Come l’educazione artistica migliora attenzione e funzioni cognitive

Come l'educazione artistica migliora attenzione e funzioni cognitive.Se ci fosse un modo garantito per migliorare il tuo cervello, lo proveresti? Di fronte all’abbondanza di prodotti, programmi e “pillole” che promettono di offrire un vero e proprio “potenziamento cognitivo”, molte persone si rivolgono a questi ritrovati… La ricerca recente offre invece possibilità supportate dall’evidenza scientifica: il training in qualsiasi disciplina artistica – come musica, danza o teatro – rafforza il sistema attenzionale del cervello, che a sua volta può migliorare le stesse abilità cognitive generali.

Inoltre, è probabile che questo rafforzamento possa spiegare gli effetti dell’educazione artistica sul cervello e sulle performance cognitive riportati in diversi studi scientifici, quali quelli presentati nel congresso sulla “neuroeducation” del maggio 2009, tenutosi alla Johns Hopkins University (sponsorizzato da Dana Foundation).

Sappiamo che il cervello ha un sistema di circuiti neuronali dedicati all’attenzione. E’ noto che la stimolazione di questi network attentivi migliora i punteggi generali che “misurano” l’intelligenza. E possiamo stare tranquilli che la focalizzazione della nostra attenzione sull’apprendimento e sull’esecuzione di una attività artistica – se la pratichiamo frequentemente e con impegno – attiva questi stessi network dell’attenzione. Per questo ci aspettiamo che l’educazione artistica possa essere in grado di migliorare le nostre funzioni cognitive generali.

Alcuni possono reputare debole questo argomento, ma esso si fonda solidamente sulla scienza. Il perno dell’equazione è il sistema attentivo. L’attenzione ha un ruolo cruciale nell’apprendimento e nella memoria e la sua importanza nella performance cognitiva è indiscussa. Se veramente vogliamo imparare qualcosa, dobbiamo porvi attenzione! Tutti lo sappiamo in maniera intuitiva e una grossa mole di solidi dati scientifici sostengono questa assunzione.

L’idea che l’educazione artistica migliori le abilità cognitive in realtà non è così ardita, nel contesto di ciò che chiamiamo “plasticità attività dipendente”, un punto fermo basilare della funzione cerebrale. Ciò significa che il cervello cambia in risposta a cosa uno fa. In altri termini, il comportamento plasma i network del cervello: ciò che una persona fa quotidianamente si riflette nelle connessioni circuitali del suo cervello e nell’efficienza dei suo network cerebrali.

La maggior parte di noi, quando incontra una forma d’arte “a sua misura”, capace di accenderne le passioni e coinvolgerla pienamente, dovrebbe notare dei miglioramenti in altre aree cognitive nelle quali l’attenzione è determinante, quali l’apprendimento e la memoria, così come un miglioramento a livello cognitivo generale.

Allora, se la nostra ipotesi è vera, perché gli scienziati non sono stati in grado di individuare una relazione causa effetto fra educazione artistica e cognizione, per esempio “Una X quantità di formazione nell’arte Y porta a un incremento dello Z % nei punteggi di QI”? Una tale relazione è difficile da confermare scientificamente, a causa della numerosità delle variabili in gioco e i ricercatori hanno appena iniziato a interessarsi a questa relazione con metodi sistematici e rigorosi.

I primi test dell’idea che l’arte può potenziare il cervello si sono concentrati sul cosiddetto “effetto Mozart”. Una lettera pubblicata nel 1993 su Nature ha dichiarato che studenti di college esposti a musica classica avevano migliorato le capacità di ragionamento spaziale (2), molto importanti per “avere successo” in matematica e scienze. Questa osservazione ha innescato un’onda esagerata di pubblicità, che prosegue ancora ai giorni nostri. Nonostante gli sforzi, comunque, i ricercatori non sono stati più in grado di replicare il fenomeno. Nondimeno, questi studi hanno considerato soltanto brevi periodi di esposizione alla musica, più che una esplicita formazione o pratica musicale.

