certo visibili, e come spiego nella parte centrale del libro facciamo ancora molta fatica a vederle nonostante gli avanzamenti raggiunti. Poi, sempre nel campo delle neuroscienze, l’invisibilità delle staminali può essere evocata anche a causa dell’attuale scarsità di ricadute terapeutiche (in contrasto con una eccessiva, talvolta fuorviante, visibilità mediatica).
La plasticità del cervello è stata una sorta di scoperta galileiana per i ricercatori. “Eppur si rigenera”, potremmo dire…
Non possiamo dirlo, al massimo possiamo sperarlo, se siamo ottimisti. Possiamo attenerci all’espressione originariamente attribuita a Galileo: “eppur si muove”. Perché in effetti abbiamo dimostrato in modo ineccepibile che qualcosa fisicamente si muove nel sistema nervoso: si muovono le sinapsi, creando, eliminando e rimaneggiando continuamente i contatti tra i neuroni; e sappiamo anche che alcuni neuroni vengono generati ex novo nel cervello adulto, per tutta la vita. Il libro parla appunto di questo, che dal punto di vista biologico è un enorme passo avanti, una sorta di rivoluzione nel modo di guardare al cervello, ma sotto il profilo delle applicazioni in medicina, al momento non garantisce un sostanziale avanzamento. Certo rappresenta una stimolante prospettiva, ma sarà il futuro a rivelarci (o a smentire) il suo vero valore.
Dove vede la sfida più ardua?
Il problema sta nell’estrema complessità del cervello e nel fatto che a differenza di altri organi, come ad esempio la pelle (in cui esiste un gran numero di nicchie staminali sempre pronte a intervenire in caso di lesione), in tutto il sistema nervoso centrale le nicchie sono solo due, e della dimensione di pochi millimetri. Se uniamo complessità del tessuto e scarsità di nicchie staminali ci accorgiamo che il cervello rimane in gran parte un organo incapace di rigenerare. Ma questo non viene mai detto e io ho scritto il libro proprio per spiegarlo. Dunque, nelle due piccole aree cerebrali in cui i neuroni vengono generati per tutta la vita esiste effettivamente una sorta di rigenerazione. Le cellule staminali neurali generano precursori indifferenziati che poi si spostano in altre regioni cerebrali, andando a sostituire neuroni morti (nel bulbo olfattivo, sede della percezione omonima) oppure ad aggiungersi a quelli già esistenti (nell’ippocampo, sede della memoria). Questa ‘rigenerazione’ può ricordare il ricambio cellulare che esiste su scala più estesa in altri organi, come ad esempio l’epidermide, ma nel sistema nervoso non serve a riparare i danni in seguito a lesione, essendo piuttosto legata a garantire plasticità in fenomeni come l’apprendimento. E’ uno strumento che il cervello ha per adattare la propria struttura geneticamente determinata alle sfide dell’ambiente esterno. Ancestralmente, l’olfatto è legato alla sopravvivenza dell’animale, perché gli permette di trovare il cibo, di percepire i predatori, di riconoscere il partner e quindi di riprodursi; in una sola parola: di sopravvivere. L’importanza della memoria per la sopravvivenza è ovvia. Purtroppo, come dicevo sopra, queste proprietà non sono estese a tutto il cervello, per cui la stragrande maggioranza dei neuroni rimane insostituibile.
Per proseguire con la metafora, a che punto è oggi la “inquisizione” sulle staminali?
