Gli elevati livelli di energia consumata dal cervello servirebbero a mantenere lo stato cosciente. E’ quanto sostiene uno studio della Yale University che verrà pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (Schulman RG et al., Baseline brain energy supports the state of consciousness, Pnas 2009, in press), come annuncia oggi una nota stampa YU.
La coscienza – spiegano i ricercatori di Yale – può essere definita come l’abilità di rispondere adeguatamente agli stimoli che provengono dal mondo esterno. La maggior parte degli studi sulla coscienza ha utilizzato le tecniche di neuroimaging, alla ricerca delle aree di attivazione cerebrale in soggetti impegnati in compiti specifici, quali ad esempio la memorizzazione o il problem solving.
“Ebbene, questo approccio risulta problematico in due sensi: primo, le indagini con risonanza magnetica funzionale (fMRI) hanno mostrato l’attivazione di numerose regioni del cervello durante i compiti di memoria, non solo di una o due aree, risultando di scarso aiuto nello studio dello stato cosciente; secondo, la quantità di energia richiesta da tali compiti sarebbe comunque irrilevante, dato che equivale soltanto all’uno per cento dell’energia complessivamente utilizzata dal cervello”, ha affermato Robert G. Shulman, docente emerito di biofisica molecolare e biochimica alla Yale University e autore principale dello studio.
“Gli studi di neuroimmagine – prosegue Shulman – hanno guardato sinora soltanto alla punta dell’iceberg, mentre noi abbiamo spostato l’attenzione sul resto dell’iceberg, cercando di capire per cosa il cervello consuma il restante 99% di energia”.
L’ipotesi che formulano alla Yale è che l’energia di base del cervello serva a mantenere lo stato cosciente, portando a conferma di tale ipotesi il fatto che soggetti anestetizzati mostrerebbero una riduzione dell’energia consumata pari al 50 per cento: nei ratti profondamente anestetizzati il segnale fMRI in risposta a una stimolazione degli arti si fermerebbe infatti alla corteccia sensoriale, diversamente da quanto accade in ratti solo leggermente anestetizzati, che mostrano attivazioni sia in tale regione che in numerose altre aree.
“Una persona cosciente, dunque, richiede un alto livello di energia cerebrale”, riassume Shulman in una battuta, sottolinenado poi come queste nuove acquisizioni potrebbero far progredire l’attuale conoscenza del rapporto fra cervello e coscienza: “potremmo pensare alla coscienza non come a una proprietà del cervello, ma della persona”. Infatti, si legge in conclusione dello studio, gentilmente anticipatoci dall’ufficio stampa dell’Università di Yale, “l’elevata attività cerebrale non è la coscienza, ma una proprietà del cervello che costituisce la condizione necessaria, non sufficiente, per lo stato cosciente”.
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