I tentativi più recenti di collegare la formazione artistica a miglioramenti generali delle abilità cognitive si sono basati su un approccio differente. I ricercatori si sono concentrati su periodi più lunghi di partecipazione attiva e di pratica nella formazione artistica, piuttosto che sulla semplice esposizione a stimoli musicali. Per esempio, nel 2004 E. Glenn Schellemberg della Università di Toronto di Mississauga ha pubblicato i risultati di uno studio controllato randomizzato, dimostrando che i punteggi QI di 72 bambini impegnati in un programma di formazione musicale miglioravano significativamente, rispetto a 36 bambini non partecipanti a programmi di educazione artistica o impegnati in attività di teatro; i punteggi QI di bambini impegnati in attività teatrali non miglioravano, ma miglioravano di più rispetto ad altri gruppi sulla base di abilità sociali selezionate (3).

In uno studio pubblicato sul Journal of Neuroscience del marzo 2009, i ricercatori Ellen Winner del Boston College, Gottfried Schlaug della Harvard University e i loro colleghi della McGill University hanno utilizzato scan di neuroimaging per esaminare i cambiamenti a livello cerebrale in bambini impegnati in un programma di educazione musicale della durata di quattro anni (4). Nella prima fase di test, dopo 15 mesi, i ricercatori hanno rilevato cambiamenti strutturali nei circuiti cerebrali alla base dell’elaborazione musicale nei bambini che hanno partecipato al training, mentre nessun cambiamento analogo è stato osservato nel gruppo di controllo. I ricercatori hanno anche riscontrato miglioramenti nelle abilità cognitive motorie e uditive rilevanti per la musica, un fenomeno chiamato “transfer vicino”. In questo caso, i miglioramenti non si sono “trasferiti” alle abilità cognitive meno legate alla musica, fenomeno chiamato “transfer lontano”. Non sappiamo perché il transfer lontano per il QI, ad esempio, è stato confermato nello studio di Schellenberg e non in questo.

Presi nell’insieme, a oggi i risultati ci dicono che il training musicale può certamente modificare i circuiti cerebrali e, almeno in alcune circostanze, può migliorare la cognizione generale. Ma lasciano ancora senza risposta la domanda: in quali circostanze la formazione mirata a una determinata area cognitiva può trasferire i miglioramenti ad altre abilità cognitive? Nella nostra prospettiva, la chiave del transfer è la “diligenza”: fare pratica per lunghi periodi di tempo, “assorbiti” da ciò che stiamo facendo, può causare cambiamenti non solo nello specifico network cerebrale legato a quella abilità. Anche la concentrazione può rendere più forti e più efficienti i network dell’attenzione; e questi, a loro volta, possono incidere positivamente sulle abilità cognitive complessive.

Fare pratica con una abilità, sia in ambito artistico sia in altri contesti, produce un ricco repertorio di informazioni collegate a questa abilità. Ricercatori che utilizzano il neuroimaging nello studio delle diverse attività umane, hanno identificato reti di strutture neurali ampiamente distribuite che agiscono insieme per eseguire un determinato compito, che può coinvolgere i processi sensoriali, motori, attentivi, emozionali e del linguaggio. Le attività artistiche non fanno eccezione: reti neurali specifiche sono alla base di specifiche forme d’arte. Nel praticare una determinata attività, il suo network sottostante diventa sempre più efficiente e le connessioni fra le aree del cervello deputate alla gestione dei differenti aspetti di quella attività vanno incontro a un processo di progressiva integrazione. Questo processo è analogo a quanto accade in una orchesta sinfonica. La musica risultante dall’integrazione delle diverse sezioni di orchestrali avrà un suono molto più fluido alla centesima prova, rispetto alla prima.