Purtroppo in Italia rischia di rimanere a livello del medioevo. Mentre la ricerca mondiale avanza a ritmi esponenziali nel campo staminali, in Italia continuiamo ad avere due grandi problemi: gli investimenti per la ricerca di base sono sempre più bassi e si continua discutere su problemi sterili come i temi etici relativi all’utilizzo di staminali embrionali. Basti ricordare che persino George Bush, pur avendo negato i finanziamenti federali alla ricerca sulle staminali embrionali aveva lasciato completa libertà (in modo palesemente ipocrita ma efficace) a quella condotta con fondi privati, che in America rappresentano una fetta importante. E il suo successore, Obama, ha subito sbloccato la situazione. In breve: gli americani, che avranno i loro difetti ma sanno molto bene come condurre la ricerca scientifica di buona qualità, hanno da sempre capito l’importanza di una ricerca biomedica libera, che nel filone staminali ha una potenzialità enorme. Chiarisco che queste mie considerazioni non vanno intese come un allineamento acritico a tendenze scientifiche di tipo ‘globale’. Voglio solo dire che nei paesi più avanzati, inclusi gli altri paesi europei, i politici ascoltano anche gli scienziati. E tutto ciò è ancora più anacronistico se pensiamo che i gruppi attivi in Italia sulle staminali sono moltissimi, alcuni noti per la loro eccellenza a livello mondiale.
Qual è lo stato dell’arte della ricerca?
Per quel che riguarda lo stato dell’arte della ricerca posso sintetizzare che siamo solo all’inizio. Paradossalmente, i rapidi progressi ottenuti negli ultimi anni, in cui veramente molto si è capito in tema di staminali, rappresentano solo la base di partenza per un percorso lungo e irto di difficoltà, che richiederà ancora anni, forse decenni, prima di arrivare ad una comprensione soddisfacente della regolazione di queste cellule e delle loro interazioni con i tessuti biologici. Un percorso in cui gli studi su staminali adulte ed embrionali non si contendono un primato, bensì sono elementi essenziali e complementari per giungere a soluzioni che migliorino l’efficacia della nostra medicina.
Le staminali vengono già utilizzate per trattare alcune forme di leucemia e per la rigenerazione di tessuti come pelle e cornea…
Esatto. I tessuti come il sangue, in cui le cellule sono libere in una fase fluida, o come pelle e cornea, che sono superficiali e strutturalmente ‘semplici’, si prestano meglio ad applicazioni terapeutiche. Inoltre, tutti sanno che gli elementi cellulari di questi tessuti sono continuamente rinnovati grazie a numerose nicchie staminali sparse al loro interno. Il lavoro di eccellenti ricercatori, anche italiani (come il gruppo di Michele De Luca, a Modena) ha settato le condizioni per ottenere terapie sicure ed efficaci per questi organi; sono esempi in cui la cosiddetta ‘medicina rigenerativa’ ha già trovato una realizzazione. Ma bisogna spiegare chiaramente che le cose non stanno così per quel che riguarda altri organi. Le interazioni tra cellule staminali e tessuti biologici sono estremamente eterogenee, una specie di variazione sul tema in cui le cellule staminali che derivano dall’embrione e dal feto rimangono poi ‘intrappolate’ all’interno dei tessuti adulti, dove continuano a lavorare, ma in modo molto diverso a seconda delle sedi.
Qualche esempio?
Due esempi per chiarire il concetto: è noto che il fegato ha enormi capacità rigenerative (anche asportandone metà, in breve viene spontaneamente ricomposto l’intero organo), eppure non sono mai state caratterizzate chiaramente cellule e nicchie staminali epatiche, e gli epatociti non vanno normalmente incontro a un elevato rinnovamento. All’estremo opposto troviamo proprio il cervello: è un organo incapace di rigenerare (tranne le piccole eccezioni che ho descritto sopra) eppure contiene cellule staminali particolarmente attive, e la nicchia staminale neurale è oggi, paradossalmente, quella meglio conosciuta. Si può quindi capire come per i ricercatori sia difficile muoversi in tale complessità, e come la comprensione del controllo delle cellule staminali nei loro contesti naturali (o patologici) ancora sfugga.
La parola “cura” sembra ancora prematura in alcuni ambiti, quali le malattie neurodegenerative…
Nel caso delle malattie neurodegenerative bisogna ricordare che esse colpiscono soprattutto quelle parti del cervello che non rigenerano (come la corteccia cerebrale, lo striato, ecc.), per cui la riserva ‘neurogenica’ naturale serve a poco. Inoltre, a differenza di tessuti ‘semplici’ come il sangue e la pelle, il sistema nervoso è estremamente complesso e strutturalmente eterogeneo, il che ne complica le ipotetiche capacità riparative. Basti pensare all’ambiente ‘maturo’ che rende il tessuto cerebrale adulto molto diverso da quello embrionale in cui si è assemblato, o a tutta una serie di molecole inibitorie della crescita assonale; tutti fattori che nell’insieme rendono ardue le speranze di differenziamento e integrazione di cellule staminali iniettate nel cervello allo scopo di ‘ricostruire’ i circuiti persi.
