Conosciuta in origine come risposta adattativa alla privazione di nutrienti, l’autofagia acquista oggi un ruolo importante anche nell’insorgenza di numerose patologie, malattie neurodegenerative comprese. Sul legame tra fattori eziologici del Parkinson e alterazione di questo importante processo di regolazione cellulare, Qian Yang e Zixu Mao della Emory University di Atlanta pubblicano sul Neuroscientist un’ampia review.
La parola autofagia deriva dal greco e significa “mangiare se stessi”. Per quanto il termine possa dare l’idea di un evento pericoloso, in realtà è un meccanismo fisiologico alla base dell’omeostasi cellulare. Il normale processo autofagico, infatti, permette la sostituzione delle componenti cellulari danneggiate o non più necessarie alla cellula attraverso la loro degradazione all’interno dei lisosomi.
Questo delicato processo, tuttavia, è soggetto ad alterazioni che, specialmente nelle cellule a lunga vita, possono portare alla comparsa di gravi patologie come il cancro, l’ invecchiamento precoce e molti disturbi neurologici, tra cui il Parkinson.
Il Parkinson (PD) è il disturbo del movimento più comune, che affligge circa 4 milioni di persone in tutto il mondo, con la perdita caratteristica dei neuroni dopaminergici della “pars compacta” della sostanza nera. Molti casi di PD sono sporadici, mentre il 5-10% avrebbe radice genetica.
Di particolare interesse nella eziologia del PD sembra essere la via di degradazione che coinvolge la “chaperone Hsc70”, una molecola che lega le proteine da eliminare e le accompagna sulla membrana del lisosoma, dove un recettore specifico (Lamp2A) fa da porta d’ingresso nel compartimento di degradazione.
Questo tipo di autofagia (Chaperone-Mediated Autophagy) interessa soprattutto il ricambio della alfa-sinucleina, una proteina che in condizioni normali sembra avere un ruolo nella plasticità neuronale, ma che in alcune forme di PD ereditarie e sporadiche sembra accumularsi nella cellula nervosa formando i così detti corpi di Lewy, che “ingolfano” il citoplasma portando a morte cellulare.
Yang e Mao si soffermano su questo meccanismo, che può risultare alterato a vari livelli. Fattori genetici possono entrare in gioco aumentando l’espressione della a-sinucleina, che si accumula nel citoplasma, o causando una mutazione strutturale che aumenta l’affinità per Lamp2A impedendone la degradazione, col risultante effetto neurotossico.
Il ruolo specifico delle neurotossine nel PD resta ad oggi un argomento controverso. Evidenze sperimentali indicano queste molecole come induttori del meccanismo autofagico che può portare a morte cellulare, all’insorgenza di PD o, al contrario, alla eliminazione degli accumuli neurotossici alla base della malattia.
E’ per questo che i due studiosi americani si mostrano cauti nell’affermare che la stimolazione dell’autofagia possa risultare un’efficace strategia terapeutica nella malattia di Parkinson: “mangiare troppo” o “mangiare troppo poco” potrebbero essere due soluzioni estreme per prevenire la perdita delle cellule nervose colpite.
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