Stimolare i network dell’attenzione. Una grande messe di evidenza scientifica dimostra che l’attivazione ripetuta dei network dell’attenzione ne aumenta l’efficacia. Anche gli studi di neuroimaging hanno dimostrato che alla base dei diversi aspetti dell’attenzione vi sarebbero le seguenti reti neurali specializzate: il network dell’allerta, che consente al cervello di ottenere e mantenere uno stato di allerta; il network dell’orientamento, che mantiene il cervello sintonizzato sugli eventi ambientali esterni; il network dell’attenzione esecutiva, che ci aiuta a controllare le nostre emozioni e decidere fra pensieri confliggenti, allo scopo di mirare a un determinato obiettivo per lunghi periodi di tempo.

In particolare, mi sono occupato del network dell’attenzione esecutiva. Le capacita di attenzione esecutiva, specialmente l’abilità di controllare le emozioni e di “mettere a fuoco” i pensieri (a volte chiamato controllo cognitivo), sono aspetti critici del successo scolastico e sociale nel periodo giovanile. L’empatia nei confronti degli altri, la capacità di controllare gli impulsi motivati da ricompensa e di controllare la propensione a mentire è stata messa scientificamente in relazione agli aspetti dell’attenzione esecutiva (5). I ricercatori hanno anche dimostrato che i valori di efficienza del network sono collegati alla performance scolastica (6).

Data l’importanza dell’executive attention network, i miei colleghi ed io ci siamo chiesti cosa potesse incrementarne l’efficienza. Per scoprirlo, abbiamo adattato una serie di esercizi originariamente messi a punto per preparare le scimmie ai viaggi spaziali, per investigare gli effetti degli esercizi di stimolazione attenzionale su bambini di 4-6 anni. Abbiamo assegnato con procedura random alcuni bambini alla condizione di controllo (che prevedeva di guardare e rispondere a video interattivi) oppure al training con esercizi su un computer dotato di joystick, messi a punto per stimolare i network dell’attenzione attraverso motivazione e ricompensa. Dopo che i bambini assegnati agli esercizi a computer avevano partecipato a 5 giorni di training della durata di circa 30 minuti al giorno, abbiamo posizionato elettrodi non invasivi sul loro scalpo per osservarne l’attività cerebrale; abbiamo trovato prova di una accresciuta efficienza nell’executive attention network. La performance del network del gruppo sperimentale, a differenza del gruppo di controllo, somigliava alla performance negli adulti. Soprattutto, questo miglioramento è risultato correlato a punteggi più alti nei test di QI.

Questi dati suggeriscono che incrementando l’efficienza dell’executive attention network, aumentano anche le capacità cognitive generali, come da QI (7). In seguito, M. Rosario Rueda e i colleghi dell’Università di Granada in Spagna hanno replicato questo studio, non ancora pubblicato, su bambini spagnoli. Rueda ha scoperto che il training attentivo ha incrementato le abilità dei bambini a ritardare la ricompensa, e il miglioramento è persistito per almeno due mesi seguenti.

In anni recenti, vari approcci di training attentivo destinati agli studenti sono stati applicati nei contesti più disparati. I risultati mostrano che compiti appositamente disegnati per stimolare  specifici network dell’attenzione possono migliorarla e che questo tipo di training può tradursi in una migliore attenzione generale. In uno degli studi a supporto di queste scoperte, i punteggi relativi al controllo cognitivo sono incrementati significativamente in bambini in età prescolare arruolati in un programma di training della durata di un anno che incorporava differenti attività disegnate per migliorare le funzioni cognitive (8). Ci attendiamo che questo training abbia un effetto positivo sul futuro rendimento accademico dei bambini, ma questo rimane ancora da dimostrare.

Per molti bambini, l’interesse per una particolare forma d’arte porta alla XXX dell’attenzione sostenuta quando la praticano. Inoltre, impegnarsi in un’arte spesso include la risoluzione di conflitti tra risposte concorrenti possibili, come quando si deve scegliere la nota corretta da suonare in un dato momento. L’abilità nella risoluzione di conflitti tra risposte in competizione è un altro aspetto cruciale del training attentivo. Ad esempio, se si sta per reagire ad una freccia puntata premendo un tasto nella direzione in cui la freccia è puntata, l’aggiunta di altre frecce attorno, puntate nella direzione opposta, aumenterà il tempo di reazione e attiverà parti dell’executive attention network (8). Ci attendiamo, pertanto, che le arti riescano a “esercitare” l’executive attention network, migliorando di conseguenza anche le capacità cognitive generali.