Perchè è ancora così controverso l’argomento “staminali del cervello”?
Il problema è legato alla complessità e alle caratteristiche del tessuto nervoso. A volte ho l’impressione che molte persone, inclusi alcuni ricercatori, non abbiano la percezione di questa complessità. O, meglio, non tengano conto del fatto che anche migliorando le conoscenze sulla biologia cellulare delle staminali neurali poi bisogna fare i conti con il contesto tissutale ostile che si incontra nel sistema nervoso. Se vogliamo, anche questa è una forma di invisibilità o, in questo caso, di ‘cecità’, ed è il motivo per cui ho scelto di spendere quasi metà del libro sulla complessità strutturale del cervello, proprio per preparare questo terreno. Ho anche sottolineato che molto di quello che oggi sappiamo sulle staminali cerebrali viene da studi in coltura, dove esse si comportano in modo diverso rispetto a quando le osserviamo all’interno dell’organo. Un altro elemento che va ricordato è il fatto che le malattie neurodegenerative sono comparse come un problema preoccupante in seguito all’allungamento delle aspettative di vita dell’uomo. I nostri antenati vivevano ben poco oltre l’età riproduttiva e non c’era il tempo per il manifestarsi dell’Alzheimer. Si pensa infatti che l’incapacità del cervello umano di riparare i danni cerebrali con rigenerazione, sia stata evolutivamente selezionata come ‘inutile’ alla sopravvivenza della specie; e questo spiegherebbe perché in seguito a lesione o ictus si forma una cicatrice gliale che segrega l’area colpita anziché tentare di ripararla. In altri termini: il tessuto nervoso ‘collabora’ meno di altri agli stimoli della medicina rigenerativa. Se uniamo le considerazioni sulla complessità del cervello e quelle evolutive, capiamo perché l’uso terapeutico delle staminali cerebrali sia un argomento così controverso, anche sul piano scientifico. In ogni caso, a generare controversie e fraintendimenti ci hanno pensato i media, spesso distogliendo l’attenzione dai veri problemi della ricerca, troppo complessi per un pubblico generale.
Cosa ne pensa dell’attribuzione a queste cellule di poteri di guarigione “miracolosi”, come troppo spesso sembra emergere dalle pagine dei giornali?
Qui bisogna distinguere due ambiti: quello del significato biologico e quello dell’immaginario collettivo. Il primo riguarda le proprietà reali di queste cellule, valutate in modo rigorosamente scientifico. Le staminali sono realmente affascinanti e possono davvero aprire grandi prospettive in ambito biomedico e biotecnologico. Quello che le staminali fanno negli organismi, animali e piante, è un vero ‘miracolo’ della natura. E questo giustifica l’enfasi che le circonda come oggetto della ricerca. C’è tutto un futuro di conoscenza che ci attende in questo campo, perché non abbiamo ancora capito completamente quello che succede nella formazione di tessuti e organi, nel loro mantenimento e nel modo in cui si ammalano. Ma è proprio in questa mancanza di conoscenza dei sistemi biologici complessi che si annidano le difficoltà a realizzare i ‘miracoli’ delle cure. Sicuramente è la strada giusta, ma lunga e irta di difficoltà. Forse sui giornali si celebrano troppi successi parziali e si tende a fare un salto verso applicazioni miracolose per le quali in molti casi non esiste ancora un substrato solido. A ciò si aggiunge un nuovo fenomeno che sta emergendo in modo preoccupante: mi riferisco alle cliniche private che promettono guarigioni rapide con l’utilizzo di staminali. Ne sono sorte in molti paesi europei e soprattutto asiatici, ma si tratta di vere e proprie truffe, dove viene sfruttata la disperazione dei pazienti, a cui vengono chieste cifre pari a decine di migliaia di euro per interventi che non garantiscono nulla in termini di guarigione e che, in alcuni casi documentati, hanno già portato alla morte dei pazienti. Quindi i cosiddetti ‘poteri miracolosi’ delle cellule staminali rappresentano soltanto una visione semplicistica del problema (che come tutti i concetti semplificati si vende molto bene). Potenzialità enormi possono quindi esistere, ma nella maggior parte dei casi non sono ancora alla nostra portata. Diciamo che rimangono in qualche modo ‘invisibili’, in attesa che qualcuno capisca come renderle fruibili.
