La capacità di vivere insieme, all’interno di un ampio gruppo di persone, sarebbe correlata alle dimensioni di una particolare e ben studiata parte del cervello, l’amigdala. Lo svela uno studio, pubblicato da Nature Neuroscience, nato dalla collaborazione tra le Università di Boston e quella del NordEst, il General Hospital e la Harvard Medical School di Boston e le omonime strutture a Charlestown, nel Massachusset.
La “ipotesi del cervello sociale”, richiamata in questo studio, indicherebbe che vivere con un gruppo numeroso e complesso di persone promuova lo sviluppo di aree del cervello deputate a particolari funzioni nei meccanismi di relazione con il prossimo (identificazione, giudizio, scelta dei rapporti e delle collaborazioni secondo le affinità).
Nel nostro cervello, queste funzioni vengono svolte dall’amigdala e da parti della corteccia cerebrale che si connettono ad essa, come la corteccia cingolare anteriore subgenuale (una virgola di materia grigia dietro l’attacco del naso, controlla gli stati d’animo e l’ansia), il solco temporale inferiore caudale (parte dietro all’orecchio, con funzione di riconoscimento visivo) e il giro frontale caudale superiore (all’altezza della fronte, conteso tra l’area delle ramificazioni cognitive e quella del ragionamento, pianificazione e decisione).
Per confermare questa ipotesi, Kevin Bickart e colleghi hanno osservato le dimensioni dell’amigdala e lo spessore delle tre aree della corteccia di 58 soggetti sani, grazie alla ricostruzione tridimensionale delle aree del cervello attraverso la risonanza magnetica per immagini (MRI) e ottenendo il volume di queste parti dal volume del cervello nel suo insieme. La complessità e dimensione della rete sociale di ciascun partecipante è stata, invece, misurata usando due diverse scale dell’Indicatore di Rete sociale (in inglese SNI), per avere una idea delle sue dimensioni (numero di contatti attivi) e della sua complessità (quanti contatti appartengono a più gruppi, separati tra loro per tipo di relazione o collaborazione). A fianco a queste due scale i partecipanti hanno anche espresso, tramite questionari, valutazioni sui rapporti instaurati nella rete e di soddisfazione globale della propria vita.
I soggetti con una ampia e complessa rete di conoscenze si sono rivelati avere anche un’amigdala più sviluppata per dimensioni e connessioni con le aree deputate alla socializzazione, confermando l’ipotesi di Bickart ed aprendo nuove strade sull’approccio e la terapia di patologie che portano all’isolamento dalla società, come l’autismo.
Attenzione però, nell’era dei social network, a non pensare che una rete di 500 amici ci regali sulla fiducia un’amigdala enorme: il cervello non “cresce” con rapporti basati su un clic ed una emoticon.
Reference:
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