Sembra improbabile che la formazione artistica riesca sempre migliorare le abilità cognitive generali, poichè entrano in gioco molteplici fattori. Nessuna forma d’arte presa singolarmente è di interesse per tutti e alcune persone non si affezioneranno mai ad alcuna forma d’arte. Le differenze individuali a livello degli stessi network cerebrali, che probabilmente sono in qualche modo geneticamente influenzate, aiutano a spiegare questa variabilità, sia nell’apprezzamento dell’arte che nell’abilità di praticarla. Per esempio, una persona può avere un sistema uditivo che facilmente distingue tra toni e un sistema motorio ottimizzato per il controllo fine dei polpastrelli, che può predisporla a suonare uno strumento musicale. Qualcuno con agilità, coordinazione e una buona abilità a imitare i gesti degli altri, d’altro lato, può gravitare naturalmente attorno alla danza e allo sport. Tali differenze possono anche aiutare a spiegare perchè alcune persono si appassionano a un tipo di arte e altre no.

L’efficacia delle arti dipende anche dal temperamento e dalla personalità del bambino. Per esempio, l’apertura, che interessa il comportamento, può essere un pre-requisito per un training efficace e può essere in parte trasmessa geneticamente. Abbiamo scoperto, per esempio, che un gene che regola la trasmissione della dopamina da un neurone all’altro sembra che moduli l’apertura dei bambini all’influenza genitoriale. I nostri studi mostrano che i bambini con una particolare forma di questo gene, mostra un comportamento tendente alla ricerca abnorme di sensazioni forti (“high sensation-seeking behavior”) se i suoi genitori mostrano scarse capacità genitoriali, ma ciò non accade se essi mostrano buone capagità genitoriali (9,10).

Sempre maggiori ricerche indicano che i network cerebrali dell’attenzione sono anche, in un certo grado, influenzati geneticamente. Per esempio, certi geni sembrano modulare la capacità di un individuo a svolgere compiti attentivi, come rispondere velocemente a un segnale di avvertimento o spostare l’attenzione da un evento esterno a un altro. Tali influenze genetiche spiegano le differenze individuali di risposta al training e possono dare conto di risultati contraddittori in studi scientifici volti a indagare i legami tra educazione artistica e abilità cognitive.

Al di là di questi avvertimenti, l’esposizione alla “giusta” forma d’arte può stimolare completamente l’attenzione del bambino, risultando per loro altamente gratificante. Essi possono essere così “presi” dall’arte sino a perdere la cognizione del tempo quando la praticano. Io credo che poche altre materie scolastiche possano stimolare un’attenzione così fortemente e per un tempo prolungato da essere al tempo stesso gratificante e motivante. Ecco perchè l’educazione artistica risulta particolarmente affascinante quale potenziale mezzo per sviluppare le attività cognitive dei giovani. Certo sono utili anche altre, ma le arti sono uniche in questo senso, così che molti bambini nutrono un vivo interesse per queste.

Con gli avanzamenti delle neuroscienze, che stanno rendendo disponibili nuovi importanti strumenti di studio delle capacità cognitive umane, è importante che i ricercatori lavorino a stretto contatto con gli insegnanti per progettare e realizzare studi finalizzati ad accumulare prove della capacità della formazione artistica di portare effetti di “transfer vicino” e determinare se tale training possa essere anche di beneficio in termini di “transfer lontano”. Come abbiamo visto, studi recenti hanno superato il fallace paradigma di esporre semplicemente le persone all’arte e ora si concentrano sugli effetti della formazione artistica di lungo periodo. Servono altri studi come questi per determinare se, oltre a una forte correlazione, si possa parlare anche di un rapporto causale.