Lei ha recentemente dichiarato che “esiste un grosso problema di incomprensione e fraintendimento sul tema delle staminali tra la scienza e l’opinione pubblica”. Quali sono, a suo avviso, le cause?
Quella frase l’ho citata da uno dei massimi esperti di neurogenesi adulta, il tedesco Gerd Kempermann. Le cause del fraintendimento sono molte. In sintesi, direi che coinvolgono un certo modo di fare giornalismo e divulgazione scientifica (in generale: i media) e anche, in parte, alcuni ricercatori. Mi spiego subito con un esempio: dopo la pubblicazione del libro sono stato intervistato da alcuni giornalisti scientifici, e sono stato ottimamente impressionato dalla loro professionalità. Una volta pubblicata l’intervista, il mio pensiero vi era riportato chiaramente e integralmente. Peccato che i titoli degli articoli erano stati cambiati (non da quei giornalisti, come ben sappiamo) e dicevano l’esatto contrario, portando tutta l’enfasi su future terapie date già per certe. In altri casi meno fortunati tutto l’articolo è permeato da ipotesi e speranze che non rispecchiano la situazione attuale della ricerca. Insomma, quello che si perde nella divulgazione scientifica è la complessità del problema. In questo vi è talvolta una certa responsabilità degli scienziati, che si lasciano andare a dichiarazioni un po’ enfatiche per valorizzare le proprie ricerche. Questo è ovviamente un diritto, tanto più che siamo sempre tutti alla ricerca di finanziamenti, ma ci sono vari modi per farlo. Si può parlare di un’importante scoperta (un nuovo gene, la funzione di una proteina) senza per forza associare il cliché che “questo aprirà la strada a nuove terapie”, “questo rivoluzionerà la medicina”, ecc. Non dimentichiamo, poi, che la maggior parte degli studi in cui si comprendono dei meccanismi, sono condotti sui topi, ed è ormai noto che importanti differenze esistono tra la biologia di questi animali e la nostra. Ora, nel caso delle cellule staminali, questi problemi sono ancora più acuti, perché il contrasto tra l’enfasi degli annunci e l’inconsistenza della sostanza in termini di cure è ancora più marcato.
Qualche suggerimento per superare questo scoglio?
Il mio messaggio è chiaro: proprio perché il tema è così complesso e siamo solo all’inizio, allora abbiamo bisogno di incentivare la ricerca di base che ci porti a capire come le cellule staminali funzionano nei vari contesti e a prospettare (per il futuro) strategie terapeutiche efficaci. Penso che possiamo far capire questo alla gente, evitando di creare aspettative eccessive che, se non soddisfatte, avrebbero lo spiacevole effetto di attenuare la fiducia nella ricerca. Bisogna spiegare che non tutti i ricercatori lavorano per dare soluzioni immediate, ma che molti lavorano per creare le basi per la medicina del futuro (il che non vuol necessariamente dire: domani). In questo senso, anche l’opera dei ciarlatani della medicina miracolistica ha un enorme effetto boomerang nei confronti della ricerca e della medicina seria.
Nel suo libro parla di “spy story”, arrivando a paragonare i ricercatori a dei detectives; c’è forse qualcuno che depista le indagini?
