Più del 40% delle persone con diagnosi di “stato vegetativo” sarebbe in realtà “minimamente cosciente”. Lo riporta oggi il New Scientist in un articolo dedicato ai nuovi metodi di valutazione dello stato di coscienza nei pazienti in coma (Biever C, Doctors missing consciousness in vegetative patients, New Sci, 21 July 2009).
“Se c’è una cosa peggiore del coma, è quando gli altri pensano tu sia in coma ma non è vero”, scrive Celeste Biever sul New Scientist. E in questa terrificante condizione non si troverebbero soltanto alcuni casi isolati sporadici, bensì più di 4 persone ogni 10 che vengono correntemente dichiarate in “stato vegetativo”.
“E’ un problema di diagnosi sbagliata – spiega la Biever – che ha importanti ripercussioni sulle decisioni in merito non solo alla vita o alla morte del paziente, ma anche al tipo di trattamento a cui può venire o meno sottoposto, precludendo in alcuni casi le stesse probabilità di recupero”.
Nello “stato vegetativo” (SV) i riflessi sono intatti e il paziente può respirare senza ausilio, ma è privo di consapevolezza. Lo “stato di minima coscienza” (SMC) è una sorta di linea di confine, solo di recente preso in considerazione nelle diagnosi, in cui le persone possono in qualche modo percepire dolore fisico, esperire emozioni, addirittura comunicare. Nell’SMC la coscienza sarebbe però fluttuante, intermittente e incompleta, tanto da rendere difficile la decisione diagnostica fra stato vegetativo e stato di minima coscienza.
I primi criteri diagnostici dell’SMC sono stati pubblicati nel 2002 da Joseph Giacino del JFK Rehabilitation Institute in New Jersey (Giacino et al., The minimally conscious state: Definition and diagnostic criteria, Neurology 2002).
Sempre Giacino e colleghi nel 2004 hanno pubblicato la Revised Coma Recovery Scale (CRS-R), una serie di test comportamentali basati sui criteri che possono essere usati per distinguere fra SV e SMC.
Per verificare se la CRS-R può migliorare la diagnosi di questi pazienti borderline, Giacino e i colleghi del Coma Science Group dell’Università di Liegi, hanno condotto uno studio, durato due anni, fra il 2005 e il 2007, durante il quale hanno diagnosticato nuovamente pazienti già valutati con i tradizionali metodi di “consenso clinico” presso una rete di unità di cura intensiva e cliniche neurologiche dislocate sul territorio del Belgio, scoprendo che alcuni medici specialisti si basavano soltanto su osservazioni qualitative al letto del paziente, altri utilizzavano vecchi strumenti diagnostici, nessuno utilizzava la CRS-R. Risultato: dei 44 pazienti diagnosticati in stato vegetativo da parte dei clinici di cui sopra, ben 18 (cioè il 41% del totale) risultavano in SMC secondo i criteri della CRS-R.
Il nuovo studio di Giacino e colleghi – destinato a far riflettere molti, non solo medici e personale sanitario – è stato pubblicato oggi sulla rivista open access BMC Neurology (Schnakers C et al, Diagnostic accuracy of the vegetative and minimally conscious state: Clinical consensus versus standardized neurobehavioral assessment, BMC Neurol, 21 July 2009).
“Allora perchè i medici adottano ancora una valutazione qualitativa del paziente?” si chiede la Biever . “Il fatto è che i medici si focalizzano tradizionalmente sulla morte o sulla sopravvivenza del paziente, su fattori biologici che richiedono trattamento, su questioni del tipo per quanto tempo è necessario che il paziente resti nell’unità di cura intensiva; insomma, per i loro scopi la distinzione fra VS e SMC è di poca importanza…” le risponde John Whyte del Moss Rehabilitation Research Institute di Philadelphia. Ma per i famigliari la differenza fra VS e SMC è della massima importanza, in funzione delle decisioni relative al possibile trattamento, con farmaci, antidolorifici, stimolazione cognitiva del cervello, tecniche di miglioramento delle capacità comunicative residue.
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