La formazione alle arti può influenzare le capacità cognitive anche attraverso altri processi cerebrali. Poichè la formazione artistica rafforza il network cerebrale collegato all’arte che viene praticata, altri compiti che risiedono sullo stesso circuito cerebrale o pezzi di questo presumibilmente saranno coinvolti. Per esempio, se la formazione musicale influenza il sistema uditivo, possiamo anche attenderci di vedere miglioramenti in compiti non musicali che coinvolgono il tono. Infatti, Brian Wandell e i suoi colleghi alla Stanford University hanno recentemente dimostrato che i bambini che seguono corsi di musica o arti visive mostrano un miglioramento nella consapevolezza fonologica, la capacità di manipolare i suoni parlati che è strettamente connessa alla capacità di leggere in modo fluente. Inoltre, più formazione alle arti ricevono, più fluentemente sembrano leggere (11).

In aggiunta, parti del network musicale si trovano in posizione adiacente alle aree del cervello coinvolte nell’elaborazione dei numeri e ciò potrebbe spiegare alcuni aneddoti di miglioramento in matematica dopo lezioni di musica. Per esempio, Elizabeth Spelke della Harvard University ha scoperto che bambini in età scolare coinvolti in corsi musicali intensivi hanno migliorato il loro rendimento nei compiti di geometria astratta (12). Wandell e colleghi riportano inoltre dati preliminari che connettono l’esperienza nelle arti visive con le abilità di calcolo matematico nei bambini (13). Studi futuri dovranno esaminare queste possibilità più nel dettaglio.

Un altro aspetto interessante del praticare le arti è che gli artisti spesso si preparano per il loro lavoro entrando consapevolmente in uno stato mentale che loro ritengono elevi la loro performance, per esempio con la respirazione profonda, dipingendo l’attimo o attraverso altre tecniche di meditazione. Yi-Yuan Tang, visiting professor alla University of Oregon dalla cinese Dalian Medical University, ha recentemente scoperto che alcune forme di meditazione possono produrre cambiamenti nelle connessioni tra il cervello e la branca parasimpatica del sistema nervoso autonomo e, dopo solo alcuni giorni di training, può portare miglioramenti negli stessi aspetti dell’attenzione esecutiva che vengono stimolati da esercizi specificamente mirati a questo network (14). Questo “stato attentivo” è anche correlato con un miglioramento dell’umore e della resistenza allo stress. I nostri dati suggeriscono che la meditazione può contribuire a un miglioramento cognitivo generalizzato nelle persone che la praticano.

I sempre crescenti dati scientifici che suggeriscono che l’educazione artistica può migliorare le funzioni cognitive – inclusa la nostra visione che identifica i network dell’attenzione quale meccanismo – aprono un nuovo filone di studi per i ricercatori. Le nuove scoperte danno inoltre a genitori e insegnanti una ulteriore ragione per incoraggiare i giovani a impegnarsi in una forma d’arte di loro gradimento, che possono praticare con passione. Una ricerca costante in quest’area può anche essere di aiuto da un punto di vista informativo nei dibattiti in corso sul valore dell’educazione all’arte, che ha importanti implicazioni politiche, date le pressioni per tagliare i fondi e a eliminare i programmi artistici dai curricula scolastici.

Dal nostro punto di vista, è sempre più chiaro che, con sufficiente attenzione, la formazione artistica porta benefici che vanno oltre all’”arte per il gusto dell’arte”. O, per dirla in altri termini, la forma d’arte che una persona vermente ama imparare può anche portare a miglioramenti in altre funzioni cerebrali.

Bibliografia

1.      M. I. Posner and M. K. Rothbart, “Research on Attention Networks as a Model for the Integration of Psychological Science,” Annual Review of Psychology 58 (2007): 1–23.

2.      F. H. Rauscher, G. L. Shaw, and C. N. Ky, “Music and Spatial Task Performance,” Nature 365 (1993): 611.

3.      E. G. Schellenberg, “Music Lessons Enhance IQ,” Psychological Science 15 (2004): 511–514.

4.      K. L. Hyde, J. Lerch, A. Norton, M. Forgeard, E. Winner, A. C. Evans, and G. Schlaug, “Musical Training Shapes Structural Brain Development,” Journal of Neuroscience 29 (2009): 3019–3025.