Sul fatto che molte figure, a livelli diversi, creino confusione nel campo delle staminali (così come in altri ambiti della scienza) mi sono già espresso sopra. Tuttavia, nel libro non parlo mai di politica o di religione, attenendomi strettamente ai temi scientifici. Il mio obiettivo è illustrare un tema biologico (quello delle staminali in generale, e quello delle staminali cerebrali di cui mi occupo nello specifico), ma anche l’ambiente culturale in cui vivono i ricercatori impegnati in questo tipo di ricerche, e quindi il clima di mistero e di indagine volta a svelarlo che caratterizza un po’ tutta la ricerca scientifica. Mi piace paragonare i ricercatori a detective perché questo essi sono. E in particolare nel caso delle staminali: non essendo possibile cogliere le cellule invisibili nell’atto di riprodursi, le si deve individuare con accorgimenti subdoli e sofisticati, avendo l’impressione di non riuscire mai veramente a ‘incastrarle’. Vorrei trasmettere questa sorta di tensione che caratterizza tutti i ricercatori impegnati nella caccia a entità ignote e difficili da definire. Questo mi diverte, sia quando lo pratico nel mio lavoro quotidiano, e sia nel raccontarlo, magari sfruttando gli stereotipi di quella letteratura ‘pulp’ di cui sono appassionato. Ma una conclusione a cui sono giunto scrivendo il libro e lavorando nella ricerca è anche il fatto che spesso chi depista le indagini è proprio il nostro cervello. E’ il cervello del detective che non è abbastanza aperto per esplorare una soluzione nuova, in aperta controtendenza con l’establishment scientifico consolidato. Ho raccontato la storia della neurogenesi adulta anche perché è un bell’esempio di come alcuni scienziati illuminati e testardi sono alla fine riusciti a cambiare la nostra concezione strutturale di cervello, aprendo scenari impensabili. E altri lo stanno già facendo in altri ambiti delle neuroscienze. Questa è una caratteristica nobile dei ricercatori: il fatto di essere oggettivamente neutrali e aperti a nuove soluzioni, e quindi slegati da ogni visione dogmatica.
Lei è anche appassionato di fantascienza. Possiamo considerare le cellule staminali come i Visitors del pianeta Neuroscienze? Arrivano dicendo di portare pace e una cura a tutte le malattie, ma…
Sicuramente finora hanno portato molta confusione. Ma, a parte le battute e le metafore, come accennavo alcune applicazioni efficaci con cellule staminali già esistono, a testimoniare che le ricadute benefiche di questo tipo di ricerca possono arrivare, e in alcuni casi, in tempi ragionevoli. Inoltre, il fatto che migliaia di scienziati seri che operano nel mondo credano nelle potenzialità di questo tipo di ricerca dovrebbe convincere chiunque. Così come l’estrema cautela manifestata da quegli stessi scienziati, unitamente alla richiesta di tempo e di libertà di ricerca come elementi essenziali per portare avanti la conoscenza, dovrebbero convincere l’opinione pubblica del fatto che i miracoli non sono dietro l’angolo, ma che con un po’ di pazienza e molto impegno (e soldi…) si può realmente progredire. In questo senso, esiste un’altra contraddizione che spiega il mio interesse per l’invisibilità. E’ quella tra l’estrema visibilità di tutto ciò che è fumo negli occhi del profano (le cellule staminali miracolose, le cliniche truffa, gli annunci enfatici di grandi scoperte, i titoli di giornale sulla cura dell’Alzheimer, i dibattiti sterili su problemi etici inesistenti) e il lavoro silenzioso e inarrestabile dei ricercatori che cercano in ogni modo di fotografare e addomesticare le cellule staminali. Naturalmente io tifo per i secondi, anche perché sono uno di loro. Vorrei sottolineare come la confusione creata intorno all’universo staminali derivi da una cattiva gestione mediatica dell’argomento. E nel contesto generale, sottolineo anche che esistono ottimi giornalisti scientifici impegnati in una eccellente e socialmente utilissima divulgazione scientifica. Infine vorrei chiarire che una tale confusione non esiste al livello dell’indagine scientifica. Gli scienziati seri non litigano sulle cellule staminali. Discutono. Questo sì. Discutono aspramente in un continuo confronto di ipotesi, teorie e dati acquisiti in laboratorio. E tutto questo con un solo scopo: capire. Capire come funzionano queste cellule e come usarle in terapia. E per arrivare a questo sono necessari tutti gli approcci: chi le studia in vitro e chi in vivo; chi nel topo, chi nel moscerino della frutta, e chi nell’uomo; staminali embrionali (per capire i meccanismi di specificazione e differenziamento) e staminali adulte (per capire l’interazione con i tessuti). Tutti uniti in uno sforzo collettivo, con un obiettivo comune: migliorare le nostre conoscenze e, se possibile, la qualità della vita. Ecco perché i Visitors, secondo me, non sono le cellule staminali, ma tutti coloro che, a diverso titolo ma senza averne titolo (e talvolta ben mimetizzati), vogliono invadere il bellissimo pianeta della ricerca, deturpandone l’equilibrio naturale.
