Essere famosi senza ricordarlo: il caso HM

Essere famosi senza ricordarlo: il caso HM.Diventare una star delle neuroscienze, e proprio delle neuroscienze della memoria, ma non riuscire a tenerlo a mente. È questo il bizzarro (e drammatico) destino dell’americano Henri G. Molaison, meglio noto come “H. M.”, nato nel 1926 e morto nel 2008 all’età di 82 anni. Fino alla fine della sua vita, H. M. ha rappresentato un’opportunità, inconsapevole e allo stesso tempo unica, per lo studio della memoria e, in particolare, della sua localizzazione nel cervello.

In seguito a una caduta dalla bicicletta durante l’infanzia, nella quale aveva riportato una commozione cerebrale, Molaison sviluppò una forma di epilessia che negli anni era andata aggravandosi diventando invalidante e resistente ad ogni trattamento farmacologico. All’età di 27 anni, il giovane aveva davanti a sé una sola possibilità per stare meglio: sottoporsi a un intervento chirurgico invasivo ma, sulla carta, probabilmente risolutivo.

L’operazione fu eseguita nel 1953 dal neurochirurgo William Scoville che, fino ad allora, aveva trattato pazienti con patologie simili asportando porzioni del lobo frontale. In questo caso, il medico decise di sperimentare una variante: al paziente vennero rimossi 8 centimetri di entrambi i lobi temporali mediali, compresi i due terzi anteriori dell’ippocampo, le cortecce entorinale e peririnale e l’amigdala (Figg. 1 e 2).

Figura 1 - Il cervello di HM alla risonanza magnetica.

Figura 1 – Il cervello di HM (dopo intervento) alla risonanza magnetica.

Figura 2 - Illustrazione del cervello di HM.

Figura 2 – Illustrazione raffigurante il cervello di HM (dopo intervento) rispetto a un cervello normale.

Dopo l’intervento, le crisi epilettiche si ridussero notevolmente, ma il paziente risultò in seguito affetto dalla più grave forma di amnesia mai descritta. Il danno prodotto dall’operazione risultò subito evidente: il paziente, per esempio, non riconosceva il personale medico tra una visita e l’altra o non ricordava cosa avesse mangiato pochi minuti dopo aver finito il pasto.

In sostanza, gli eventi che aveva appena vissuto svanivano dalla sua memoria nell’istante stesso in cui avvenivano. H. M., come lo chiamavano nei resoconti scientifici, ricordava abbastanza chiaramente la sua infanzia e la sua adolescenza, dunque tutto ciò che aveva appreso molto prima dell’operazione (la cosiddetta memoria dichiarativa riferita al passato), mentre, mano mano che ci si avvicinava all’età in cui aveva subito l’operazione, i ricordi progressivamente diventavano meno chiari.

Ciò che, invece, egli non era più in grado di fare era consolidare le nuove informazioni acquisite in veri ricordi a lungo termine. H. M. non aveva, tuttavia, perso la capacità di apprendere nuovi compiti (la memoria procedurale), capacità che, anzi, migliorava con l’esercizio e la continua ripetizione, anche se poi egli era totalmente incapace di ricordare quando avesse appreso tali compiti. Molaison si ritrovò, dunque, a vivere nel passato, non essendo più in grado di formare nuove memorie (si parla in questo caso di amnesia anterograda).

Dal 1953 al 2008 H. M. venne seguito costantemente dalla psicologa Brenda Milner che, in quasi sessant’anni di studi, arrivò a conoscere i meccanismi cerebrali della memoria come mai prima di allora era stato possibile fare.

Ella capì che la capacità di immagazzinare nuovi ricordi è legata a una funzione cerebrale distinta, con sede nella parte mediale dei lobi temporali, separata da altre abilità percettive, motorie o cognitive, mentre in passato si riteneva che la memoria fosse localizzata nell’intero cervello; che i lobi temporali mediali non sono indispensabili per la formazione della memoria immediata, quella cioè che si ritiene per un breve periodo; che il lobo temporale mediale e l’ippocampo non sono la sede ultima di immagazzinamento della memoria a lungo termine, questo perché H.M., come detto, ricordava eventi che si erano svolti nella sua infanzia.

Oggi si propende per una localizzazione nella corteccia cerebrale delle informazioni apprese in precedenza, nelle aree che avevano inizialmente elaborato l’informazione stessa. Una perdita nelle strutture del lobo temporale mediale, e in particolare dell’ippocampo, distruggerebbe piuttosto la capacità di convertire nuova memoria a breve termine in nuova memoria a lungo termine.

Infine, Milner appurò che almeno in un tipo di memoria, quella procedurale, la conversione di nuovi ricordi a breve termine in ricordi a lungo termine non è inficiata da una lesione temporo-mediale. H.M., ad esempio, diventò molto abile nel tracciare il contorno di una stella seguendo il movimento della propria mano riflessa in uno specchio. Più ripeteva l’esercizio, più diventava abile nell’eseguirlo; ma ogni volta che ripeteva l’azione era come se fosse la prima volta. Questa osservazione è fondamentale per asserire che la memoria non è unitaria.

Il caso di H. M. rappresentò un fenomeno talmente eccezionale che, nel 2000, il regista americano Christopher Nolan si ispirò alla vicenda per scrivere la sceneggiatura del film Memento, premiato alla Mostra del Cinema di Venezia, che narra proprio le vicende di un uomo colpito da amnesia anterograda.

Nel 2008, alla morte di Henri Molaison, il suo cervello fu affidato a Jacopo Annese, un ricercatore italiano del Brain Observatory dell’Università di San Diego, che lo ha sezionato e analizzato, confermando tutte le brillanti e innovative intuizioni di Milner e del suo gruppo. Davvero quello di H.M. è stato il cervello più studiato dell’ultimo secolo. Purtroppo, lui non ha potuto rallegrarsene, a dimostrazione di quanto la memoria sia importante per la nostra vita.

Silvia Inglese

Articoli di BrainFactor che hanno trattato in questi anni il tema della mmoria…

Il presente articolo è inserito nel contesto della maratona divulgativa di BrainFactor e Società Italiana di Neurologia (SIN) “L’Agenda del cervello: un argomento al giorno” in occasione della Settimana del Cervello promossa in tutto il mondo da Dana Foundation dal 14 al 20 Marzo 2011.

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