5.      M. R. Rueda, M. I. Posner, and M. K. Rothbart, “Attentional Control and Self Regulation” in Handbook of Self Regulation: Research, Theory, and Applications, ed. R. F. Baumeister and K. D. Vohs, 283–300 (New York: Guilford Press, 2004).

6.      P. Checa, R. Rodriguez-Bailon, and M. R. Rueda, “Neurocognitive and Temperamental Systems of Early Self-Regulation and Early Adolescents’ Social and Academic Outcomes,” Mind Brain and Education 2 (2008): 177–187.

7.      M. R. Rueda, M. K. Rothbart, B. D. McCandliss, L. Saccomanno, and M. I. Posner, “Training, Maturation and Genetic Influences on the Development of Executive Attention,” Proceedings of the National Academy of Sciences 102 (2005): 4931–4936.

8.      J. Fan, J.I. Flombaum, B.D. McCandliss, K.M. Thomas, and M.I. Posner, “Cognitive and Brain Consequences of Conflict,” Neuro Image 18 (2003): 42–57.

9.      A. Diamond, S. Barnett, J. Thomas, and S. Munro, “Preschool Program Improves Cognitive Control,” Science 318 (2007): 1387–1388.

10.  B. E. Sheese, M. Pascale, M. Voelker, M. K. Rothbart, and M. I. Posner, “Parenting Quality Interacts with Genetic Variation in Dopamine Receptor D4 to Influence Temperament in Early Childhood,” Development and Psychopathology 19, no. 4 (2007): 1039–1046.

11.  G. A. Bryant and H. C. Barrett, “Recognizing Intentions in Infant-directed Speech: Evidence for Universals,” Psychological Science 18, no. 8 (2007): 746–751.

12.  B. Wandell, R. Dougherty, M. Ben-Shachar, G. Deutsch, and J. Tsang, “Training in the Arts, Reading, and Brain Imaging,” Learning, Arts, and the Brain: The Dana Consortium Report 51-59.

13.  E. Spelke, “Effects of Music Instruction on Developing Cognitive Systems at the Foundations of Math and Science,” Learning, Arts, and the Brain: The Dana Consortium Report 17-49.

14.  Y Tang, Y.Ma, Y Fan, H. Feng, J. Wang, S.Feng, Q.Lu, B. Hu, Y. Lin, J.Li, Y.Zhang, Y.Wang, L Zhou, and M. Fan, “Central and Autonomic Nervous System Interaction is Altered by Short Term Meditation, Proceedings of the National Academy of Science 106(2009): 8865–8870.

Michael I. Posner

Michael Posner, Ph.D., è professore emerito alla University of Oregon e adjunct professor di psicologia in psichiatria presso il Weill Medical College della Cornell University. Posner fa parte del Dana Arts and Cognition Consortium e ha tenuto una relazione in occasione del summit “Learning, Arts, and the Brain” presso la Johns Hopkins University, co-sponsorizzato da Dana Foundation. Egli ha lavorato su anatomia, circuitry, sviluppo e genetica di tre network attenzionali alla base della prontezza di riflessi, orientamento e controllo volontario dei pensieri e delle idee.

Brenda Patoine

Brenda Patoine è una scrittrice scientifica freelance che si occupa di neuroscienze da circa 20 anni. Scrive regolarmente per Dana Foundation (BrainWork; Cerebrum; Advances in Brain Research; Progress Report in Brain Research), per gli Annals of Neurology (sezione NerveCenter news) e per il NCRR Reporter, una pubblicazione del National Institutes of Health. Sul web, i suoi scritti appaiono su AARP.org (Staying Sharp series) su alzforum.org ealzinfo.org, due siti sull’Alzheimer.

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“How Arts Training Improves Attention and Cognition,” by Michael I. Posner, and Brenda Patoine. From Cerebrum, September 14, 2009. Reprinted with the permission of The Dana Foundation, Dana Press division, www.dana.org

Traduzione dall’originale di Laura Faravelli http://brainfactor.it – 16/09/2009

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