Per concludere, quanto c’è dunque di “reale” e quanto di solamente “possibile”, a oggi, in questo affascinante e delicato capitolo delle neuroscienze?
Direi che di reale, nel senso di acquisito, vi è il fatto che il cervello ha elevate capacità plastiche, tra cui anche quella di produrre nuovi neuroni in alcune ristrette aree cerebrali. Il resto del sistema nervoso centrale rimane un tessuto incapace di rigenerare. Tuttavia, recentemente sono state identificate altre cellule con proprietà non esattamente staminali, ma di progenitori indifferenziati, che possono proliferare anche al di fuori delle due aree neurogeniche. In alcune specie di mammiferi, come il coniglio, queste cellule sparse danno vita anche a neuroni. Altri progenitori, studiati nel topo, possono generare alcune cellule gliali, come gli astrociti e gli oligodendrociti. La ricerca sta cercando di capire meglio le caratteristiche di queste cellule e di modularne l’attività in modo da ottenere una neurogenesi ‘endogena’ possibilmente sparsa in tutto il tessuto cerebrale. Anche la via della somministrazione di staminali tramite il circolo ematico sta fornendo interessanti prospettive, in quanto in modelli di patologie demielinizzanti si osserva un’azione immunomodulatrice ed un effetto bystander a livello cerebrale. Ma tutti questi nuovi approcci sono in fase di studio, ed è pertanto prematuro parlare di certezze. Tra le prospettive più realistiche c’è forse la possibilità di sostituire cellule gliali (ad es. oligodendrociti in patologie con perdita della mielina) più che neuroni, e di agire sull’ambiente cerebrale. Ma ora mi fermo, se no viene meno quella cautela che ho predicato nelle risposte precedenti.
Nel suo lavoro di ricerca e di divulgazione riesce a essere allo stesso tempo appassionato e prudente…
Per chi lavora nella ricerca di base, è però importante che la cautela e la prudenza degli addetti ai lavori non venga scambiata per scetticismo… Vi assicuro che chi lavora con le staminali nelle neuroscienze sa bene che solo una piccola parte delle ricerche porterà ad approcci terapeutici nell’immediato futuro ma crede fermamente che tutte le altre porranno le basi perché qualcuno lo possa fare negli anni a venire. Un po’ come quelli che nel passato si sono rotti le ossa nel tentativo di progettare marchingegni capaci di volare, sognando voli intercontinentali che non hanno mai avuto l’opportunità di vedere, ma che oggi consentono a noi di raggiungere tutte le regioni del pianeta in poche ore. Ecco perché spero che chi leggerà il libro, oltre a rendersi conto di quanto l’autore sia coinvolto e realmente affascinato dall’argomento, capisca anche come abbia cercato di trattarlo in modo distaccato, con atteggiamento critico e autocritico. Questo è il vero ruolo dello scienziato: cercare di essere il più possibile obiettivo e aperto, pur sapendo di provare le emozioni che portano ogni essere umano a enfatizzare l’oggetto dei suoi sogni.
Intervista realizzata da Alessandra Gilardini il 19/04/2010 (C) BRAINFACTOR Cervello e Neuroscienze – Tutti i diritti riservati
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